Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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La sanzione conservativa non tipizzata e la reintegrazione: quando l'“intenzione” del giudice prevale sull'“intenzione” del legislatore (di Carlo Pisani, Professore ordinario di Diritto del lavoro – Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”)


L’articolo prende in esame gli orientamenti giurisprudenziali che adottano un’interpre­tazione estensiva della seconda causale per l’applicazione della reintegrazione prevista dall’art. 18, comma 4, Stat. lav., nei casi il motivo del licenziamento sia sussumibile in una infrazione per la quale il contratto collettivo prevede una sanzione conservativa. Tale orientamento segue due strade: quella dell’interpretazione analogica, qualora il giudice ritenga di pari o inferiore disvalore disciplinare la condotta contestata rispetto a quella descritta espressamente dal codice disciplinare; oppure direttamente sussumendo il fatto nelle clausole del contratto collettivo contenenti previsioni generiche. Il saggio analizza criticamente questa interpretazione ritenendola non conforme alle finalità che il legislatore ha inteso perseguire con tale norma, come si desume anche da un’interpretazione sistematica della riforma rispetto alla precedente tecnica sanzionatoria uniforme della reintegrazione generalizzata; si mettono altresì in evidenza le incongruenze interpretative a cui può condurre una tale interpretazione estensiva.

Parole chiave: regime della reintegrazione – sanzioni conservative – interpretazione estensiva.

The untyped conservative sanction and reinstatement: when the “intention” of the court prevails over the “intention” of the legislator

L’articolo prende in esame gli orientamenti giurisprudenziali che adottano un’interpre­tazione estensiva della seconda causale per l’applicazione della reintegrazione prevista dall’art. 18, comma 4, Stat. lav., nei casi il motivo del licenziamento sia sussumibile in una infrazione per la quale il contratto collettivo prevede una sanzione conservativa. Tale orientamento segue due strade: quella dell’interpretazione analogica, qualora il giudice ritenga di pari o inferiore disvalore disciplinare la condotta contestata rispetto a quella descritta espressamente dal codice disciplinare; oppure direttamente sussumendo il fatto nelle clausole del contratto collettivo contenenti previsioni generiche. Il saggio analizza criticamente questa interpretazione ritenendola non conforme alle finalità che il legislatore ha inteso perseguire con tale norma, come si desume anche da un’interpretazione sistematica della riforma rispetto alla precedente tecnica sanzionatoria uniforme della reintegrazione generalizzata; si mettono altresì in evidenza le incongruenze interpretative a cui può condurre una tale interpretazione estensiva.

Keywords: reinstatement scheme – conservative penalties – broad interpretation.

SOMMARIO:

1. L’azione di controriforma della giurisprudenza nei confronti dell’art. 18 Stat. lav. - 2. La finalità della modifica dell’art. 18 e in particolare della seconda causale della reintegrazione prevista dal comma 4 - 3. Le incongruenze sistematiche e le possibili conseguenze interpretative paradossali dell’interpretazione estensiva - NOTE


1. L’azione di controriforma della giurisprudenza nei confronti dell’art. 18 Stat. lav.

L’art. 18 Stat. lav. riformato non trova pace, tra il fuoco incrociato della Corte Costituzionale, che ha di fatto eliminato la tutela indennitaria per il licenziamento oggettivo motivato dalla soppressione del posto [1], e la Cassazione, che in un recente orientamento, nel propugnare un’interpretazione estensiva della seconda causale del comma 4, riguardante il licenziamento per una infrazione per la quale il contratto collettivo prevede una sanzione conservativa, riduce notevolmente, forse sopprimendolo, l’ambito di applicazione del regime dell’indennità anche per quanto concerne il licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo [2]. Anche se probabilmente era prevedibile una reazione avversativa alla modifica del vecchio sistema sanzionatorio dell’art. 18 statutario, poiché tale riforme ha impattato sulle abitudini culturali e ideologiche di ampia parte della giurisprudenza e della dottrina del diritto del lavoro, rimasta nostalgica della precedente tecnica sanzionatoria uniforme della reintegrazione generalizzata [3], tuttavia ha comunque destato meraviglia l’eccedenza del soggettivismo giudiziario e del discorso politico sulle tecniche dell’interpretazione [4]. Aveva fatto appena in tempo la Cassazione a stabilizzarsi con un’interpretazione della causale del comma 4, sull’insussistenza del fatto rispettosa della ratio e della sistematica dell’art. 18, applicando la tutela indennitaria nel caso di licenziamento intimato per inadempimento sussistente ma non notevole [5], che ecco di nuovo si ripropone il regime della reintegrazione anche se sussiste l’inadempimento, questa volta utilizzando l’altra porta di accesso alla tutela reale prevista dal comma 4, ritenuta applicabile anche in assenza di una precisa tipizzazione da parte del contratto collettivo della sanzione conservativa. Per la verità, prima del 2021, la Cassazione si era mostrata rispettosa della ratio legis anche in relazione questa seconda causale prevista dal comma 4, affermando che l’applicazione della tutela reale in tale ipotesi presuppone l’abuso consapevole del potere disciplinare, che implica una sicura e intellegibile conoscenza preventiva da parte del datore di lavoro della illegittimità del provvedimento espulsivo, derivante dalla chiara riconducibilità del comportamento contestato nell’ambito della [continua ..]


