Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
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I requisiti per l'esenzione fiscale e contributiva nell'attività sportiva dilettantistica (di Marina Veneto, Dottoranda di ricerca in Diritto del lavoro – Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”)


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Cassazione civile, Sez. lav., 5 gennaio 2022, n. 175 – Pres. Berrino-Rel. Mancino-P.M. Visonà

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In tema di assicurazione presso la gestione ENPALS, attualmente INPS, sono soggetti in via generale all’obbligo assicurativo, secondo quanto specificato dal d.m. n. 17445/2005, emanato in esecuzione dell’art. 3, comma 2, del d.lgs. C.p.s. n. 708/1947, gli impiegati, operai, istruttori ed addetti ad impianti e circoli sportivi di qualsiasi genere, salvo che, ai sensi del primo comma, lett. m) dell’art. 67 TUIR, abbiano reso prestazioni, compensate nei limiti monetari di cui all’art. 69 dello stesso testo unico, relative alla formazione, alla didattica, alla preparazione e all’assistenza dell’attività sportiva dilettantistica, offrendo prova che le prestazioni rese: a) non sono state compensate in relazione all’attività di offerta del servizio sportivo svolta da lavoratori autonomi o da imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente assunta dal prestatore; b) sono state espletate in favore di associazioni o società dilettantistiche e senza fine di lucro; c) trovano fonte nel vincolo associativo e non in un distinto obbligo personale; d) non trovano corrispondenza nell’arte o professione abitualmente esercitata, anche in modo non esclusivo, da colui che ha effettuato la prestazione.

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SOMMARIO:

1. Il caso controverso - 2. L’iter argomentativo seguito nella sentenza - 3. La ricostruzione degli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali sul dilettantismo e il professionismo nello sport - 4. La riforma strutturale dello sport: l’attività professionistica e amatoriale - 5. Osservazioni conclusive - NOTE


1. Il caso controverso

La sentenza richiamata in epigrafe si presta ad essere annotata non tanto per il suo contenuto, conforme a una già nutrita e recente casistica giurisprudenziale, quanto perché rappresenta l’occasione per osservare e approfondire le ricadute, sulla disciplina lavoristica, della qualificazione federale dell’attività sportiva quale professionistica o dilettantistica. Si darà principalmente conto del non poco diffuso fenomeno del cosiddetto professionismo di fatto o falso dilettantismo e della anomia che ha da sempre caratterizzato lo sportivo dilettante, definito per esclusione e privo di un inquadramento giuslavoristico. Un contesto, dunque, nel quale la giurisprudenza ha più volte supplito il legislatore che effettivamente è intervenuto solo con legge 8 agosto 2019, n. 86, “Deleghe al Governo e altre disposizioni in materia di ordinamento sportivo, di professioni sportive nonché di semplificazione”, perseguendo l’obiettivo di coordinare il testo delle disposizioni legislative vigenti al fine di tutelare più adeguatamente la salute, la sicurezza e la dignità di coloro che partecipano ad attività sportive, in una prospettiva di promozione dell’attività motoria quale strumento idoneo a facilitare l’acqui­sizione di stili di vita corretti e funzionali all’inclusione sociale, alla promozione della salute, nonché al miglioramento della qualità della vita e del benessere psico-fisico. La questione in esame è, nello specifico, sottoposta al vaglio della giurisprudenza di legittimità dall’Ente nazionale di previdenza e assistenza ai lavoratori dello spettacolo (ENPALS), dal 1° gennaio 2012 confluito nell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS). Nel caso di specie, l’Ente aveva proceduto con la notifica di un avviso di addebito per omesso versamento di contributi in riferimento ai compensi percepiti, nel periodo settembre 2005-dicembre 2007, da tre istruttori di un’associazione sportiva dilettantistica. I giudici di merito, chiamati a pronunciarsi, avevano dichiarato non dovuti gli importi pretesi, ritenendo che tutte le attività svolte nell’ambito dello sport dilettantistico beneficiassero automaticamente dell’esenzione dall’obbligo contributivo, come previsto dalla normativa fiscale per i “redditi diversi”, a prescindere dal [continua ..]


