Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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Questioni sostanziali e processuali in tema di esclusione del socio di cooperativa (di Pietro Pozzaglia, Ricercatore di Diritto del lavoro – Università di Roma “Tor Vergata”.)


Il saggio si propone di svolgere alcune considerazioni sulle dinamiche sostanziali e processuali in materia di esclusione del socio di cooperativa. In tale ambito l’autore si interroga sulle possibili interferenze tra provvedimento di esclusione dal rapporto sociale e licenziamento, anche alla luce dei più recenti arresti giurisprudenziali.

Substantive and procedural issues with regard to exclusione of the cooperative member

The essayproposes to carry out some considerations on substantive and proceduralissues with regard to exclusion of the cooperative member. In thiscontext, the A. questionsabout the potentialinterferencesbetweenexlusion and dismissal, also in the light of the mostrecentprinciples of the case law

KEYWORDS: Cooperative society – exclusion – dismissal – competent court

SOMMARIO:

1. La complicata coesistenza tra rapporto associativo e contratto di lavoro - 2. Le conseguenze della cessazione del rapporto associativo nella logica del collegamento negoziale unidirezionale - 3. Il collegamento negoziale nella prospettazione delle Sezioni Unite - 4. Cessazione del rapporto associativo e tutela indennitaria per i licenziamenti illegittimi - 5. Licenziamento senza esclusione sociale - 6. Esclusione da socio e conservazione del rapporto di lavoro - 7. Questioni in materia di riparto di competenza e rito applicabile alle controversie del socio lavoratore - NOTE


1. La complicata coesistenza tra rapporto associativo e contratto di lavoro

Inserendosi nel dibattito [1] tra tesi “monistiche” e “dualistiche” l’art. 1, comma 3, legge n. 142/2001, optando per la seconda impostazione, ha previsto [2] che il socio lavoratore di cooperativa è chiamato ad adempiere, con la medesima prestazione, sia al contratto associativo che a quello di scambio [3]. Questa compresenza di cause negoziali [4] e la connessa duplicità di fonti regolative che insistono sulla medesima prestazione [5], implica un bilanciamento [6] tra regole negoziali reso complesso dalla resistenza della disciplina del lavoro ai correttivi suggeriti dalle finalità del lavoro in cooperativa [7]. I differenti orientamenti formatisi in merito, nonostante le indicazioni della legge, rispecchiano la prevalenza di volta in volta accordata dall’interprete alle regole di ciascuno dei contratti coesistenti ad ai rispettivi valori costituzionali [8]. Sicché, pur nella storicamente riconosciuta compatibilità tra mutualità e scambio [9], l’indivi­duazione della norma di riferimento appare sovente più la risposta ad una opzione di politica del diritto [10], che il frutto della effettiva armonizzazione tra disciplina societaria e norma inderogabile [11]. In questo ampio contesto interpretativo, l’esclusione del socio pone le questioni di più complessa soluzione per le inevitabili interferenze con la disciplina sul licenziamento. Ed invero, la prassi giudiziaria pone in evidenza questioni di non semplice soluzione connesse alle differenti modalità (in concreto verificabili) di cessazione dei due rapporti: da un lato, la risoluzione di uno soltanto dei contratti pone il quesito degli effetti sul negozio collegato ma non espressamente risolto; dall’altro la cessazione di entrambi i rapporti conseguente a separati atti interruttivi, pone il quesito delle interferenze tra rispettive discipline sostanziali e processuali, inclusa la possibile rilevanza di vicende fattuali quali la contestualità o meno dei singoli atti di recesso, ovvero delle ragioni poste a loro fondamento.


