Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Osservazioni in tema di trasferimento di azienda in crisi nel nuovo codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (di Stefano Bellomo, Professore ordinario di Diritto del lavoro – Sapienza Università di Roma)


L’articolo propone un esame critico delle disposizioni dedicate al trasferimento d’azienda nella nuova disciplina introdotta dal d.lgs. n. 14/2009, con particolare riguardo al coordinamento con la direttiva 2001/23/CE, alle incertezze sulle competenze derogatorie attribuite agli accordi collettivi ed alle difficoltà interpretative e di coordinamento della nuova disciplina rispetto all’intero quadro delle procedure di crisi, con specifico riguardo all’ammi­nistrazione straordinaria delle grandi imprese.

Parole chiave Crisi d’impresa – procedure concorsuali – riforma – trasferimento d’azienda – contrattazione collettiva – Unione Europea.

Some briefs considerations about the special regulation provided for the transfer of undertakings in italy’s new code of the business crisis and insolvency

The essay examines the reform of the special regulation devoted to the Transfer of undertakings in Italy’s New Code of the Business Crisis and Insolvency (Legislative Decree 14/2019), with particular regard to the connections with the Transfers of Undertakings Directive 2001/23/EC, to the amplitude of collective agreements’ power to derogate the general transfer’s rules within the information and consultation procedure provided for in the EU Directive and, finally, to the problems of interpretation and of consistency among new Code’s rules and the whole framework of the crisis procedures, especially with the one concerning the extraordinary administration of large insolvent companies.

Keywords: Company crises – Insolvency proceedings – New regulation – Transfer of undertakings – Collective agreements – European Union Law.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. La nuova struttura dell’art. 47 della legge n. 428/1990 e l’ina­deguatezza della distinzione tra procedure liquidatorie e non liquidatorie - 3. Ancora sull’incerta nozione di “condizioni di lavoro” - 3.1. Segue. Sul principio di solidarietà - 4. Il ruolo dell’autonomia collettiva e il perdurante problema del­l’efficacia degli accordi - 5. Il difetto di coordinamento con la procedura di amministrazione straordinaria - 6. Prospettive de iure condendo - NOTE


1. Introduzione

L’impegno scientifico e la sfida concettuale che chi si accinge oggi alla stesura di un commentario è chiamato a sostenere sono decisamente ammirevoli. È abbondantemente trascorsa, come per primi i curatori delle più recenti raccolte organiche di studi sul­l’intero arco delle tematiche giuslavoristiche possono confermare [1], la stagione (penso alle pur fondamentali raccolte edite nella fase poststatutaria) nella quale l’esposizione dei temi applicativi e dei problemi connessi al corpus legislativo giuslavoristico poteva risolversi in un’amministrazione di certezze, nell’ambito della quale i nodi problematici potevano risultare sicuramente suvvalenti rispetto ai punti fermi. Non è revocabile in dubbio come attualmente, sia per l’infittirsi delle intersezioni sia interne a ciascuna materia sia interdisciplinari, sia per la moltiplicazione degli influssi ascrivibili alla sempre più marcata connotazione multilivello degli ordinamenti che in forma convergente contribuiscono alla regolazione dei diversi istituti (emblematica da ultimo in questo senso l’esperienza della riforma del regime sanzionatorio dei licenziamenti, dalla genesi indotta dalle istituzioni europee per giungere alla sua “riscrittura” da parte della Corte Costituzionale, operata anche alla luce dei parametri interposti di fonte OIL, UE e mutati dalla Carta Sociale Europea), sia, infine, per il purtroppo costante scadimento del livello di esattezza tecnica e di qualità linguistica dei testi legislativi, la perlustrazione trasversale di ogni istituto sia caratterizzata da una prevalenza di dubia e di quaestiones, per riprendere il lessico della scolastica portato a nuova vita da Umberto Eco nella sua Storia della filosofia Europea, rispetto all’expositio litterae. Riprendendo la terminologia utilizzata da Falzea [2], l’accresciuta molteplicità tanto delle situazioni di interesse (riconducibili ai diversi ambiti valoriali della tutela del lavoro, della salvaguardia della libertà di impresa e del suo fondamentale addentellato concorrenziale, dell’interesse anche pubblico alla salvaguardia dell’occupa­zione, della promozione del ruolo degli attori sociali quali portatori di interessi della collettività dei lavoratori) quanto delle loro intersecate ricadute sociali, determina un proporzionale incremento del tasso di complessità [continua ..]


