Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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La questione della reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato dopo la sentenza n. 194/2018 della Corte costituzionale: un ulteriore colpo per un'emarginazione discutibile [1] (di Rosario Santucci, Professore ordinario di diritto del lavoro – Università del Sannio.)


L’articolo si occupa del ruolo e della funzione della tutela reintegratoria nel posto di lavoro contro il licenziamento illegittimo dopo la sentenza n. 194/2018 della Corte Costituzionale. Questa ha riconosciuto la legittima discrezionalità del legislatore e l’assenza di vincoli costituzionali nel restringere l’ambito della tutela reale ed ampliare quella della tutela risarcitoria, variamente articolata. Nell’articolo all’opposto si individuano le ragioni giuridiche per ribadire la vincolatività costituzionale di una tutela che mediante la reintegrazione e le misure compulsorie garantisca tanto il rispetto della dimensione fondamentale quanto il riconoscimento effettivo di norma del diritto leso. Si rileva inoltre come l’assetto attuale sia ben lungi dall’essere del tutto ascrivibile ad una scelta discrezionale del legislatore dal momento che la materia del ripristino del rapporto di lavoro, nelle pieghe del sistema ordinamentale o nel momento interpretativo e applicativo, presenta irrazionalità, complicazioni di tutele e disparità che meriterebbero la semplificazione e il superamento.

The questione of the reinstatement of the unlawful dismissed worker after judgment no. 194/2018 of the italian constitutional court: a further blow to a debatable marginalization

The article deals with the role and function of the reintegratory protection in the workplace against unlawful dismissal after judgment no. 194/2018 of the Constitutional Court. This acknowledged the legitimate discretion of the Legislator and the absence of constitutional constraints in restricting the scope of real protection and broadening that of the protection of compensation, variously articulated. The opposite article identifies the legalreasons to reiterate the constitutional binding of a protection that trough the reintegration and compulsories guarantees both respect for the fundamental dimension and the actual recognition of the effectivity of the right infringed. Notes also that the current set up far from being attributable to a discretionary choice of the Legislator from the time that the subject the restoration of the employmentnt relationship presents irrationality, complications of safeguards and disparities wich would merits implification and overcoming.

KEYWORDS: Unlawful Dismissal – reinstatement – compulsoriesguarantees.

SOMMARIO:

1. La Corte Costituzionale e la reintegrazione: osservazioni critiche su un "requiem" stonato - 2. Le tecniche di tutela nel diritto del lavoro tra "specialità" ed "effettività": a) il prisma giuslavoristico e i dubbi sul contemperamento realizzato nell'ambito dell'attuale tutela - 3. b) La tutela in forma specifica nel sistema processual-civilistico e la sintonia con la reintegrazione nel posto di lavoro - 4. La disparità di trattamento tra lavoratori rationetemporis con riguardo alle tutele reintegratorie: dubbi sull'esclusione condivisa dalla Corte Costituzionale - 5. Tipologia di licenziamento, reintegrazione e tutela indennitaria: criticità, irrazionalità e irragionevolezze - 6. Il ripristino del rapporto e le conseguenze riparatorie in caso di illegittimità di interposizione e di trasferimento d’azienda tra diversità e irrazionalità - 7. Il futuro "non cominciato": reintegrazione e astreinte per la tutela effettiva contro i licenziamenti illegittimi - NOTE


