Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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Whistleblowing, alla luce del d.lgs. N. 24/2023, attuativo della dir. Ue n. 2019/1937 sulla protezione dei segnalanti (di Vincenzo Maria Tedesco, Giudice della Sezione Lavoro del Tribunale di Bari)


Lo scritto esamina la disciplina italiana della protezione di coloro che segnalano illeciti appresi in contesti lavorativi, dopo la direttiva UE n. 2019/1937 e la sua attuazione mediante il d.lgs. n. 23/2024. Le disposizioni di legge, ispirate a garantire la libertà di espressione dei lavoratori, mirano a rafforzare la protezione rispetto alle possibili ritorsioni. Il punto centrale è perciò quello relativo alla concreta attuazione delle tutele in sede processuale, anche considerando che le norme non garantiscono il lavoratore per qualsiasi segnalazione, ma solo se essa si collochi in determinati contesti e sia avvenuta con specifiche modalità.

The whistleblowing after d.lgs. N. 24/2023, wich has implementated the ue directive ue n. 2019/1937 about the protection of reporters

The paper examines the Italian regulation of the protection of those who report offenses learned in work contexts, after EU Directive no. 2019/1937 and its implementation through Legislative Decree no. 23/2024. The legal provisions, inspired to guarantee the freedom of expression, aim to strengthen protection against possible retaliations. The central point is therefore that relating to the concrete implementation of the protections in the procedural context, also considering that the rules do not guarantee the worker for any report, but only if it occurs in certain contexts and has occurred with specific methods.

SOMMARIO:

1. Gli scopi della tutela nella sua evoluzione normativa - 2. La libertà di espressione negli ambienti di lavoro: le origini della disciplina - 3. L’assetto pretorio preesistente ed ora coesistente - 4. Il divieto di ritorsione nel sistema del d.lgs. n. 24/2023 - 5. Le tutele contro le condotte ritorsive - 6. Considerazioni conclusive - NOTE


1. Gli scopi della tutela nella sua evoluzione normativa

L’articolato processo evolutivo che ha riguardato la tutela di coloro i quali riferiscano di possibili altrui illeciti [1]ha comportato, inevitabilmente, la necessità di comprendere quale sia attualmente il punto di approdo e se esso possa ritenersi stabile. Nel corso di poco più di dieci anni, infatti, si sono avvicendate quattro discipline di legge, l’ultima delle quali non solo recepisce, come noto, apposita direttiva del­l’U­nione Europea ma procede anche ad un’opera di riproposizione e contestuale ridefinizione delle disposizioni precedenti [2]. Giocoforza, dunque, entrato – da ultimo – in vigore il d.lgs. n. 24/2023, ci si chiede quanto la disciplina del whistleblowing abbia inciso sui tradizionali principi, quali possano essere i maggiori dubbi applicativi e se gli obiettivi sottesi alle nuove norme possano dirsi efficacemente realizzati. Il tratto costante delle disposizioni sulla protezione degli informatori di altrui illeciti, a prescindere delle versioni avvicendatesi nel tempo, è comunque insito nel coinvolgimento del diritto del lavoro. Da un lato, il contesto lavorativo permette di conoscere circostanze di fatto altrove ignote; dall’altro lato, proprio nella dialettica lavorativa [3], v’è il maggior rischio di ritorsioni efficaci, ossia idonee a scoraggiare colui che intenda effettuare una segnalazione, denuncia o divulgazione pubblica. A ben vedere, in realtà, l’esigenza, prettamente lavoristica, di proteggere i segnalanti contro possibili reazioni illecite perpetrate nei loro confronti, giudicate non tollerabili dall’ordinamento, rappresenta l’unico punto saldo che può essere raggiunto, laddove ci si impegni nella ricerca degli scopi perseguiti dal legislatore. Infatti, se si prescinde da questo minimo comune denominatore, deve rimarcarsi come i sistemi delineati dalla legge nel corso del tempo (rectius del breve lasso di tempo trascorso tra l’anno 2012 e l’anno 2023), sono stati assai differenti l’uno dal­l’altro. Questa diversità ha reso sostanzialmente impossibile sia l’individuazione unitaria di un altro bene giuridico garantito, sia il rinvenimento di una costante tecnica di protezione. In effetti, si è transitati da un modello normativo originario – di matrice nazionale – di esclusivo presidio dell’imparzialità e del buon [continua ..]


