Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Assegno di inclusione e dovere di lavorare (di Antonio Vallebona, Professore emerito di diritto del lavoro – Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”)


Il saggio tratta dell'assegno di inclusione e del dovere di lavorare.

Support allowance (assegno di inclusione) and duty to work

The essay deals with support allowance (assegno di inclusione) and duty to work.

SOMMARIO:

1. Assegno di inclusione - 2. Emigrazione degli italiani - 3. Reddito di cittadinanza - 4. Posti di lavoro decontribuiti e detassati - 5. Mancanza di lavoratori italiani - 6. Denatalità - 7. Attuazione degli artt. 39 e 46 Cost.


1. Assegno di inclusione

L’assegno di inclusione, previsto dal d.l. n. 48/2023 convertito in legge n. 85/2023, ha sostituito il reddito di cittadinanza. La differenza più rilevante è indicata nell’art. 9, secondo cui il beneficiario dell’assegno di inclusione è tenuto ad accettare un’offerta di lavoro a tempo indeterminato senza limite di distanza nell’ambito del territorio nazionale


2. Emigrazione degli italiani

Gli italiani emigravano nelle Americhe (USA, Argentina) alla fine dell’800, poi dopo la seconda guerra mondiale emigravano nei paesi del nord Europa (si ricorda la tragedia di Marcinelle in Belgio del 1956) ed infine c’è stata una emigrazione interna dal sud al nord d’Italia (si ricorda il film di Lina Wertmüller del 1972 “Mimì metallurgico ferito nell’onore”). Ovviamente le ragioni di queste migrazioni erano la povertà degli italiani che non riuscivano a trovare un lavoro ben compensato nel luogo di nascita. Da qualche anno nel mondo globalizzato è ripresa l’emigrazione degli italiani, anche quelli laureati, per percepire nello stesso lavoro una retribuzione molto più alta di quella erogata in Italia (ad esempio i medici). Ma sono tanti quelli che non vogliono emigrare, ma cercare un lavoro nelle città in cui risiedono.


3. Reddito di cittadinanza

Il reddito di cittadinanza creato nel 2019 aveva due obiettivi: assistere i poveri senza lavoro; cercare un posto di lavoro per la persona che beneficiava del predetto reddito. Il primo obiettivo è stato realizzato, mentre il secondo è fallito. Pertanto i titolari del reddito di cittadinanza incassavano questo reddito, ma non lavorano o lavorano in nero commettendo un reato.


4. Posti di lavoro decontribuiti e detassati

Il contrasto alla povertà deve essere effettuato mediante creazione di posti di lavoro decontribuiti ed esenti da imposte per qualche anno. Così l’imprenditore risparmia i contributi e il lavoratore riceve una retribuzione netta pari a quella lorda per il predetto periodo. Altro non si può fare.


5. Mancanza di lavoratori italiani

Purtroppo da qualche anno i lavoratori italiani rifiutano i posti di lavoro in agricoltura, in edilizia, nel settore alberghiero e vengono sostituiti in parte dagli immigrati. I sindacati dei datori di lavoro rilevano che mancano circa cinquecentomila lavoratori. Pertanto i flussi migratori sono essenziali per l’economia italiana, purché queste persone siano state addestrate nel paese di origine.


6. Denatalità

Del resto la popolazione italiana si sta riducendo, in quanto le donne italiane dagli anni ’80 in poi fanno in media 1,30 figli, mentre il tasso di sostituzione è di 2,1. Sicché negli anni ’50 e ’60 nascevano 1 milione di figli all’anno, mentre dopo sono nati circa 400.000 all’anno. Il calo demografico incide non solo per il numero di lavoratori, ma anche per le pensioni di vecchiaia in regime di ripartizione (pensioni pagate con contributi versati nello stesso periodo), in quanto i lavoratori attivi si sono ridotti, mentre la vita media si è accresciuta. Sicché la c.d. legge Fornero del 2011, che prevede l’età pensionabile a 67 anni e oltre, è del tutto giusta.


7. Attuazione degli artt. 39 e 46 Cost.
Fascicolo 4 - 2023