2. L’iter argomentativo seguito nella sentenza

La Corte di Cassazione adita accoglie il ricorso dell’Istituto previdenziale in ragione, però, di giudizi e valutazioni, non in linea con la strategia difensiva e quindi con l’impostazione da questo suggerita. Nello specifico, l’autorità giudicante prende le mosse dalla considerazione che la tutela assicurativa dello sport fu, inizialmente, attribuita all’ENPALS con legge n. 366/1973 per i soli calciatori e allenatori di squadre di calcio e che solo con legge n. 91/1981 recante “Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti” si realizza l’estensione della tutela a tutti gli sportivi professionisti ovverosia «gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l’osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica» (art. 2). La disciplina previdenziale del settore dilettantistico, chiaramente non attratta nell’area dei professionisti ex art. 2 legge n. 91/1981, si è dovuta, invece, in altro modo rinvenire nel d.lgs. C.p.s. n. 708/1947 nonché nella legge di ratifica n. 2388 del 1952 – che ha previsto l’obbligatoria iscrizione, tra gli altri, degli addetti agli impianti sportivi – a partire dalla quale si è registrata un’estensione della tutela al di fuori dello stretto limite della categoria dei lavoratori dello spettacolo. In tal senso deve pure interpretarsi la modifica all’art. 3, comma 2, del d.lgs. C.p.s. n. 708/1947 voluta dalla legge n. 289/2002 (legge finanziaria 2003) e dal successivo d.m. 15 marzo 2005, che ricomprende esplicitamente, nell’ambito della categoria di lavoratori assoggettati alla già menzionata tutela assicurativa, figure emergenti nella pratica – quali, tra gli altri, istruttori ed addetti agli impianti e circoli sportivi di qualsiasi genere – che già in precedenza potevano esservi fatte rientrare. Ebbene è rispetto a questo sistema a geometrie variabili che va valutata l’appli­cabilità dell’art. 67, comma 1, lett. m), [continua ..]


3. La ricostruzione degli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali sul dilettantismo e il professionismo nello sport

La decisione in commento si inserisce, come anticipato, in un più ampio filone giurisprudenziale fermo nel ritenere che, in presenza di una attività sportiva dilettantistica svolta a titolo oneroso, con continuità e in maniera professionale, non debbano essere riconosciuti i compensi sportivi dilettantistici di cui all’art. 67, comma 1, lett. m), TUIR bensì debba trovare applicazione il regime giuridico dello sportivo professionista [6]. Su questo solco si inserisce pure la sentenza della Corte d’Appello di Genova 9 febbraio 2021, n. 248. La Corte asserisce che «la mera iscrizione al registro CONI non è sufficiente a qualificare come redditi diversi i compensi erogati agli istruttori sportivi; ciò che rileva ai fini dell’esonero contributivo è che l’attività svolta dall’atleta e/o dall’istruttore non abbia carattere professionale. Dunque, anche qualora il soggetto in favore del quale l’attività è resa non persegua fine di lucro, se l’atleta o l’istruttore esercitano professionalmente la loro attività, con inserimento stabile nella struttura organizzativa dell’associazione sportiva, prevale l’esigenza costituzionale di tutela del lavoro con conseguente persistenza dell’obbligo assicurativo». Non è la natura dilettantistica dell’ente a configurare la prestazione come tale, ma essenzialmente «la collaborazione è dilettantistica quando non è lavoro; deve trattarsi di attività non rientrante nel concetto di mestiere» [7]. È così assolutamente superata la posizione, fino a qualche tempo prima sostenuta, secondo la quale «… invero, in un’ottica premiale della funzione sociale connessa all’attività sportiva dilettantistica, quale fattore di crescita sul piano relazionale e culturale, il legislatore ha inteso definitivamente chiarire che anche i compensi per le attività di formazione, istruzione ed assistenza ad attività sportiva dilettantistica beneficiano dell’esenzione fiscale e contributiva, senza voler limitare, come in precedenza in alcuni ambiti sostenuto, tale favor alle sole prestazioni rese in funzione di una partecipazione a gare e/o a manifestazioni sportive …» [8]. Di fatto, come anche la più risalente dottrina ha attentamente osservato, [continua ..]