1. La Corte Costituzionale e la reintegrazione: osservazioni critiche su un "requiem" stonato

La Corte Costituzionale, sebbene abbia dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015 (sia nel testo originario sia in quello modificato dal c.d. decreto dignità: art. 3, comma 1, d.l. n. 87/2018 convertito nella legge n. 96/2018) esclusivamente nella parte attinente alla quantificazione dell’indennità da corrispondere al lavoratore illegittimamente licenziato, ha dedicato la propria attenzione anche alla questione della reintegrazione [2].Ciò merita una doverosa riflessione trattandosi non di un fuordopera, bensì di un tassello del ragionamento, che conduce ad esprimersi sull’adeguatezza – poi esclusa – del risarcimento previsto dal legislatore. Osservando in sintesi le motivazioni della sentenza n. 194/2018 della Corte Costituzionale (quelle del giudice del rinvio si svolgono nell’ambito di quanto affermato in passato dalla Corte Costituzionale in materia), al punto 9 del “considerato in diritto” della sentenza la Corte prende le mosse dalla propria giurisprudenza che, sin da epoca risalente, si è soffermata sugli aspetti peculiari della disciplina dei licenziamenti per delineare i confini della giustificazione, da un lato, e della tutela avverso quelli illegittimi, dall’altro. Per la prima dimensione non vi è dubbio sul radicamento costituzionale della necessariagiustificazione (artt. 4 e 35 Cost.) del licenziamento, imposta dalla legge, correggendosi in tal modo uno squilibrio di fatto esistente nel contratto di lavoro e valorizzando il coinvolgimento della persona umana, che qualifica il “diritto al lavoro” come diritto fondamentale al quale il legislatore non può esimersi dal guardare per apprestare specifiche tutele. Con riguardo alla tutela, per la sentenza n. 194 (punto 9.2.) la giurisprudenza costituzionale ha valorizzato la discrezionalità del legislatore quanto alla scelta dei tempi e dei modi, in rapporto alla situazione economica generale [3]. La Corte ha espressamente negato che il bilanciamento dei valori sottesi agli artt. 4 e 41 Cost., terreno su cui non può non esercitarsi la discrezionalità del legislatore, imponga un determinato regime di tutela [4]. Il legislatore ben può, quindi, prevedere un meccanismo di tutela anche solo risarcitorio-monetario, purché un tale meccanismo si articoli nel [continua ..]


2. Le tecniche di tutela nel diritto del lavoro tra "specialità" ed "effettività": a) il prisma giuslavoristico e i dubbi sul contemperamento realizzato nell'ambito dell'attuale tutela

Nel diritto del lavoro le tecniche di tutela dovrebbero conformarsi alla sua “specialità”. Sarebbe necessario riconoscere pregio e priorità ad una serie di diritti del lavoratore, che sono ancorati ai principi costituzionali e del diritto internazionale ed europeo di libertà, dignità, uguaglianza e solidarietà [8], germinati o trapiantati nel contratto di lavoro subordinato in quanto dimensioni fondamentali della persona umana del lavoratore (artt. 1-4 e 35 ss. Cost.; titoli I-IV Carta Ue; art. 24 Carta sociale europea – Strasburgo 3 maggio 1996, ratificata dalla legge n. 30/1999). È vero che tra i diritti costituzionali si devono annoverare anche la libertà di impresa e quella negoziale (v. art. 41, comma 1, Cost. e art. 16 Carta UE); né se ne possono trascurare altri importanti, come il diritto alla “parità di armi” nel processo (art. 24 Cost.), o ignorare ulteriori esigenze di differenziazione di tutele, per rispetto almeno dell’art. 3 Cost., in relazione ad articolazioni del soggetto datoriale (dimensioni dell’organizzazione, natura, finalità). Pertanto è evidente come occorra bilanciare i diritti e differenziare le tecniche di tutela, che salvaguardino tutti i diritti implicati, ricorrendo ai criteri di proporzionalità e ragionevolezza. In ogni caso non si dovrebbe dimenticare che nel­l’art. 41 Cost., accanto al riconoscimento della libertà e dello svolgimento dell’ini­ziativa economica privata, v’è la statuizione secondo cui essa “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” (comma 2). Ciò comporta che nel bilanciamento tra le categorie dei diritti, e nel conflitto tra gli stessi, la tutela della libertà di impresa si assesti a un grado inferiore rispetto ai diritti riconducibili a dignità, libertà e sicurezza della persona. Si potrebbe immaginare poi che il contemperamento tra i diritti in questione sia avvenuto nel momento in cui il nostro ordinamento consente di rompere il vincolo contrattuale unilateralmente e quindi il datore di lavoro, come anche il lavoratore con ben diversa rilevanza, decida di porre fine al rapporto di lavoro a tempo determinato e indeterminato; nello stesso tempo [continua ..]