2. La libertà di espressione negli ambienti di lavoro: le origini della disciplina

Che la libertà di espressione del lavoratore fosse il vero bene giuridico protetto lo si desume anche dalle origini – giurisprudenziali – della disciplina che, come noto, affonda le sue radici nelle decisioni rese dalla Corte Europea dei Diritti del­l’Uomo. Come, infatti, si legge nella decisione della Grande Camera del 2023 [5], la tutela della libertà di espressione sul luogo di lavoro costituisce principio consolidato nella giurisprudenza della Corte EDU, che ha gradualmente individuato un’esigenza di protezione speciale per i dipendenti che, in violazione delle norme loro applicabili, rivelano informazioni riservate ottenute sul posto di lavoro. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha così individuato dei criteri per valutare se ed in che misura un individuo che divulghi informazioni riservate, ottenute sul proprio posto di lavoro, possa avvalersi della protezione dell’art. 10 della Convenzione [6]. Ha inoltre specificato le circostanze in cui le sanzioni imposte in risposta a tali divulgazioni potrebbero interferire con il diritto alla libertà di espressione e costituire una violazione dell’art. 10 della Convenzione. Per quanto preme sottolineare in correlazione alla disciplina dettata dal legislatore dell’Unione Europea e dal legislatore italiano, dunque, già nelle decisioni della Corte di Strasburgo si è venuto ad enucleare un settore specifico di regole e principi, espressamente dedicato alla libertà di espressione nel luogo di lavoro, nel particolare frangente della segnalazione di altrui comportamenti illeciti. Non a caso, ogni qual volta non si è posto un problema di lealtà nei confronti del datore di lavoro, la Corte EDU [7] non ha proprio preso in considerazione questioni concernenti lo specifico tema del whistleblowing, quali quelle relative alla sussistenza o meno di canali di divulgazione alternativi alla diffusione pubblica di una notizia. Del resto, l’esistenza di un sotto-sistema, a sé stante, precipuamente dedicato al contesto lavorativo ed ispirato alla protezione dei dipendenti segnalanti, è stata pienamente colta e ribadita nella Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa del 30 aprile 2014. In quest’ultima, infatti, in modo del tutto coerente alla giurisprudenza della Corte EDU: –   il whistleblower è stato identificato in [continua ..]


3. L’assetto pretorio preesistente ed ora coesistente

Nel nostro ordinamento nazionale, comunque, meccanismi peculiari di tutela non erano affatto ignoti [8] prima che intervenisse specificamente il legislatore (negli anni dal 2012 al 2023) [9]. Infatti, sotto la stella polare dell’art. 1 legge n. 300/1970 [10], che – è bene ricordarlo – consacra il diritto dei lavoratori di libera manifestazione del loro pensiero, la giurisprudenza di legittimità si è, da sempre, misurata con la contrapposta questione dei doveri di diligenza e fedeltà imposti dall’art. 2105 c.c. Proprio in questo contesto, le consolidate coordinate ermeneutiche relative al diritto di critica tout court sui luoghi di lavoro, da anni hanno conosciuto una particolare declinazione pretoria. È quella relativa alla “condotta del lavoratore che denunci all’autorità giudiziaria o all’autorità amministrativa fatti commessi dal datore, in violazione delle norme penali o delle disposizioni che, nel disciplinare il rapporto di lavoro, nei suoi diversi e molteplici aspetti, impongono regole di comportamento soggette a sanzione” [11]. In questi frangenti, in effetti, la Suprema Corte non ha mai esitato nel definire un campo ben più ristretto di legittimo esercizio del potere disciplinare, sostanzialmente proponendo il medesimo contro-limite poi individuato dal legislatore [12]: quello della diffamazione o della calunnia. In particolare, il punto chiave della giurisprudenza di Cassazione è stato quello dell’esclusione dei limiti di continenza formale e sostanziale; se, infatti, si discute di denunce o di esposti, non si può pretendere che chi li effettua si astenga dall’attri­buire all’incolpato condotte disonorevoli ed offensive della sua reputazione [13]. Dunque, tra le origini pretorie e l’attuale disciplina di legge c’è collegamento e c’è continuità [14]. Il che è assolutamente rilevante, dato che i due sistemi di regole sono attualmente destinati a convivere. Infatti, i tradizionali principi di diritto della Cassazione ancora rappresenteranno l’unica protezione dei contesti non coperti dal d.lgs. n. 24/2023, tra i quali figurano non solo i rapporti con datore di lavoro privato non soggetto al medesimo decreto ma anche gli esposti all’autorità amministrativa che non hanno seguito i canali di segnalazione [continua ..]