2. La nuova struttura dell’art. 47 della legge n. 428/1990 e l’ina­deguatezza della distinzione tra procedure liquidatorie e non liquidatorie

Come poc’anzi sottolineato, l’art. 47 della legge n. 428/1990, come in parte riformulato dal d.lgs. n. 14/2019, pone questioni nuove accanto ad interrogativi più tradizionalmente affrontati dagli interpreti. Tra queste ultime può certamente ricomprendersi la struttura basilare della norma ed in particolare la sequenza delle previsioni contenute negli attuali commi 4 bis, 5/5 bis e 5 ter, che rinvia implicitamente alla nota dicotomia, tracciata dalla legislazione e dalla giurisprudenza europea [5], in ordine alla natura della procedura concorsuale all’interno della quale la vicenda circolatoria si inserisce. La finalità liquidatoria o meno della procedura concorsuale costituisce, infatti, il discrimine dell’intensità derogatoria dei trattamenti riconosciuti o negoziabili rispetto agli ordinari effetti traslativi di cui agli artt. 3 e 4 della direttiva 2001/23/CE ed all’art. 2112 c.c. Dall’angolo visuale del diritto sovranazionale, la modalità e gli obiettivi della procedura di insolvenza costituiscono il punto nodale delle distinzioni operate della Corte di Giustizia, con la conseguenza che qualora la stessa non risulti finalizzata alla liquidazione dei beni del cedente non è consentita la deroga al principio di continuità dei rapporti di lavoro [6]. L’impostazione è stata poi ripresa dalla giurisprudenza nazionale [7] che, con particolare riferimento all’interpretazione dell’art. 47 nella formulazione attualmente vigente e sposando la linea della interpretazione adeguatrice, ha recepito le indicazioni fornite della Corte di Giustizia [8]. Anche il nuovo testo riprende tale distinzione, scomponendo l’art. 47 in tre blocchi derogatori all’interno dei quali sono suddivise le procedure concorsuali. Nel primo blocco derogatorio di cui al nuovo comma 4 bis dell’art. 47 sono state inserite le procedure volte alla continuazione dell’attività e cioè la procedura di concordato preventivo in regime di continuità indiretta, l’omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti, quando gli accordi non hanno carattere liquidatorio e la procedura di amministrazione straordinaria, ai sensi del d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270. Il secondo blocco derogatorio di cui ai commi 5 e 5 bis – che autorizza, in presenza di un accordo, la deroga all’art. 2112 c.c. – raggruppa [continua ..]


3. Ancora sull’incerta nozione di “condizioni di lavoro”

Altri punti di incertezza scaturiscono dall’introduzione di apparenti novità risolutive di questioni alimentate dalla formulazione della norma previgente. Si allude, in particolar modo, all’espresso riferimento nel nuovo testo del comma 4 bis, alle “condizioni di lavoro”. Tale nozione, che riprende espressamente quanto previsto dalla direttiva europea n. 23/2001 in omaggio agli insegnamenti della giurisprudenza comunitaria [19], sebbene rispecchi quanto espressamente previsto dall’art. 5, par. 2, lett. b), della direttiva n. 23/2001/CE, che consente la disapplicazione solo nella misura in cui la legislazione o le prassi in vigore nel Paese membro lo consentano, è un elemento affatto anodino. Pertanto, risulta di fondamentale importanza definire il contenuto e, dunque, l’ampiezza della deroga, poiché è da questa che dipende la perimetrazione del­l’ambito delle tutele applicabili ai lavoratori trasferiti. Infatti, tale precisazione è risultata necessaria nella versione previgente per la quale attraverso l’interpretazione adeguatrice della Corte di Cassazione [20] è stato precisato come non sia consentito derogare al principio di continuità dei rapporti di lavoro [21]. Tuttavia, una volta esclusa la possibilità, anche per la fonte collettiva, di intervenire sul principio di continuità dei rapporti di lavoro, occorre indagare quali possano essere i significati puntualmente attribuibili all’espressione “condizioni di lavoro”. Essa è stata, infatti, pacificamente riferita al­l’anzianità di servizio, al trattamento retributivo, alle mansioni, all’orario, ma rimane espressione che potrebbe ingenerare non trascurabili incertezze applicative. L’orientamento maggioritario è incline a ritenere che non sarebbe consentita una deroga a quei diritti che trovino la loro fonte nella legge, essendo legittime solo le deroghe che possono incidere esclusivamente sulle modalità del rapporto di lavoro, sui sistemi o livelli di inquadramento professionale, sull’orario, sulla retribuzione [22]. Non sarebbe consentito, invece, disapplicare le tutele derivanti dall’art. 2112 c.c., e quindi al principio di solidarietà tra cedente e cessionario e, più in generale, alle prerogative che trovano la loro fonte nella legge. In tal caso si ammette la [continua ..]