2. Le conseguenze della cessazione del rapporto associativo nella logica del collegamento negoziale unidirezionale

L’art. 5, comma 2, leggen. 142/2001 dispone che «il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l’esclusione del socio deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie ed in conformità con gli artt. 2526 (oggi 2532) e 2527 (oggi 2533) del codice civile»; l’art. 2533 c.c. (sostitutivo del precedente 2527) che «[…] qualora l’atto costitutivo non preveda diversamente, lo scioglimento del rapporto sociale determina anche la risoluzione dei rapporti mutualistici pendenti». Il tenore letterale di entrambe le disposizioni è quindi nel senso della automatica cessazione del contratto di lavoro in caso di risoluzione del vincolo associativo (salvo espresse deroghe statutarie), senza necessità di un distinto atto di licenziamento e senza che rilievi la natura “lavoristica o societaria” delle ragioni poste a fondamento del provvedimento di esclusione dalla compagine sociale [12]. La prevalenza del rapporto associativo su quello di lavoro [13] dovrebbe, a rigore, implicare che, se alla cooperativa è consentito interrompere entrambi i rapporti con il solo recesso dalla compagine sociale, al socio escluso è sufficiente agire (nel rispetto del relativo termine di decadenza) davanti alla competente sezione del tribunale civile (v. infra) per ottenere l’annullamento della delibera associativa e la contestuale ricostituzione di entrambi i rapporti, senza dover impugnare un licenziamento nei fatti mai comminato [14]. Automatismo che sembrerebbe ricevere avallo dalla prevista esclusione dell’art. 18 Stat. lav. «ogni volta che venga a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo» (art. 2, comma 1, leggen. 142/2001). A conclusioni non dissimili sembra potersi giungere anche nella ipotesi (solo apparentemente diversa) della esclusione del socio con contestuale licenziamento, dovendosi ritenere che la sola impugnazione della delibera, anche in questo caso, è sufficiente a rimuovere le conseguenze di entrambi gli atti di recesso. Diversamente opinando si attribuirebbe ad un atto sovrabbondante del datore di lavoro l’effetto di costringere il lavoratore ad una doppia azione, quando il dato normativo consente ad un solo atto di estinguere comunque entrambi i rapporti. Sicché, anche in questa ipotesi, rimane ferma la possibilità di impugnare entrambi gli atti [continua ..]


3. Il collegamento negoziale nella prospettazione delle Sezioni Unite

In senso parzialmente difforme alla ricostruzione sopra offerta, una pronuncia delle Sezioni Unite [19], pur muovendo dalla dichiarata prevalenza del rapporto associativo [20], ha discutibilmente concluso che «alla duplicità dei rapporti può corrispondere la duplicità degli atti estintivi, in quanto ciascun atto colpisce, e quindi lede, un autonomo bene della vita, sia pure per le medesime ragioni». Sicché, non solo alla delibera dovrà fare comunque seguito un autonomo atto di recesso dal rapporto di lavoro, ma quest’ultimo dovrà essere condotto secondo le regole previste in caso di licenziamento disciplinare o per motivo oggettivo. La soluzione – che interviene su un quadro giurisprudenziale composto di (almeno) tre diversi orientamenti di legittimità [21] – valorizza oltremodo «l’aggettivo “ulteriore”, tuttora contenuto nel testo novellato della l. n. 142 del 2001 [22]», quasi ignorando la intervenuta eliminazione (art. 9, legge n. 30/2003) della parola “distinto” che originariamente la affiancava, e superando, con eccessiva disinvoltura, la piana convergenza tra disciplina codicistica ed art. 5, comma 2, legge n. 142 cit. circa le sorti del rapporto di lavoro in caso di cessazione di quello associativo [23]. Potrebbe invero ipotizzarsi che la pronuncia delle Sezioni Unite abbia inteso alludere alla compresenza di atti estintivi come mera eventualità (come pure suggerisce l’enunciato «alla duplicità dei rapporti può corrispondere la duplicità degli atti estintivi»); dovendosi tuttavia escludere che la Cassazione abbia inteso accordare alla cooperativa la possibilità di incidere sulle tutele azionabili semplicemente scegliendo se adottare uno o più atti di recesso [24]. La autonoma rilevanza degli atti di risoluzione implica, nel ragionamento della Corte una duplicità delle conseguenze sanzionatore: in caso di annullamento della delibera di esclusione [25], il socio lavoratore avrà diritto alla ricostituzione del rapporto di lavoro in applicazione della tutela reale di diritto comune [26]; diversamente, la omessa impugnazione della delibera (così come – deve ritenersi – il rigetto della impugnativa tempestivamente proposta, nel caso residuino adeguati margini di indagine sulle vicende [continua ..]