2. La finalità della modifica dell’art. 18 e in particolare della seconda causale della reintegrazione prevista dal comma 4

È pur vero che il tenore letterale del quarto comma non si riferisce espressamente ad una condotta che debba essere puntualmente descritta dal contratto collettivo, come invece si esprime l’art. 30 della legge n. 183/2010, che utilizza il termine “tipizzazioni” a proposito delle previsioni di giusta causa o di giustificato motivo da parte dell’autonomia collettiva. Al riguardo, dunque, il dato testuale appare sostanzialmente neutro, prestandosi sia alla lettura restrittiva che a quella ampliativa. Ma è proprio in tali casi che diventa decisivo il criterio interpretativo costituito dalla intenzione del legislatore. E sotto questo aspetto il suddetto orientamento della giurisprudenza non può essere condiviso [12]. L’interpretazione qui in esame, infatti, non tiene conto che la finalità fondamentale perseguita dal legislatore nel riformare l’art. 18 statutario è stata, con tutta evidenza, quella di attribuire alla sanzione indennitaria la funzione di regime ordinario di tutela, ridimensionando invece la tutela reintegratoria, si da renderla speciale rispetto a quella indennitaria, mediante la sua applicazione esclusivamente a ipotesi di più evidente ingiustificatezza, secondo i criteri previsti dalle due causali individuate nel quarto comma [13], come riconosciuto anche dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 30985/2017 [14], che, non a caso, hanno respinto l’orientamento che intendeva estendere l’applicazione del quarto comma dell’art. 18 Stat. lav. al licenziamento disciplinare preceduto da una tardiva contestazione dell’addebito [15]. Applicare, invece, la reintegrazione ogni qual volta il motivo del licenziamento sia riconducibile ad una previsione generica del contratto collettivo, come, ad es., “la negligenza nell’esecuzione del lavoro”, o la “inosservanza delle norme di legge e del presente contratto”, che sono riferibili a una vastissima gamma di inadempimenti del lavoratore, equivale ad operare un superamento della suddetta ratio normativa; in tal modo si determina, infatti, una drastica riduzione del campo di applicazione della tutela indennitaria, che da ordinaria diventa l’eccezione, in quanto risulta nei fatti improbabile rintracciare un inadempimento del lavoratore non riconducibile a previsioni così ampie e generali [16]. Tanto è vero che tutte le sentenze della [continua ..]


3. Le incongruenze sistematiche e le possibili conseguenze interpretative paradossali dell’interpretazione estensiva

Vi sono poi altre due incongruenze sistematiche che scaturiscono da questo orientamento. La prima riguarda il giudizio di proporzionalità tra condotta contestata e il regime di tutela applicabile. Anche se la Cassazione si preoccupa di ripetere che la sussunzione nella previsione generica del contratto collettivo non trasmoderebbe nel suddetto giudizio di proporzionalità, bensì riguarderebbe esclusivamente l’attività di interpretazione da parte del giudice, pare evidente che vi sia poco da interpretare di fronte alla palese genericità di simili clausole, se non (quasi) esclusivamente ricondurre il fatto a tale generica previsione. In tal modo, il giudizio di proporzionalità, che è “uscito dalla porta” del comma 4, attraverso una corretta interpretazione della causale riguardante l’insussistenza del fatto depurata da tale valutazione, rientra “dalla finestra” attraverso l’interpretazione estensiva dell’altra causale. La seconda conseguenza sistematica riguarda il giudizio sulla legittimità stessa del licenziamento, preliminare alla scelta del tipo di tutela accordabile. Occorre infatti al riguardo ricordare che, in base all’art. 12, legge n. 604/1966, il giudice deve esimersi da qualunque valutazione sulla proporzionalità, decretando automaticamente l’illegittimità del licenziamento, al cospetto di una “disposizione di miglior favore” prevista dal contratto collettivo, anche se la condotta contestata abbia i connotati di gravità richiesti dalla fattispecie legale della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo. Senonché l’art. 12, legge n. 604/1966, è applicabile, non solo alla scelta della tutela contro il licenziamento illegittimo, ma anche alla regola di giustificazione, vista l’ampia formulazione letterale della norma, che fa riferimento indistintamente alla “materia disciplinata dalla presente legge”, in cui rientrano, appunto, le nozioni di giustificato motivo soggettivo e oggettivo previste dall’art. 3. Sul punto fino ad ora la giurisprudenza si è mostrata prudente, ritenendo vincolante la previsione del contratto collettivo solo in presenza di illeciti tipizzati collegati a sanzioni conservative [20]. Ma, una volta adottata l’interpre­tazione del quarto comma secondo cui basta una indicazione generica del contratto collettivo [continua ..]


NOTE