3.1. Segue. Sul principio di solidarietà

Prendendo le mosse da quanto appena precisato, altro punto nodale, sul quale si prevedono accese controversie e sul quale il dibattito è molto intenso è il tema della necessaria solidarietà tra cedente e cessionario (nei termini descritti dall’art. 2112, comma 2, c.c.). La disciplina generale rispecchia quanto previsto dall’art. 3 della direttiva n. 23/2001 che oltre ad affermare il passaggio di tutti i diritti maturati dai lavoratori in capo al cessionario, al paragrafo 1 secondo comma precisa che il cessionario è solidalmente responsabile per i crediti maturati dagli stessi [26]. Dal tenore della disposizione, così come interpretata anche dalla Corte di Giustizia, emerge che il principale obbligato è il cessionario, e ciò in ragione della maggior solvibilità e garanzia che lo stesso fornisce in conseguenza del trasferimento [27]. Tuttavia, dubbi sono sorti in merito alla possibilità di derogare a tale principio, che evidentemente costituisce uno dei maggiori ostacoli in merito alla circolazione delle imprese in crisi o insolventi, quantomeno in presenza di un accordo collettivo. La soluzione risulta facilmente superabile nel caso in cui l’impresa sia coinvolta in una procedura avente finalità liquidatoria. In questo caso, infatti, l’art. 5 par. 1 della direttiva, espressamente consente la disapplicazione delle tutele di cui agli artt. 3 e 4 della direttiva, e dunque non solo del principio di continuità dei rapporti di lavoro, ma anche di quello in merito di solidarietà. Tra l’altro anche la nuova disposizione di cui al comma 5 bis dell’art. 47, introdotta con il Codice della crisi d’impresa ed entrata in vigore il 15 luglio 2022 ha espressamente sancito la deroga ex lege al principio di solidarietà, in termini conformi al dettato comunitario. Diversamente, nel caso di procedure aventi finalità conservativa e che siano pertanto dirette alla continuazione dell’attività d’impresa, la lettura diviene più incerta. A fronte di una prima ricostruzione, ad oggi prevalente, la deroga consentita sarebbe soltanto, come già accennato, quella alle condizioni di lavoro che trovano la loro fonte nel contratto collettivo, sulla base da un lato dell’interpretazione dell’e­spressione “condizioni di lavoro” direttamente mutuata della direttiva [continua ..]


4. Il ruolo dell’autonomia collettiva e il perdurante problema del­l’efficacia degli accordi

Un ulteriore punto sul quale si avverte la necessità di ragionare in termini più articolati è l’intervento delle parti collettive. Su tale aspetto il legislatore ha peccato di scarsa chiarezza e dà un quadro che non è componibile anche alla luce delle complessità dello scenario odierno delle relazioni sindacali. Sebbene sia stata visibilmente perseguita la finalità di rafforzare il ruolo dell’au­tonomia collettiva nella vicenda circolatoria dell’impresa [31], i soggetti individuati dal Codice della Crisi chiamati a stipulare gli accordi nei tre blocchi derogatori di cui ai commi 4 bis, 5 e 5 ter dell’art. 47 legge n. 428/1990 non coincidono. Infatti, nel primo blocco derogatorio di cui al comma 4 bis, gli accordi possono essere raggiunti “anche” con contratti collettivi di cui all’art. 51 del d.lgs. n. 81/2015; il secondo blocco derogatorio, invece, prevede che legittimati a stipulare tali accordi siano soltanto i soggetti sindacali di cui all’art. 51 del d.lgs. n. 81/2015; nel terzo ed ultimo blocco derogatorio, invece, nulla si dice circa i soggetti abilitati a stipulare tale accordo. La scelta del legislatore è quantomeno disarmonica [32] ed ha evidenti ricadute in tema di efficacia degli accordi medesimi. La tesi prevalente, infatti, induce a ritenere che in caso di rinvio legale gli accordi col sindacato siano dotati di efficacia generalizzata indipendentemente dai sottoscrittori degli stessi [33] o per via del rimando diretto della legge [34] oppure perché lo si ritiene parte di una sequenza procedimentale quale elemento di una fattispecie complessa [35]. Tuttavia, in tempi di accentuata frammentazione della rappresentanza sindacale tale risposta non risulta appagante ed il legislatore delegato pecca per certo di scarsa coerenza quando si riferisce ad interventi dell’autonomia collettiva nelle tre diverse prospettive, tant’è che i connotati dei soggetti che sono legittimati a stipulare gli accordi sono diversi. La norma, tra l’altro, lascia sullo sfondo i requisiti di rappresentatività richiesti per l’eventuale riconoscimento dell’efficacia “procedimentale” dell’accordo di modo che in una situazione di dissenso e di stipulazione di un accordo collettivo con un numero ridotto dei soggetti sindacali partecipanti alla procedura di informazione e [continua ..]


