Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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Libertà di ricerca e diritti del ricercatore (di Martina Bassotti, Dottore di ricerca in Diritto dei mercati europei e globali – Università della Tuscia)


Il contributo ha ad oggetto l’attività di ricerca nell’ordinamento nazionale. Partendo dalla disciplina di principio che la fonte costituzionale riferisce alla libertà di ricerca, l’analisi si propone di individuare uno statuto dei diritti del ricercatore, inteso come figura professionale unitaria, per poi verificare in che modo la legislazione ordinaria declini tale complesso di posizioni giuridiche soggettive in relazione alle diverse tipologie di lavoro di ricerca attualmente configurabili nel sistema normativo interno.

Freedom of research and researcher’s rights

The article analyses the research activity in the national legal system. Starting from the constitutional principle of freedom of research, the analysis aims to identify a researchers’statute, understood as a professional figure, and then verify how ordinary law addresses this complex of subjective legal positions in relation to the different types of research currently existing in the legal system.

SOMMARIO:

1. Attività di ricerca e principi dell’ordinamento - 2. I diritti di libertà del ricercatore: contenuti e limiti - 3. Il lavoro di ricerca nelle Università - 4. Il lavoro di ricerca negli enti pubblici di settore - 5. Il lavoro di ricerca nell’impiego privato - 6. Il lavoro di ricerca senza vincolo di subordinazione - NOTE


1. Attività di ricerca e principi dell’ordinamento

L’attività di ricerca viene definita come una condotta umana finalizzata all’avan­zamento di nuove conoscenze nel rispetto di rigorose norme tecniche [1]. Lo svolgimento di una ricerca può avvenire in differenti contesti e modalità, ma è innegabile l’esistenza di principi comuni derivanti da un «contratto tacito professionale» [2] che vincola al rispetto dei parametri posti dalla comunità scientifica. Elementi indefettibili di qualsiasi ricerca possono considerarsi: lo sforzo creativo, che garantisce lo spirito di avanzamento rispetto allo stato attuale delle conoscenze; il rispetto di un metodo scientifico [3], che assicura l’obiettività dei risultati e la possibilità che siano rigorosamente giustificati; la sottomissione alla «dimensione etica della ricerca» [4], intesa come un sistema di valori e norme condivise che è alla base del concetto di comunità scientifica [5]; la trasparenza sulle attività svolte e sui risultati raggiunti [6]. Il rispetto del metodo scientifico e della dimensione etica della ricerca richiede la disponibilità di mezzi e condizioni di lavoro che permettano di eseguire la ricerca in modo efficace, obiettivo e imparziale. Per quanto invece concerne la creatività, questa non può essere attuata senza la dovuta libertà, da cui è inseparabile [7]. Si può dunque affermare che «lo statuto intrinseco della scienza e della ricerca è la libertà individuale», quale libertà di ricercare, di trovare nuovi limiti alle conoscenze e «di affermare le conoscenze acquisite con la ricerca (la scienza), al fine di consolidare i risultati, in attesa di nuovi avanzamenti» [8]. La tutela della libertà delle attività di ricerca trova esplicito riconoscimento nelle fonti sovranazionali. L’art. 13 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea afferma che «le arti e la ricerca scientifica sono libere», garantendo all’interno dei Paesi membri la tutela del pluralismo culturale e scientifico [9]. Inoltre, con la Raccomandazione contenente la Carta europea dei ricercatori e il Codice di condotta per l’assunzione dei ricercatori [10], l’Unione europea ha stabilito numerosi principi generali in materia tra [continua ..]


2. I diritti di libertà del ricercatore: contenuti e limiti

L’esistenza di caratteristiche ed esigenze comuni ad ogni ricerca consente di parlare in senso onnicomprensivo del “mestiere di ricercatore” e di considerare in via unitaria la sua figura da un punto di vista socio-professionale, prescindendo quindi dalla disciplina scientifica e dal contesto lavorativo di riferimento. Nello stesso senso si muovono le indicazioni delle istituzioni comunitarie, intenzionate a far emergere un mercato del lavoro della ricerca e una figura professionale guidata da principi comuni, a prescindere dalla natura del rapporto di lavoro [20]. Tuttavia è quasi inevitabile che, nel momento in cui la ricerca è dedotta in una obbligazione lavorativa, le regole che governano le modalità della sua esecuzione e diffusione non dipendano solo dall’oggetto dell’attività, ma anche, se non soprattutto, dal tipo di rapporto giuridico all’interno del quale questa viene eseguita [21]. Occorre chiedersi se, nonostante le diverse tipologie contrattuali, sia configurabile uno statuto del “diritto di ricerca”, inteso come insieme di posizioni soggettive che consentono l’azionabilità di tutele specifiche, modellate sulle esigenze del ricercatore: diritto di scegliere l’oggetto e il metodo, diritto di svolgere le ricerche con mezzi e modalità adeguati, diritto di diffondere liberamente i risultati. Se si accoglie l’idea per cui le situazioni di libertà «vanno senz’altro inquadrate fra i diritti soggettivi, intesi nel senso più ampio e generico dell’espressione come posizioni giuridiche di favore riconosciute e tutelate dall’ordinamento» [22], può allora ammettersi che anche le libertà non si riducono a situazioni soggettive di carattere negativo, quali pretese all’omissione e all’esclusione di interferenze o di arbitrari condizionamenti altrui [23], garantendo invece pure diritti “di agire” e di porre in essere atti giuridici, nonché diritti a prestazioni da parte dei terzi. In questa prospettiva, anche la libertà della scienza andrebbe allora considerata fonte di diritti sia negativi che positivi [24], consentendo almeno, nell’ampia gamma di fenomeni speculativi ricompresi nell’attività di ricerca, l’individuazione di un nucleo essenziale di posizioni soggettive [continua ..]


