Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
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Part-time, rifiuto della formazione obbligatoria in orario di lavoro supplementare, licenziamento per giustificato motivo oggettivo (di Gianluca Liguori, Dottore di ricerca in Diritto del lavoro – Università degli Studi di Roma Tre)


Il lavoratore è tenuto a seguire il corso di formazione obbligatoria tenuto in orario diverso dall’orario contrattuale ma coincidente con ore di lavoro supplementare esigibili dal datore di lavoro. Il rifiuto ingiustificato può integrare giustificato motivo oggettivo di licenziamento.

Cass. civ., Sez. Lav., 14 luglio 2023, n. 20259 – Pres. Raimondi – Rel. Pagetta

SOMMARIO:

1. Il caso deciso - 2. Formazione obbligatoria e orario di lavoro - 3. Rifiuto di svolgimento della formazione obbligatoria e giustificato motivo oggettivo di licenziamento - NOTE


1. Il caso deciso

La sentenza annotata affronta questioni giuridiche di particolare complessità e delicatezza, che si innestano sul tema più ampio, e di stretta attualità, del rapporto tra tempo di lavoro e tempo di vita [1] e della prevedibilità della collocazione oraria dell’impegno lavorativo [2]. Il caso deciso dalla Corte riguarda, infatti, un lavoratore assunto con contratto di lavoro part-time che si era rifiutato di completare il corso di formazione obbligatorio in tema di salute e sicurezza, in quanto la parte conclusiva di tale corso era stata programmata dal datore di lavoro in orario non corrispondente all’orario di lavoro concordato nel contratto di assunzione. A seguito del mancato completamento del corso, il lavoratore era stato licenziato per giustificato motivo oggettivo. Il giudice di primo grado, accogliendo il ricorso proposto dal lavoratore, aveva dichiarato l’illegittimità di tale licenziamento, ma la sua decisione era stata riformata dalla Corte d’Appello. La Cassazione, nel confermare la sentenza d’appello, ha ritenuto legittimo il licenziamento sulla base di tre ordini di ragioni. Da un lato, ha ritenuto che il lavoratore fosse tenuto a seguire il corso di formazione, perché esso, pur essendo stato programmato in un orario diverso dall’orario di lavoro stabilito nel contratto di lavoro part-time, coincideva con ore di lavoro che potevano essere richieste dal datore di lavoro a titolo di “lavoro supplementare” ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. n. 81/2015 [3]. D’altro lato, essendo stato accertato che, nel caso di specie, il limite legale di esigibilità del lavoro supplementare non sarebbe stato oltrepassato dalla partecipazione al corso, la Cassazione ha, coerentemente, ritenuto che il rifiuto del lavoratore di parteciparvi sarebbe stato consentito solo ove egli avesse dedotto l’esistenza di una di quelle «comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale» che giustificano il rifiuto di svolgimento del lavoro supplementare [4]. Infine, ha ritenuto che il rifiuto del lavoratore di completare il corso di formazione configuri un giustificato motivo oggettivo di licenziamento, non potendo il datore di lavoro utilizzare proficuamente la prestazione di un lavoratore che non sia in possesso della adeguata formazione prescritta dalla legge. Dando per scontato che [continua ..]


