Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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Il giustificato motivo oggettivo di licenziamento negli approdi nomofilattici della cassazione (di Arturo Maresca)


Vengono ripercorsi, in relazione agli arresti della giurisprudenza della Cassazione, le questioni più rilevanti in tema di licenziamento per GMO. In primo luogo si esamina, condividendone le conclusioni, la giurisprudenza di legittimità, ormai consolidata, che esclude la necessità per il datore di lavoro di specificare le motivazioni delle decisioni organizzative che comportano la soppressione del posto di lavoro e, quindi, il licenziamento per GMO. Poi si prendono in considerazione le decisioni della Suprema Corte che ai fini dell’applica­zione della reintegrazione prevista dall’art. 18, comma 7 ritengono che la manifesta insussi­stenza vada verificata con riferimento sia alla ragione organizzativa sia al ripescaggio, in quanto questi due elementi concorrono ad integrare la fattispecie del GMO. La critica rivolta a questa soluzione non nega l’appartenenza del ripescaggio alla fattispecie del GMO, ma si fonda sulla formulazione dell’art. 18, comma 7 che limita la reintegrazione al solo caso in cui la manifesta insussistenza riguardi il “fatto” costitutivo del GMO, enucleando così all’inter­no della fattispecie del GMO un elemento (appunto, quello del “fatto”) la cui manifesta insussistenza determina la reintegrazione del lavoratore. E nel “fatto” non rientra anche il ri­pescaggio, ma solo la decisione organizzativa che causa il licenziamento.

Objective dismissal in the supreme court decisions

The most important issues regarding the dismissal for objectively justified reasons are revie­wed, in relation to the decisions of the Court of Cassazione jurisprudence. First of all it exa­mined the established and shared verdicts of the Italian High Court, which excludes the need for the employer to specify the reasons for the organizational decisions that entail the elimination of the job position and therefore the dismissal. Then the decisions of the High Court that requires that the dismissal has to be justified with an objective reason and the emplo­yer has to prove that he cannot retain the employee in another position are examined. The critique of this solution does not deny the fact that the “repechage” is part of the economic dismissal, but is based on the formulation of art. 18, point 7, which limits the reinstatement only in the case of absence of the “fact” constituting the economic dismissal, thus clarifying within the case of the latter an element (precisely, that of the “fact”) whose absence determines the reintegration of the employee. And in the “fact” the repechage is not included, but only the organizational decision that causes the dismissal.

Keywords: Dismissal – justified objective reason – repechage – reintegration.

SOMMARIO:

1. Le implicazioni dell’intervento nomofilattico della Cassazione sul GMO di licenziamento - 2. Ragioni organizzative e motivazioni nella fattispecie del GMO - 3. L'"insussistenza del fatto posto a base del licenziamento" nel­l'art. 18, comma 7, Stat. lav. - NOTE


1. Le implicazioni dell’intervento nomofilattico della Cassazione sul GMO di licenziamento

Una recente ordinanza della VI Sezione della Cassazione (18 luglio 2019, n. 19302) testimonia come la nozione di giustificato motivo oggettivo di licenziamento – affermata dalla sentenza della Cass. 7 dicembre 2016, n. 25201 [1] «con dichiarato intento nomofilattico» [2] – possa ormai considerarsi diritto vivente o ius receptum e costituire, come tale, un parametro di riferimento per conformare e fondare i comportamenti degli interpreti e degli operatori, a partire dalla formulazione della motivazione da indicare nella comunicazione del licenziamento. Le implicazioni che ne derivano appaiono rilevanti così come gli sviluppi destinati a delinearsi sul piano applicativo, specialmente se si guarda alla prospettiva tenacemente coltivata dalla Sezione lavoro della Cassazione (cioè perseguita e non più soltanto effetto dell’autorevolezza dell’interpretazione proveniente dall’«organo su­premo della giustizia» [3]), impegnata nell’adempimento della funzione nomofilattica e nel non facile governo dei meccanismi processuali posti dal legislatore a presidio dell’esercizio della giurisdizione in sede di legittimità [4]. Nel tentativo di esplicitare quanto appena detto, si può accennare – senza alcuna pretesa di approfondimento – all’iter di un ricorso per Cassazione proposto per impugnare una sentenza in materia di licenziamento per GMO. Il ricorso è, prima, sottoposto al filtro della VI Sezione della Cassazione [5] che definisce la causa con ordinanza in Camera di consiglio se ritiene il ricorso inammissibile in quanto la sentenza impugnata «ha deciso le questioni di diritto in modo con­forme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa» (art. 360 bis c.p.c.). Un riscontro della conformità che deve essere riferito alla «giurisprudenza», «quando … vi è un orientamento consolidato delle sezioni semplici; quando vi sono poche sentenze di una o più sezioni semplici, se convergenti; quando vi è una sola sentenza, se ritenuta convincente» [6]. Se il ricorso supera il filtro della VI Sezione ed approda, quindi, alla Sezione lavoro, quest’ultima dovrà pronunciarsi con [continua ..]