3. b) La tutela in forma specifica nel sistema processual-civilistico e la sintonia con la reintegrazione nel posto di lavoro

Le tecniche di tutela dovrebbero in ogni caso radicarsi nella garanzia dell’ef­fettività dei diritti: bene anch’esso fondamentale, perseguibile attraverso strumenti sostanziali e processuali di tutela, che si affiancano o si sostituiscono alle tradizionali e comuni discipline civili e processuali (si pensi all’insufficiente tutela, in buona parte dei casi, della sola nullità del contratto nel diritto del lavoro). Il discorso qui s’incrocia soprattutto con riflessioni giusprocessualistiche sul­l’effettività delle tutele giurisdizionali, fondata sull’art. 24 Cost. Il titolare di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo è, nello stesso tempo e automaticamente, titolare dell’azione intesa come possibilità di far valere in giudizio quel diritto o quell’interesse legittimo (v. anche art. 47 Carta Ue). Si ritiene che la disposizione costituzionale si presenti come «una sorta di norma in bianco la quale aderisce a tutte le norme sostanziali che attribuiscono situazioni soggettive; queste norme anche se nulla dispongono sulla tutela giurisdizionale, funzionano, per così dire, come fattispecie rispetto al primo comma dell’art. 24, che mettono automaticamente in moto, con conseguenze di incalcolabile portata» [9]. L’art. 24 viene sempre più interpretato nel senso che «l’obbligo di attivare il rimedio specifico si impone, a preferenza del rimedio per equivalente, tutte le volte in cui il risultato avuto di mira con quello strumento sia possibile e utile per chi lo propone. Col corollario che quando non vi sia né la possibilità né l’utilità del risultato, la via della tutela specifica non dev’essere percorsa ad ogni costo, non potendosi accollare alla parte l’onere di instaurare e proseguire un giudizio sostanzialmente inutile e defatigante» [10]. Ed è questa la via attraverso la quale si sono consolidati i sistemi giudiziari, civile ed amministrativo. Nel sistema privatistico il diritto del lavoro ha espresso tecniche di tutela all’avanguardia, proprio per garantire i diritti indicati, anticipando le più recenti tendenze processualistiche. Ma oramai, anche a causa dell’orientamento legislativo verso la flessibilità e la riduzione delle garanzie del lavoro subordinato e delle derive economicistiche degli ultimi anni, è [continua ..]


4. La disparità di trattamento tra lavoratori rationetemporis con riguardo alle tutele reintegratorie: dubbi sull'esclusione condivisa dalla Corte Costituzionale