4. Cessazione del rapporto associativo e tutela indennitaria per i licenziamenti illegittimi

Le Sezioni Unite hanno interpretato l’art. 2, legge n. 142/2001 nel senso per cui «[…] è la – sola – tutela restitutoria ad essere preclusa qualora, insieme col rapporto di lavoro, venga a cessare anche quello associativo [in quanto] il proprium dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori del quale è esclusa l’applicazione, almeno all’epoca in cui la norma è stata confezionata, consisteva giustappunto nella tutela reale». Il riferimento alla natura sostanzialmente restitutoria della tutela reale quale unico profilo che impedirebbe l’applicazione dell’art. 18 Stat. lav., così come l’espli­cito riferimento alla originaria versione della norma (vigente all’atto della approvazione della riforma delle cooperative), lascia spazio – ricorrendo il requisito numerico – alla applicabilità delle tutele indennitarie oggi previste per i casi di ingiustificatezza non qualificata del licenziamento, nei casi di inaccessibilità alla tutela conformativa di diritto comune per intervenuto consolidamento del provvedimento societario. Ed infatti, la norma dell’art. 2, legge cit., deve essere interpretata secondo l’“intenzione del legislatore” (art. 12, comma 1 preleggi) che, come detto, sembra voler escludere la sola tutela reale e non quella indennitaria (a quella epoca non contemplata dall’art. 18 Stat. lav.). Diversamente opinando, peraltro, una generalizzata applicazione della tutela obbligatoria ex legge n. 604/1966 sostituirebbe alla regola legale di ripartizione delle tutele contro il licenziamento, una ingiustificata area di applicabilità della tutela debole completamente sganciata dal numero dei dipendenti del datore di lavoro. Alcune pronunce di merito, ancor prima delle Sezioni Unite, già avevano ritenuto utilizzabili le sanzioni indennitarie dell’art. 18 Stat. lav. in quanto non precluse dalla impossibilità di ricostituzione del rapporto di lavoro derivante dalla incontrovertibilità della delibera di esclusione [29]. Dovendosi tuttavia rilevare che l’applicazione di questo principio al nuovo sistema sanzionatorio per i licenziamenti illegittimi, pone alcune contraddizioni con la ratio sottesa alla previsione di più regimi distinti [30]. Ed infatti l’esclusione della tutela ripristinatoria con [continua ..]


5. Licenziamento senza esclusione sociale

Deve invece escludersi che il licenziamento implichi l’automatica risoluzione del contratto sociale, come indirettamente confermato anche dall’art. 2, comma 1 che all’inciso «venga a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo», chiaramente sottintende la possibilità di sopravvivenza del rapporto associativo al cessare di quello lavoristico [32]. La disciplina del lavoro contempla infatti ipotesi di licenziamento non suscettibili di incidere immediatamente sul vincolo associativo che, anzi, potrebbe essere interesse della cooperativa mantenere attivo, come nel caso del giustificato motivo oggettivo per soppressione della posizione lavorativa, rispetto al quale il mantenimento della posizione sociale troverebbe giustificazione nella possibilità di future chances lavorative ovvero della sottoscrizione di un contratto di lavoro autonomo o parasubordinato. Allo stesso modo, la risoluzione del rapporto di lavoro per superamento del periodo di comporto non sembra di per sé integrare (salvo differente previsione statutaria) una valida ragione di espulsione dalla compagine societaria, considerato che la cooperativa potrebbe avere comunque interesse a mantenere in vita il legame con il socio, in attesa del completo ristabilimento delle energie psicofisiche per impiegarlo in altra attività o con altra forma contrattuale. In questo caso, non essendo cessato il rapporto associativo, il lavoratore potrà agire in giudizio azionando le specifiche tutele lavoristiche, ivi inclusa (ricorrendo il requisito dimensionale) la tutela ex art. 18 Stat. lav. nella sua integrale formulazione.


