Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
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Il corrispettivo del patto di non concorrenza tra determinatezza e congruità (di Raffaele Fabozzi, Professore ordinario di Diritto del lavoro – Università Luiss Guido Carli di Roma)


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Cassazione civile, Sez. lav., 11 novembre 2022, n. 33424 – Pres. Tria – Rel. Michelini

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La nullità del patto di non concorrenza per indeterminatezza o indeterminabilità del corrispettivo e quella per assenza o incongruità dello stesso operano su piani diversi, risolvendosi la prima nella violazione dell’art. 1346 c.c. mentre la seconda nella violazione dell’art. 2125 c.c.

1. Con ordinanza dell’11 novembre 2022, n. 33424, la Suprema Corte ha cassato la sentenza della Corte di Appello di Milano del 18 dicembre 2017, n. 1884, che – confermando la sentenza di primo grado – ha statuito la nullità di un patto di non concorrenza. Nello specifico, la Corte di Appello ha ritenuto nullo il patto «per indeterminatezza ed indeterminabilità del corrispettivo del sacrificio richiesto al lavoratore, in quanto correlato alla durata del rapporto di lavoro, in mancanza di un importo minimo e perciò non congruo; detto importo era pari a Euro 10.000 all’anno (da pagarsi in 2 rate semestrali posticipate all’anno) per 3 anni, a fronte di un impegno di non concorrenza per 20 mesi dalla cessazione del rapporto» [1]. In altri termini, secondo la sentenza impugnata, la nullità deriverebbe dalla circostanza che in caso di cessazione del rapporto di lavoro prima della scadenza del triennio, il lavoratore non avrebbe percepito l’intero importo di € 30.000,00, bensì un importo collegato alla durata del rapporto (e, appunto, ritenuto non determinato né determinabile). In accoglimento di uno dei motivi di ricorso, la Suprema Corte ha considerato viziate le argomentazioni della sentenza gravata, disponendo la cassazione della stessa. 2. Punto di partenza della sentenza in commento è il contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili della sentenza impugnata, la quale ritiene che il corrispettivo del patto di non concorrenza, per un verso, sarebbe indeterminato ed indeterminabile; per altro verso, che sarebbe incongruo (contraddicendo la prima statuizione). In questi termini, la sentenza presenta una anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante[2], «tale da rendere non realmente comprensibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento del giudice, precludendo un effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento»[3]. Condivisibilmente, la Corte ribadisce che il patto di non concorrenza, ancorché stipulato contestualmente al contratto di lavoro (ed a volte nello stesso inserito), è autonomo rispetto a quest’ultimo e, pertanto, i relativi elementi essenziali vanno esaminati distintamente [4]. Limitandoci al corrispettivo, i requisiti della determinatezza (o determinabilità) e della congruità (entrambi necessari e, dunque, idonei ad inficiare il patto) rilevano su piani diversi e trovano il proprio referente normativo in differenti disposizioni. Quanto al primo, l’art. 1346 cc. dispone che l’“oggetto del contratto deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile”. Ebbene, la circostanza che il corrispettivo del patto di non concorrenza sia [continua..]