4. La riforma strutturale dello sport: l’attività professionistica e amatoriale

La riforma strutturale dello sport in modo tranchant supera la distinzione tra dilettante e professionista che ha contraddistinto da sempre il mondo sportivo, per lasciare spazio a due nuove figure: il lavoratore sportivo e l’amatore [12]. Il riferimento è, puntualmente, alle disposizioni del Titolo V del d.lgs. 28 febbraio 2021, n. 36, avente ad oggetto l’attuazione dell’articolo 5 della l. delega, recante misure per il riordino e la riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché di lavoro sportivo. È lavoratore sportivo, ai sensi dell’art. 2, comma 1, «l’atleta, l’allenatore, l’i­struttore, il direttore tecnico, il direttore, sportivo, il preparatore atletico e il direttore di gara che, senza alcuna distinzione di genere e indipendentemente dal settore professionistico o dilettantistico, esercita l’attività sportiva verso un corrispettivo» mentre, ai sensi dell’art. 29, comma 1, sono amatori coloro «… che mettono a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere lo sport, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ma esclusivamente con finalità amatoriali …». È certamente sul piano della causa che si basa la distinzione tra le due nuove figure, l’uno svolge una prestazione lavorativa sportiva in cambio di un compenso e l’altro mette a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per finalità solidaristiche; a garanzia della genuinità di questi scopi, è fissato di conseguenza il divieto di retribuire le prestazioni sportive amatoriali, pur essendo concessi premi e compensi occasionali in relazione ai risultati ottenuti nelle competizioni sportive, nonché indennità di trasferta e rimborsi spese nel limite annuo di dieci mila euro (ai sensi dell’art. 69, comma 2, d.P.R. n. 917/1986), superato il quale la prestazione sportiva sarà considerata di natura professionale e l’intero importo sarà assoggettato a contribuzione e tassazione diretta ai fini Irpef. L’importo annuo indicato è, dunque, espressivo della volontà pratica del legislatore di tracciare il confine tra il lavoratore sportivo e l’amatore per il tramite di un parametro di tipo anche quantitativo e non solo causale. Tuttavia, la [continua ..]


5. Osservazioni conclusive

La riforma dello sport ha chiaramente recepito i puntuali insegnamenti della qui commentata giurisprudenza in materia di inquadramento del lavoratore sportivo e ha il pregio di ricondurre nell’ambito del rapporto di lavoro l’area sommersa dei professionisti di fatto o falsi dilettanti e di estendere a tutti i lavoratori sportivi le tutele lavoristiche, previdenziali e assicurative, conscia che esse non possano essere più una prerogativa esclusiva del settore professionistico. Però, l’estensione indifferenziata della disciplina del lavoro subordinato recepito dalla legge n. 91/81 e applicato a tutti i settori e a tutti i livelli, con conseguenti oneri previdenziali, è difficilmente sostenibile per il settore dilettantistico che deve agire obbligatoriamente in un contesto non lucrativo; la generale professionalizzazione di figure dell’ordinamento sportivo tra loro profondamente diverse (atleti, arbitri, istruttori, preparatori atletici, allenatori), a prescindere dal tipo e dal livello di attività sportiva considerato, non tiene conto delle specificità e del reale atteggiarsi dei rapporti che si sviluppano nelle organizzazioni associative, fondati più che altro sull’associazionismo e sul volontariato, delle disuguaglianze che sussistono tra i profitti, i premi, le indennità di trasferta o i rimborsi spese volta per volta previsti nei vari tipi di sport. Tra le altre, ad esempio, la Federazione italiana giuoco calcio (FIGC) ha evidenziato alcune delle criticità emergenti dall’inclusione tra i “lavoratori sportivi” (artt. 25 e 28), in particolare, degli arbitri, considerato che oltre il 99% dei circa 40.000 arbitri italiani di calcio riceve allo stato attuale rimborsi spese non superiori ai 100 euro per gara diretta e che tale rapporto, primariamente di carattere associativo, è «impossibile da equiparare ad un normale rapporto tra lavoratore e datore di lavoro» [17]. Questa è una delle prime ragioni per cui la legge di riforma è stata emblematicamente salutata come la riforma dello sport che non piace al mondo dello sport e che non conosce il mondo dello sport. Senz’altro l’auspicio è che l’entrata in vigore differita della riforma possa incoraggiare l’adozione di adeguamenti e correttivi diretti a garantire stabilità e sostenibilità al movimento sportivo, riconoscendone [continua ..]


NOTE