6. Esclusione da socio e conservazione del rapporto di lavoro

È altresì possibile che il rapporto di lavoro sopravviva alla esclusione dalla compagine sociale; come nel caso di previsione statutaria che escluda detto automatismo ovvero di interesse in tal senso manifestato dalla cooperativa al momento della adozione della delibera di esclusione. L’eventuale licenziamento comminato in un secondo tempo sarebbe non solo temporalmente ma anche causalmente sganciato dalla preesistente delibera di esclusione, con inapplicabilità delle conseguenze dedotte dal principio di collegamento negoziale unidirezionale e conseguente diritto del lavoratore ad azionare tutte le tutele previste per qualsiasi altro lavoratore subordinato. In questo caso, infatti, la perdita della qualifica sociale non appare più suscettibile di riverberare alcun effetto sulla eventuale cessazione del contratto di lavoro, la cui sopravvivenza ha condotto la prestazione lavorativa fuori dagli originari scopi mutualistici (e schemi negoziali) come per qualsiasi altro dipendente che non sia mai stato socio. Soluzione questa che appare imposta dalla necessità di evitare speciose strumentalizzazioni del dato cronologico, come potrebbe accadere nel caso della cooperativa che, avendo escluso il socio ma non cessato il rapporto di lavoro, attenda lo spirare del termine di decadenza per poi adottare un licenziamento giustificato con le medesime ragioni poste a fondamento della delibera sociale ormai inoppugnabile; così cercando di privare il lavoratore – in ipotesi più interessato al rapporto di scambio che a quello associativo – della tutela reale.


7. Questioni in materia di riparto di competenza e rito applicabile alle controversie del socio lavoratore

Le incertezze interpretative rilevate in merito ai rapporti tra esclusione del socio e licenziamento, si riverberano sulle dinamiche processuali e sugli strumenti a disposizione del socio lavoratore per reagire alle iniziative unilaterali della cooperativa. Anche in questo caso il dato normativo non si presta ad interpretazione univoca laddove l’art. 5, comma 2 cpv. stabilisce che «Le controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica sono di competenza del tribunale ordinario», ponendo, anche nell’ottica della individuazione del giudice competente, il quesito circa i limiti tra prestazione mutualistica e contratto di lavoro comunque finalizzato al perseguimento degli scopi della cooperativa. I principali orientamenti formatisi sull’argomento sono sostanzialmente due. Secondo una prima interpretazione, la dipendenza del rapporto di lavoro da quello societario e la sostanziale identificazione tra contratto di lavoro e scopo mutualistico, implicherebbe l’assoggettamento al rito ordinario anche della connessa cessazione del rapporto di lavoro [33]. In senso opposto, qualificando la prestazione mutualistica come una utilità ulteriore [34] rispetto alla semplice sottoscrizione di un contratto sinallagmatico, si è invece ritenuto di doversi limitare la competenza del giudice ordinario ai soli casi di controversie attinenti il solo profilo associativo, con devoluzione alla cognizione del giudice del lavoro [35] di tutte le ipotesi di contestuale cessazione del rapporto di lavoro. Secondo il riferito orientamento, infatti, «il principio della vis actractiva del rito del lavoro costituisce una regola a cui deve riconoscersi carattere generale e preminente per gli interessi di rilevanza costituzionale che la norma processuale è preordinata a garantire [36]». Questo secondo orientamento, risulta oggi rafforzato dal richiamo alla autonoma rilevanza dei beni della vita tutelati dal diritto del lavoro (nonostante la prevalenza accordata al rapporto associativo), compiuto dalle Sezioni Unite, così confinando la prevista competenza del giudice ordinario alle sole ipotesi in cui il petitumgiudiziale non imponga in alcun modo lo scrutinio di norme rientranti nella disciplina del rapporto di lavoro subordinato. Un elemento di particolare complicazione nell’ambito del descritto quadro giurisprudenziale si rinviene dalla [continua ..]


NOTE