4. Il divieto di ritorsione nel sistema del d.lgs. n. 24/2023

Come anticipato, il cuore pulsante della nuova disciplina lavoristica dettata dal d.lgs. n. 24/2023 è il divieto di ritorsione (art. 17), ossia di qualsiasi comportamento, atto od omissione, anche solo tentato o minacciato, posto in essere in ragione della segnalazione, della denuncia all’autorità giudiziaria o contabile o della divulgazione pubblica e che provoca o può provocare alla persona segnalante o alla persona che ha sporto la denuncia, in via diretta o indiretta, un danno ingiusto (art. 2, comma 1, lett. m). Prima di esaminare in cosa si estrinsechi questo divieto, è bene però rimarcare che la ricerca di un danno ingiusto, sebbene espressamente richiesta dalla norma senza alcuna distinzione tra ipotesi non nominate ed ipotesi tipiche (“di seguito sono indicate talune fattispecie che” costituiscono ritorsioni “qualora siano riconducibili all’articolo 2, comma 1, lettera m”), è sostanzialmente superflua per tutte quelle espressamente elencate dall’art. 17, comma 4, lett. a), ss. Ciò vale, sicuramente, per le determinazioni datoriali incidenti sulla stessa persistenza del rapporto di lavoro (licenziamento, risoluzione anticipata o mancato rinnovo del rapporto di lavoro a termine), sull’inquadramento (retrocessione di grado o mancata promozione), sul trattamento economico del prestatore (riduzione dello stipendio) o sul piano disciplinare. Ma vale anche per il mutamento di mansioni, del luogo e dell’orario di lavoro, essendo difficilmente predicabile che il giudice debba ulteriormente stabilire il carattere concretamente pregiudizievole della scelta datoriale [15]. Ad opinare diversamente, la tutela del diritto di critica (e, quindi, di segnalazione) sarebbe frustata, poiché si costringerebbe il segnalante, per il viatico del danno ingiusto, a dimostrare di essere stato sfavorito dalla controparte, proprio quando la legge pone tale onere a carico della sua controparte. Il d.lgs. n. 24/2023, infatti, stabilisce due presunzioni circa il fatto che comportamenti, atti od omissioni pregiudizievoli siano stati posti in essere a causa di una segnalazione, divulgazione pubblica o denuncia all’autorità giudiziaria o contabile e che, sul piano risarcitorio, sussista nesso causale con il danno arrecato. Presunzioni di carattere relativo, visto che è salva la facoltà di provare che tali condotte o atti sono motivati da [continua ..]