2. Formazione obbligatoria e orario di lavoro

L’art. 37, comma 12, d.lgs. n. 81/2008 prescrive che la formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro avvenga «durante l’orario di lavoro». Si tratta, quindi, di sapere se tale locuzione debba essere intesa in modo restrittivo, limitandone la riferibilità al solo orario di lavoro “normale” [5], ovvero in modo estensivo, così da ricomprendere anche l’orario eccedente, come nel caso del lavoro supplementare e del lavoro straordinario. La questione ha un limitato rilievo pratico se riferita ad un ordinario contratto di lavoro a tempo pieno, in quanto il d.lgs. n. 66/2003 offre al datore di lavoro una pluralità di strumenti utilizzabili per collocare diversamente nel tempo la prestazione di lavoro [6] e far rientrare, così, nell’orario “normale” quello individuato per lo svolgimento del corso di formazione [7]. La questione diviene invece più complessa con riferimento al contratto di lavoro a tempo parziale, il quale, sulla base delle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale [8], deve salvaguardare “la programmabilità del tempo di non lavoro” da parte del lavoratore, anche al fine di consentirgli di svolgere eventualmente una seconda attività lavorativa necessaria per assicurarsi una retribuzione (complessiva) sufficiente a realizzare un’esistenza libera e dignitosa. Ne consegue che tanto la modifica della collocazione oraria della prestazione, quanto la variazione in aumento di quest’ultima, sono sottoposte agli specifici limiti e condizioni che regolano le clausole elastiche, il lavoro supplementare e il lavoro straordinario (art. 6 d.lgs. n. 66/2003), allo scopo di contenere e circoscrivere l’inci­denza delle modifiche dell’orario di lavoro sui tempi di vita del lavoratore part-time [9]. A mio avviso, la soluzione adottata dalla Cassazione, con la sentenza annotata, merita di essere condivisa. Va osservato, anzitutto, che l’obbligo di svolgimento della formazione “durante l’orario di lavoro” ha una duplice rilevanza, poiché esso implica non solo che la formazione obbligatoria deve essere retribuita (in quanto svolta durante l’orario di lavoro), ma anche che il suo svolgimento non può essere collocato in un tempo diverso da quello dell’orario di lavoro. Ciò posto, e per quel che più rileva, va [continua ..]


3. Rifiuto di svolgimento della formazione obbligatoria e giustificato motivo oggettivo di licenziamento

Secondo l’indirizzo prevalente della dottrina e della giurisprudenza, il rifiuto ingiustificato del lavoratore di svolgere la formazione obbligatoria, integrando una violazione dell’art. 20 del d.lgs. n. 81/2015, configura condotta rilevante sul piano disciplinare e può costituire giustificato motivo soggettivo di licenziamento [23]. Nel caso di specie, però, come si è detto, il licenziamento era stato intimato dal datore di lavoro per giustificato motivo oggettivo individuato nell’impossi­bi­lità sopravvenuta di continuare ad utilizzare la prestazione del lavoratore che non aveva svolto la formazione obbligatoria prevista dalla legge in materia di salute e sicurezza. Tale prospettazione appare in linea con l’orientamento che include tra le fattispecie legittimanti il licenziamento oggettivo anche vicende che ineriscono la persona del lavoratore, nella misura in cui esse incidano sull’organizzazione aziendale [24]. La mancata e non giustificata collaborazione del lavoratore alla creazione e al mantenimento di un ambiente di lavoro sicuro (per sé e per gli altri) determina una situazione di fatto che incide in maniera oggettiva sul sinallagma del contratto [25] perché il datore di lavoro, essendo responsabile dell’obbligazione di sicurezza prevista dall’art. 2087 c.c., non può proficuamente impiegare un lavoratore adeguatamente “formato”, pena, in caso di violazione, le conseguenze che ne derivano sia civilmente che penalmente [26]. Precisato, dunque, che il mancato svolgimento della formazione obbligatoria può configurare in astratto il giustificato motivo oggettivo di licenziamento [27], si pone un ulteriore problema, che è quello di sapere se sul datore di lavoro incomba, comunque, l’onere di provare anche l’impossibilità del “repechage” del lavoratore in una diversa posizione di lavoro compatibile con la parte di formazione che il lavoratore aveva svolto prima di opporre il suo rifiuto al completamento del corso. Al riguardo, è da registrare come l’orientamento della giurisprudenza non sia affatto univoco. Mentre un indirizzo attribuisce all’obbligo di ripescaggio carattere di principio generale applicabile a tutte le ipotesi di giustificato motivo oggettivo [28], si afferma, da altro indirizzo, che tale obbligo non trova applicazione nel caso in [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2023