2. Ragioni organizzative e motivazioni nella fattispecie del GMO

Tenendo presente quanto si è detto, si possono ripercorrere in questa sede le due questioni più rilevanti in materia di licenziamento per GMO sulle quali la Cassazione si è pronunciata «con dichiarato intento nomofilattico» [8]. Si tratta della nozione di GMO e del regime sanzionatorio previsto dall’art. 18, comma 7, Stat. lav. Per quanto riguarda la prima, appare ormai consolidato l’orientamento che circoscrive il GMO di licenziamento alle decisioni assunte dal datore di lavoro in materia di organizzazione del lavoro o della produzione che comportano la soppressione del posto di lavoro. Il controllo del giudice, quindi, deve essere incentrato sulla sussistenza di tali decisioni (ragioni) nella loro oggettività per escludere che esse siano strumentalmente invocate per licenziare un lavoratore, accertando invece l’effettiva implementazione delle stesse e, quindi, la realizzazione di quella modifica strutturale (e non meramente contingente) del preesistente assetto organizzativo o produttivo che è causa dell’eli­minazione della posizione lavorativa del dipendente licenziato. Quindi, non si può configurare un GMO di licenziamento a fronte della decisione del datore di lavoro di sopprimere il posto di lavoro con effetti che si riflettono sul­l’organizzazione del lavoro o della produzione, in quanto il nesso causale tra decisioni organizzative e soppressione del posto di lavoro non è bidirezionale, ma unidirezionale nel senso che la decisione adottata deve costituire la causa efficiente della soppressione del posto e del relativo licenziamento [9]. Il tema è stato spesso affrontato dalla giurisprudenza con riferimento alla decisione del datore di lavoro di intervenire sull’organizzazione del lavoro adottando «una diversa ripartizione di determinate mansioni fra il personale in servizio, all’esito della quale una o più posizioni lavorative risultino in esubero e non riassorbibili». In questo caso il giudice dovrà controllare non solo «che tale riorganizzazione, pur non sindacabile nel merito, nondimeno sia genuina (ossia effettiva e non meramente apparente o pretestuosa)», ma anche che «preceda logicamente e/o cronologicamente il licenziamento stesso (altrimenti sarebbe mero effetto di risulta d’una scelta diversa da quelle tecnico-organizzative o [continua ..]


3. L'"insussistenza del fatto posto a base del licenziamento" nel­l'art. 18, comma 7, Stat. lav.

La seconda questione da esaminare riguarda l’illegittimità del licenziamento per GMO ed il sistema sanzionatorio applicabile secondo l’art. 18, comma 7, Stat. lav. e, più precisamente, i limiti in cui il giudice può disporre la condanna del datore di la­voro al pagamento dell’indennità (art. 18, comma 5), anziché la reintegrazione nel posto di lavoro (art. 18, comma 4). Nel consapevole esercizio della funzione nomofilattica e ribaltando un orientamento di merito tendente a disporre la reintegrazione a fronte della manifesta insussistenza delle ragioni organizzative poste a fondamento del GMO, ma non del ripescaggio [14], la Cassazione con la sentenza 2 maggio 2018, n. 10435, ha stabilito che «ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 1, in funzione nomofilattica, essendo stata affrontata per la prima volta da questa Corte la questione di particolare importanza concernente la portata applicativa della L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 7, come novellato dalla L. n. 92 del 2012, va enunciato il seguente principio di diritto: la verifica del requisito della “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento” concerne entrambi i presupposti di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e, quindi, sia le ragioni inerenti all’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa sia l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore. La “manifesta insussistenza” va riferita ad una evi­dente, e facilmente verificabile sul piano probatorio, assenza dei suddetti presupposti a fronte della quale il giudice può applicare la disciplina di cui al medesimo articolo 18, comma 4, ove tale regime sanzionatorio non sia eccessivamente oneroso per il datore di lavoro». In estrema sintesi la soluzione adottata dalla Cassazione: a) ribadisce che nel­l’art. 18 il rimedio dell’indennità rappresenta la regola e la reintegrazione l’eccezio­ne destinata ad «ipotesi, sia pur residuali … di operatività» [15]; b) ritiene che la fattispecie del GMO ricomprende i due presupposti sia «la soppressione del posto di lavoro sia l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore»; c) conclude che la «manifesta insussistenza del fatto [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3 - 2019