5. Le tutele contro le condotte ritorsive

Una volta acclarato che una certa misura datoriale abbia avuto effettivamente portata ritorsiva, resta comunque da chiedersi quale tipo di tutela possa essere approntata per il lavoratore segnalante. Il tema non è di poco conto, specie laddove la pretesa del lavoratore sia quella di ottenere statuizioni giudiziali di tipo costitutivo o, comunque, ampliative della propria sfera giuridica. Innanzitutto, alcun problema si pone per il caso in cui l’intento ritorsivo datoriale si sia tradotto in un licenziamento: per questo frangente, infatti, l’art. 19, comma 3, d.lgs. n. 24/2023 riconosce espressamente il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, ai sensi dell’art. 18 legge n. 300/1970 o dell’art. 2 d.lgs. n. 23/2015, in ragione della specifica disciplina applicabile al lavoratore [22]. Parimenti non risultano controverse le ipotesi di sanzioni disciplinari e per tutte quelle in cui la sfera giuridica dell’interessato è già suscettibile di essere ripristinata per effetto dell’affermazione della nullità dell’atto datoriale (si pensi alla retrocessione di grado, al mutamento di funzioni, al cambiamento del luogo di lavoro, alla modifica dell’orario di lavoro, alla riduzione dello stipendio, alla risoluzione anticipata di un contratto di lavoro a termine). Il dubbio, piuttosto, sorge laddove, a fronte della statuizione di nullità, l’inte­grale riparazione della sfera giuridica del segnalante postuli l’attribuzione di un ulteriore bene della vita allo stesso soggetto protetto, poiché – ad esempio – parte datoriale ha negato una promozione oppure non ha convertito un contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Per tali frangenti, benché l’art. 19, comma 4, d.lgs. n. 24/2023 espressamente disponga l’adozione di tutte le misure, anche provvisorie, necessarie ad assicurare la tutela alla situazione giuridica soggettiva azionata, difficilmente il giudice potrà riconoscere un diritto che prima non esisteva, senza che ne ricorrano tutti i relativi presupposti previsti dalla legge e finanche invadendo la discrezionalità della P.A. o comunque la libertà di iniziativa economica del datore di lavoro privato. È, perciò, del tutto ragionevole prefigurare che il meccanismo più efficace di protezione sarà quello del risarcimento, a titolo di [continua ..]


6. Considerazioni conclusive

Un giudizio conclusivo dell’ultimo approdo cui è pervenuta la disciplina del whistleblowing sconta, inevitabilmente, le incertezze circa la frequenza della sua futura ed effettiva operatività. Un segnale positivo, in questa direzione, proviene dalla constatazione che, a poche settimane dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 24/2023, quest’ultimo è già stato invocato in giudizio cautelare dinnanzi alla Sezione lavoro del Tribunale di Milano [23]. Altro aspetto incoraggiante deriva dal rilievo che le questioni affrontate dalla Corte di Cassazione nel marzo del 2023 [24], circa l’esclusione della tutela ex art. 54 – -bis d.lgs. 165/2001 nei confronti di soggetti che abbiano segnalato illeciti da loro stessi commessi, più agevolmente sarebbero state risolte, sotto la vigenza del d.lgs. n. 24/2023, in forza della espressa previsione secondo cui esso non si applica alle contestazioni legate ad un interesse di carattere personale del segnalante o della persona che ha sporto una denuncia all’autorità giudiziaria o contabile che attengono esclusivamente ai propri rapporti individuali di lavoro o di impiego pubblico. Di certo, inoltre, l’effettiva operatività della nuova normativa è già assicurata dalla Delibera n. 301 del 12 luglio 2023, con la quale l’Autorità Nazionale Anticorruzione ha prontamente esercitato le proprie prerogative regolamentari in tema di gestione delle segnalazioni esterne e procedimenti sanzionatori. A quest’ultimo proposito, in particolare, sono stati già definiti dall’ANAC i procedimenti da seguire per l’eventuale irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie nei casi di, rispettivamente: – ritorsione (anche se adottata nei confronti dei soggetti diversi dal whistleblower e menzionati dall’art. 3, comma 5, d.lgs. n. 24/2023); – condotta volta ad ostacolare o a tentare di ostacolare la segnalazione di illeciti ovvero la segnalazione esterna; – violazione dell’obbligo di riservatezza; – assenza dei canali di segnalazione, mancata adozione di procedure per l’effettuazione e la gestione delle segnalazioni oppure ancora adozione, da parte di soggetti del settore pubblico o privato, di procedure non conformi a quelle di cui agli artt. 4 e 5 d.lgs. n. 24/2023; – mancata gestione della segnalazione di illeciti; – falsità della [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2023