È opportuno soffermarsi sull’aspetto relativo alla differente tutela assicurata in base alla data dell’assunzione, che solleva dubbi di costituzionalità con riferimento al principio di eguaglianza (art. 3, comma 1, Cost.) in quanto la tutela dei lavoratori assunti a decorrere dal 7 marzo 2015 è in modo ingiustificato deteriore rispetto a quella assicurata agli assunti, anche nella stessa azienda, prima di tale data. La questione per la Corte Costituzionale è infondata. Per un primo verso ne riconosce la correttezza del presupposto in quanto il regime di tutela dell’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015, applicabile agli assunti a decorrere dal 7 marzo 2015, è meno favorevole di quello dell’art. 18 della legge n. 300/1970, applicabile ai lavoratori assunti prima di tale data. Per un secondo verso, però, ritiene che la censura, fondata proprio sul criterio temporale di tale regime, non sia fondata. A tal riguardo fonda il giudizio sul «canone di ragionevolezza» che renderebbe legittima la disparità di trattamento. Respingendo l’argomentazione del giudice di merito quando afferma che «la data di assunzione appare come un dato accidentale ed estrinseco a ciascun rapporto che in nulla è idoneo a differenziare un rapporto da un altro a parità di ogni altro profilo sostanziale», la Corte lo ritiene non violato e consistente nello“scopo” – del tutto trascurato dal giudice rimettente – dichiaratamente perseguito dal legislatore, “di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione” (alinea dell’art. 1, comma 7, legge n. 183/2014). Lo scopo dell’intervento, così esplicitato, «mostra come la predeterminazione e l’alleg­gerimento delle conseguenze del licenziamento illegittimo dei lavoratori subordinati a tempo indeterminato siano misure dirette a favorire l’instaurazione di rapporti di lavoro per chi di un lavoro fosse privo, e, in particolare, a favorire l’instaurazione di rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Il regime temporale di applicazione del d.lgs. n. 23 del 2015 si rivela coerente con tale scopo. Poiché l’intro­duzione di tutele certe e più attenuate in caso di licenziamento illegittimo è diretta a incentivare le [continua ..]


5. Tipologia di licenziamento, reintegrazione e tutela indennitaria: criticità, irrazionalità e irragionevolezze

Alcune ipotesi di licenziamento illegittimo fanno emergere criticità, irrazionalità e irragionevolezze “crescenti” del sistema di tutela e soprattutto della linea di confine tra tutela reintegratoria e risarcitoria che contraddice l’idea secondo cui la reintegrazione sia una scelta discrezionale del legislatore e sia confinata alle ipotesi più gravi di licenziamento illegittimo. Ciò può essere evidenziato considerando tanto gli orientamenti giurisprudenziali emersi sulle ambiguità e opinabilità del disposto legislativo, quanto, in controluce, la disciplina del successivo jobsact [17]. i) La riformulazione dell’art. 18, comma 1, Stat. lav., con riguardo al licenziamento discriminatorio e all’applicazione della reintegrazione “forte”, ha indotto qualcuno ad assimilare i divieti di licenziamento discriminatorio, previsti espressamente nel nostro ordinamento, a quello irrogato per un motivo illecito determinante ai sensi dell’art. 1345 c.c., con la conseguenza di ritenere necessaria, per la realizzazione delle fattispecie discriminatorie, la prova dell’intento discriminatorio del datore di lavoro, laddove, nella disciplina antidiscriminatoria, è oramai acquisito il carattere oggettivo della discriminazione[18]. La Cassazione[19], intervenendo in un caso di licenziamento di una lavoratrice che manifesta l’intenzione di assentarsi dal lavoro per sottoporsi all’inseminazione artificiale, ha ritenuto il licenziamento discriminatorio in quanto fondato sul sesso e non riconducibile a motivo illecito, rilevando che le future assenze dal lavoro indotte dall’inseminazione costituiscono una condotta legittima che è esclusiva della donna. La Cassazione trova l’occasione per tracciare la linea di demarcazione tra licenziamento discriminatorio e licenziamento determinato da motivo illecito. Il licenziamento discriminatorio per la Cassazione non è attratto nella fattispecie del licenziamento determinato da motivo illecito ai sensi dell’art. 1345 c.c. L’equivoco nasce dall’assimilazione del licenziamento discriminatorio al licenziamento ritorsivo, in relazione al quale la consolidata giurisprudenza della Corte [20] ha affermato non essere sufficiente che il licenziamento sia ingiustificato, essendo piuttosto necessario che il motivo, preteso illecito, sia stato l’unico determinante. [continua ..]