3. Il lavoro di ricerca nelle Università

La posizione di professori e ricercatori universitari di ruolo presenta caratteristiche peculiari in ragione della loro sistematica esclusione dalla privatizzazione che ha riguardato l’impiego pubblico [35]. Resta incerto quanto tale esclusione sia stata condizionata dalla preoccupazione di evitare interferenze con i principi di libertà, inclusa quella di insegnamento, sanciti dall’art. 33 Cost. [36]. In ogni caso, la legge ordinaria chiarisce che «le università sono sede primaria di libera ricerca e di libera formazione nell’ambito dei rispettivi ordinamenti e sono luogo di apprendimento ed elaborazione critica delle conoscenze» (art. 1, comma 1, legge n. 240/2010). Il richiamo all’«ambito dei rispettivi ordinamenti» rimanda al diritto costituzionalmente riconosciuto alle Università di governarsi attraverso i propri organi e la comunità dei suoi docenti [37]. Pertanto autonomia universitaria e libertà della scienza si completano e coadiuvano a vicenda [38]: l’autonomia è una proiezione della libertà individuale di ricerca nella forma di protezione offerta alle comunità scientifiche che si organizzano nelle Università, una soluzione che il diritto ha costruito nel tempo come primo e fondamentale strumento di tutela della libertà individuale [39]. Peraltro il riconoscimento dell’autonomia, che si traduce in una delegificazione estesa, non riguarda alcune materie tra cui proprio lo stato giuridico di professori e ricercatori di ruolo. Ciò significa che le Università devono esercitare la loro autonomia nel rispetto delle norme poste dal legislatore sullo status di questo personale, e che il superamento di tale limite «si traduce in una sorta di “eccesso di potere statutario”» [40]. Una prima tutela di carattere generale è prevista dall’art. 7, d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, in forza del quale «ai professori universitari è garantita libertà di insegnamento e di ricerca scientifica», peraltro specificata nel senso della «piena libertà di scelta dei temi e dei metodi delle ricerche» (art. 1, comma 2, legge n. 300/2005). Per quanto concerne il ruolo del ricercatore, l’art. 32, comma 2, d.P.R. cit. riconosce il diritto di «accedere direttamente ai fondi per la ricerca [continua ..]


4. Il lavoro di ricerca negli enti pubblici di settore

Diversamente dai ricercatori universitari di ruolo, quelli degli enti pubblici di ricerca non sono stati esclusi dalla contrattualizzazione dell’impiego pubblico [54]. Il rapporto di lavoro nella ricerca non universitaria trae quindi origine da un accordo tra le parti e viene disciplinato dalle norme del codice civile in materia di subordinazione nell’impresa, nonché dalle previsioni della contrattazione collettiva. In linea di massima, pertanto, il ricercatore che opera negli enti pubblici di ricerca con contratto di lavoro subordinato presta la propria attività lavorativa alle dipendenze e sotto la direzione del datore di lavoro pubblico, al pari di ogni altro dipendente. Si ritiene, però, che in virtù del principio dell’art. 33 Cost. l’ente datore di lavoro non possa determinare nello specifico contenuti e modalità di svolgimento delle ricerche [55]. Nel quadro della realizzazione di tali programmi, al ricercatore deve essere quindi riconosciuto un diritto di auto-determinare la prestazione. Quello di definire l’oggetto delle proprie ricerche è, invece, limitato dal dovere di realizzare i com­piti istituzionali dell’ente di appartenenza, come definiti dalla programmazione scientifica e secondo gli assetti organizzativi dell’ente stesso. Anche per tali motivi si è spesso evidenziata l’inadeguatezza della posizione di dipendente pubblico rispetto alla soddisfazione delle esigenze della ricerca [56], proponendosi la regolazione per via legislativa, secondo i criteri di qualità propri della comunità scientifica internazionale, degli aspetti relativi al reclutamento ed alla progressione di carriera oltre che di un apposito statuto di diritti e doveri, demandando alla contrattazione collettiva la sola definizione del trattamento economico [57]. L’autonomia indispensabile all’esecuzione del lavoro di ricerca è comunque oggetto di specifiche garanzie legali e negoziali. In via generale, ed in attuazione del dettato costituzionale, l’art. 7, comma 2, d.lgs. n. 165/2001 impone alle amministrazioni pubbliche di garantire «la libertà di insegnamento e l’autonomia professionale nello svolgimento dell’attività didattica, scientifica e di ricerca», mentre il successivo art. 15 pone un limite all’ingerenza [continua ..]