5. Il difetto di coordinamento con la procedura di amministrazione straordinaria

Si torna ad evidenziare che tra le tematiche il cui mancato raccordo con la normativa previgente emerge in maniera evidente si staglia in termini oltremodo vistosi quella con la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi e, in particolar modo, con l’art. 56 e l’art. 63 [38] del d.lgs. n. 270/1999 che a prescindere dal nuovo art. 47 della legge n. 428/1990 riconoscono la totale inapplicabilità dell’art. 2112 c.c. in ipotesi di trasferimento in vista di liquidazione dei beni del cedente. La gestione della crisi e dell’insolvenza subisce, infatti, una deviazione rispetto alle procedure concorsuali descritte nei capitoli precedenti, qualora ci si trovi dinanzi a grandi imprese e, in particolar modo quelle imprese di “grandissime” dimensioni – che alla luce degli interessi sottesi giustificano, sin dai tempi passati, l’intervento dell’autorità pubblica [39]. La disciplina dell’amministrazione straordinaria non è stata però oggetto di intervento da parte del legislatore del Codice della Crisi, se non di recente con il d.lgs. n. 83/2022 che però non ne ha mutato la sostanza. Infatti, l’art. 1, comma 2, fa salve le disposizioni dell’amministrazione straordinaria che pertanto resta regolata in via generale dal d.lgs. n. 270/1999. Quanto al trasferimento di azienda, infatti, l’intervento del legislatore è limitato a modificare tale istituto, lasciando intatta la disciplina specifica della procedura concorsuale. Tale disinteresse ha lasciato irrisolte e, forse, ampliato alcune incertezze interpretative che già erano emerse in passato. La più importante, lo si è accennato in precedenza, attiene alla finalità della procedura la quale sebbene sembra volta alla conservazione del patrimonio aziendale (cfr. artt. 1 e 27 d.lgs. n. 270/1990) suscita evidenti perplessità applicative, in particolar modo in relazione alle ipotesi di cui al comma 5 (versione vigente fino al 14 luglio 2022) e al nuovo comma 5 ter dell’art. 47 (versione vigente dal 15 luglio 2022) che annoverano l’amministrazione straordinaria nell’alveo della disciplina dedicata alle procedure con finalità liquidatoria. Come anticipato (par. 2), tuttavia, individuare l’area applicativa non è operazione agevole per l’interprete, salvo non considerare anche [continua ..]


6. Prospettive de iure condendo

Le evidenti lacune normative ed incertezze interpretative sono rimaste tutt’ora irrisolte nonostante la riforma intercorsa e il recente d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83, in attuazione della direttiva 1023/2019 che tenta un’iniziale e timida opera di coordinamento [45]. Tuttavia, la rilevanza delle questioni non può che indurre ad auspicare un nuovo intervento del legislatore almeno su due fronti, messi in evidenza nei precedenti paragrafi, i quali non sembrano essere stati ancora presi in considerazione neanche dalla recente proposta di legge volta a modificare la disciplina in tema di amministrazione straordinaria [46]. Il primo attiene al tema del contenuto degli accordi stipulati in occasione della cessione. La nozione “condizioni di lavoro” è una formula incompleta e suscita – come sopra evidenziato – notevoli incertezze applicative il cui contenuto ancora rimane pressoché oscuro. A ciò si aggiunga l’inammissibilità – secondo l’orientamento oggi prevalente – di una deroga al principio della solidarietà. Sebbene la previsione di aggiungere al naturale obbligato un ulteriore soggetto a garanzia dei crediti dei lavoratori costituisca una previsione di estrema tutela, l’interpretazione eccessivamente restrittiva – che sembra corroborata anche dalla Corte di Giustizia – contraddice la ratio e lo scopo della direttiva con riferimento. Ciò a maggior ragione se tale previsione viene poi nei fatti “aggirata” tramite accordi individuali. Sarebbe pertanto auspicabile – così come precisato per le procedure aventi finalità liquidatoria – un passo in avanti del legislatore che riconosca ex lege tale eventualità almeno in presenza di un accordo collettivo onde evitare poco trasparenti dinamiche elusive. Del resto, se lo scopo ultimo delle norme dedicate ai profili occupazionali delle procedure concorsuali sono la continuazione dell’attività d’impresa unitamente alla salvaguardia dei livelli occupazionali, anche per il tramite dell’intervento delle parti collettive – viste come i soggetti deputati a meglio dirimere bilanciare i contrapposti interessi [47] – sono ancora troppi le ambiguità che certo non assecondano il conseguimento di tali obiettivi. Gli interrogativi rimasti insoluti, in ultima istanza, risultano potenzialmente e [continua ..]


NOTE