6. Il ripristino del rapporto e le conseguenze riparatorie in caso di illegittimità di interposizione e di trasferimento d’azienda tra diversità e irrazionalità

Tralasciando altri casi di vuoto normativo, incertezza o irrazionalità trattati altrove [41], qui si può far riferimento ad altri due di notevole rilevanza e attualità, considerata la recente evoluzione del lavoro: all’interposizione illegittima (somministrazione irregolare e appalto non genuino) e al trasferimento d’azienda nullo dove si ammette il diritto del lavoratore al ripristino del rapporto di lavoro nel primo caso con l’utilizzatore della prestazione, nel secondo con il cedente. I fenomeni hanno rilevanza in quanto si incrociano con le conseguenze del licenziamento: si negano l’applicazione dell’art. 18 Stat. lav. e in particolare, non senza contrasti, le conseguenze risarcitorie e si ammettono quelle retributive all’inottemperanza all’ordine del giudice. In particolare, di recente le Sezioni Unite della Cassazione [42] intervengono sulla questione con riguardo all’interposizione illegittima e ribadiscono il principio del ripristino del rapporto. Componendo il dibattito sulla natura retributiva o risarcitoria dei compensi richiesti dai lavoratori a seguito della pronuncia che ha riconosciuto l’interposizione fittizia, ritengono che non può trovare applicazione l’art. 18 Stat. lav. che, riconducendo i compensi dovuti dal datore di lavoro in caso di accertata illegittimità del licenziamento nell’ambito del risarcimento del danno, si caratterizza come norma derogatoria rispetto al diritto comune delle obbligazioni. Le Sezioni unite esaminano l’alternativa – art. 18 o diritto comune – al fine di valutarne la loro attuale applicabilità, alla luce di una necessaria interpretazione costituzionalmente orientata delle norme, nell’ipotesi del rifiuto dell’utilizzatore di ricevere la prestazione offerta dal lavoratore, negando la riammissione in servizio e non ottemperando all’ordine giudiziale che, accertata l’interposizione fittizia della manodopera, ha affermato la sussistenza del rapporto di lavoro con l’interponente fin dall’origine. Sulla base degli spunti suggeriti dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 303 del 4 novembre 2011 [43], le Sezioni Unite affermano che, nel momento successivo alla declaratoria di nullità dell’interposizione di manodopera, a fronte della messa in mora (offerta della prestazione lavorativa) e [continua ..]


7. Il futuro "non cominciato": reintegrazione e astreinte per la tutela effettiva contro i licenziamenti illegittimi

L’analisi evidenzia la sussistenza di principi e diritti, ben radicati nella Costituzione, per continuare a ritenere la reintegrazione – come il ripristino del rapporto in altri fattispecie – la migliore e prioritaria risposta dell’ordinamento all’illegittima privazione del lavoro e alla garanzia dell’effettività dei diritti, fatte salve specifiche e giustificate eccezioni fondate su altrettanti fondamenti costituzionali (come il lavoro nella micro-impresa). Le ragioni del ritorno allo standard della reintegrazione possono sostenersi anche condividendo l’idea secondo la quale il giudizio sull’illegittimità dei licenziamenti individuali e collettivi s’incentrerà sulla valutazione discrezionale del datore di lavoro della colpa del lavoratore, per ammettere o escludere la sussistenza di un intento discriminatorio [50]. La reintegrazione e il rispristino andrebbero sostenuti con misure coattive indirette che assumano i connotati dell’astreinte, come nel caso del licenziamento illegittimo del dirigente sindacale (art. 18, comma 11, Stat. lav.) ovvero con l’estensione dell’ambito applicativo dell’art. 614bisc.p.c. ai rapporti di lavoro o, ancora, con l’utilizzazione della misura compulsoria contemplata dal codice del processo amministrativo. In tal modo si libererebbe la misura risarcitoria dalla “mezza” funzione sanzionatoria e questa non si appoggerebbe, rischiando di “cadere, sulle dimensioni strutturali, aleatorie e variegate del risarcimento del danno. È un’idea in controtendenza che, per quanto argomentato, si colloca nell’ambito di fondamentali regole di civiltà giuridica piuttosto che di pura utopia sociale [51].


NOTE