5. Il lavoro di ricerca nell’impiego privato

Nel settore privato mancano disposizioni che definiscano le caratteristiche peculiari del lavoro di ricerca e ne garantiscano le relative esigenze. Infatti il legislatore si è limitato ad emanare norme incentivanti, di carattere economico o normativo, per le assunzioni di personale nelle attività di ricerca e sviluppo [64]. Neppure esiste una disciplina collettiva di riferimento, come avviene nel rapporto di lavoro pubblico; ai ricercatori si applicano quindi differenti regolamentazioni a seconda del settore in cui si trovano ad operare. L’attività di ricerca rientra tra quelle prestazioni intellettuali, di contenuto creativo o inventivo, destinate a svolgersi con un ampio margine di autonomia, in quanto richiedono competenze e capacità di contenuto altamente qualificato, difficilmente riconducibili all’adempimento di compiti meramente esecutivi e rigidamente predeterminati. La particolare autonomia di cui gode il ricercatore non deriva solo dallo statusprofessionale, ma anche dalle caratteristiche oggettive del processo di esecuzione della ricerca. Per prestazioni di questo tipo sia in giurisprudenza che in dottrina si ricorre alla nozione di subordinazione attenuata, proprio perché presenta vincoli di eterodirezione attenuati o persino meramente potenziali [65]. In alcuni casi, come per il lavoro giornalistico, è lo stesso legislatore a preoccuparsi di garantire l’autonomia intellettuale del lavoratore. Senonché, in relazione al­l’attività di ricerca non esistono specifiche garanzie in tale senso, mentre chi svolge attività di ricerca non è necessariamente iscritto ad un ordine professionale. Ed anche la contrattazione collettiva del settore privato manifesta una certa insensibilità sul punto [66]. L’anomia in cui si svolge il lavoro di ricerca rischia dunque di degradare il ricercatore «al rango di “scrittore salariato”, che proponga delle tesi malgrado un giudizio personale completamente diverso» [67]. Tuttavia, i principi affermati nella Carta costituzionale non possono restare privi di attuazione neppure in questo tipo di rapporto. Se è vero, da un lato, che l’esisten­za di una pluralità di imprese concorrenti nell’ambito della stessa ricerca è circostanza accolta con favore dall’ordinamento, che intende incentivare la ricerca nel settore [continua ..]


6. Il lavoro di ricerca senza vincolo di subordinazione

L’attività di ricerca può essere svolta in favore di un committente con lavoro prevalentemente proprio, ma senza vincolo di subordinazione. La disciplina applicabile, in tale caso, è quella del contratto d’opera e, nello specifico, del contratto di opera intellettuale, poiché le prestazioni di ricerca si caratterizzano per l’impiego in misura preponderante di attività di questo tipo [103]. Il ricorso al contratto d’opera intellettuale e alla sua disciplina presuppone che il bene cui si tende possa essere perseguito con mezzi materiali e personali relativamente semplici, anche se di elevata professionalità; quando, invece, la ricerca può essere compiuta solo mediante una consistente organizzazione di mezzi e di uomini, la disciplina applicabile è quella dell’appalto [104]. Spesso lo svolgimento di un lavoro di ricerca richiede un coordinamento della prestazione lavorativa con l’organizzazione produttiva del committente. L’attività può quindi assumere le forme di una prestazione d’opera con carattere coordinato e continuativo ex art. 409, n. 3, c.p.c. Va ricordato, al riguardo, che fino alla sua abrogazione la disciplina del lavoro a progetto regolava espressamente il caso della proroga o di ampliamento di un’attività di ricerca scientifica (art. 61, comma 2 bis, d.lgs. n. 276/2003). A seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 81/2015, la disciplina codicistica del contratto d’opera intellettuale, ora corredata dalle norme introdotte con il c.d. “Statuto del lavoro autonomo”, dovrebbe tornare ad assumere un ruolo centrale nella regolamentazione del lavoro di ricerca senza vincolo di subordinazione. Invero, anche le collaborazioni dell’art. 409, n. 3, c.p.c. sono rapporti di lavoro autonomo, soggetti alla relativa disciplina quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa [105]. Una volta ricondotto il lavoro del ricercatore senza vincolo di subordinazione nell’ambito del contratto d’opera intellettuale, è possibile analizzare l’autonomia di scelte e di indirizzo che caratterizza la sua attività nel tipo contrattuale in esame. In effetti, il committente non è titolare dei poteri [continua ..]


NOTE