Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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Il diritto del lavoro tra giudici sovrani ed incertezza del diritto al tempo del Covid-19 (di Guido Vidiri, Già Presidente della Sezione lavoro della Suprema Corte di Cassazione)


L’Autore evidenzia nel suo saggio come il principio della certezza del diritto venga disatteso da un ordinamento a più livelli, quale quello dell’Unione Europea, a causa di fonti normative, prive di una gerarchia e dal contenuto spesso lacunoso e indecifrabile, che agevolano letture del dato normativo condizionate dalla politica o dall’ideologia o da rigide opzioni culturali socio-economiche. Condizionamenti questi da cui non è esente la Corte Costituzionale, divenuta di fatto un giudice “sovrano “, “onnipotente” ed “intoccabile” attraverso pronunzie “creative” o “manipolative” come attestato da molte decisioni relative a rilevanti problematiche, quali quelle relative alla libertà dell’impresa ed alla tutela del diritto al lavoro ed anche al suo apparato sanzionatorio in tema di illegittimi licenziamenti (Corte cost. n. 194/2018).

 

Labor law among “sovereign” judges and uncertainty of law at the time of Covid-19

The Author highlights in his essay how the principle of legal certainty is disregarded by a legal multi-level system, that is the European Union law, due to legislative sources without a hierarchy and with an often incomplete and indecipherable content, that facilitate an interpretation conditioned by politics or ideology or by rigid socio-economic cultural options. Constitutional Court are not exempt from that conditioning, which has become a de facto “sovereign”, “omnipotent” and “untouchable” judge through “creative” or “manipulative” pronouncements as attested by many decisions relating to relevant issues, such as those relating to freedom of enterprise and the protection of labor rights and also its sanction system about unlawful dismissals (Const. court no. 194/2018).

Keywords: Constitutional Court – labor – enterprise freedom.

SOMMARIO:

1. L’autonomia del diritto del lavoro nell’erosione delle certezze della civiltà giuridica borghese - 2. Ordinamento a più livelli ed incertezza del diritto - 3. Il c.d. “costituzionalismo emancipante”, l’incertezza del diritto e la crisi della Giustizia - 4. La progressiva trasformazione del diritto da “fonte legislativa” a “fonte giudiziaria”. Giudici costituzionali “sovrani”, “onnipotenti” ed “intoccabili”: verso una “Democrazia commissariata” - 5. Riserve sulla costituzionalità dei Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri e sulla loro “vincolatività” quale (nuova) “fonte di diritto” - 6. Il risarcimento dei danni nel diritto del lavoro: “personalizzare” si può - 7. Conclusioni: qualche modesta riflessione per svago dell’intel­letto nella fiduciosa attesa di una «Giustizia giusta» - NOTE


1. L’autonomia del diritto del lavoro nell’erosione delle certezze della civiltà giuridica borghese

In un mirabile studio un noto giurista e storico, nel descrivere sinteticamente l’evoluzione del diritto del lavoro dalla Liberazione sino all’attuale secolo, ha evidenziato che il diritto del lavoro è una disciplina giovane che ha fatto maturare una riflessione scientifica cosciente tanto da porsi in una posizione di autonomia nel­l’ambito delle altre materie giuridiche. Il che ha consentito alla suddetta disciplina in poco più di cento anni di trovare la propria nicchia maieutica negli anni fertili tra l’Ottocento ed il Novecento, ricchi di novità sociali ed economiche ed efficacemente erosivi di certezze anche di quelle della civiltà giuridica borghese [1]. Nel suddetto studio si è evidenziato che, nell’aria frizzante del nuovo secolo, si rinviene il superamento del romanesimo dei due grandi patres del diritto civile Barassi e Lotmar [2]. E tutto ciò è avvenuto per merito: di un processualista che ha avuto il coraggio di deporre lo sguardo dai codici angusti e di dare attenzione alla modesta e creativa giurisprudenza dei Probiviri immersi nella prassi dei rapporti di lavoro [3]; dei nuovi giuristi che hanno denunciato il «carattere imperturbabilmente borghese» della imperante scienza giuridica [4]; e ancora di quanti hanno costatato che il peso della tradizione ha rallentato «lo svincolo del contratto di lavoro dalla locazione»; ed infine di quanti tuttora si danno da fare per costituire quel contratto a proiezione collettiva di cui le nuove relazioni industriali hanno un disperato bisogno [5]. Dopo avere esaminato il pensiero della dottrina giuslavorista intercorrente dal­l’epoca repubblicana sino a quella dei primi anni del presente secolo, l’illustre Autore rimarca infine puntualmente come proprio nel porsi nel combattuto crocevia tra etica, diritto ed economia la scienza giuslavorista, costituisce necessariamente un momento riflessivo per l’intera scienza giuridica richiamando ogni giurista ai difficili ma non eludibili problemi connessi al suo ruolo [6].


2. Ordinamento a più livelli ed incertezza del diritto

Il summenzionato saggio induce ad alcune riflessioni sul ruolo che il diritto del lavoro, pietra angolare dell’intero diritto privato, deve assumere nel prossimo futuro, perché dovrà necessariamente avere come principali parametri di riferimento l’etica, l’economia e necessariamente anche la politica, dovendo ricercare un giusto equilibrio tra il diritto al libero esercizio dell’attività economica ed il diritto alla dignità, al decoro ed alla sicurezza anche economica del lavoratore, ambedue diritti a copertura costituzionale. Il cultore del diritto e tra essi colui che è chiamato professionalmente ad amministrare giustizia è già da tempo alla ricerca di se stesso [7], perché Il suo compito è divenuto nel corso degli anni sempre più complesso in ragione di un quadro istituzionale in cui le incertezze del vivere quotidiano sono accresciute in forma esponenziale anche perché alimentate da una scienza giuridica volta a leggere le Costituzione con gli “occhiali della ideologia”. Scienza che non è riuscita infatti a dare una chiave di lettura unitaria dell’articolo 41 della Carta, perché dopo avere analizzato nell’ottica liberale la antitesi autorità-libertà, ha di fatto privilegiato – sulla proclamata libertà di iniziativa economica di cui al comma primo della suddetta norma – il “modello della socializzazione della proprietà dei mezzi di produzione”, ponendo l’accento sulla funzionalizzazione dell’impresa privata e sul governo pubblico dell’economia, perseguendo in tal modo visioni tecnocratiche proprie della cultura di ispirazione socialista [8]. È innegabile che – oltre che nella fine del secolo scorso – anche nell’inizio di quello attuale la dottrina nel nostro Paese ha mostrato una sostanziale condivisione del pensiero e della cultura giuridica di ispirazione socialista sovente in linea con il pensiero di Keyines [9], finendo così per relegare in secondo piano i valori del liberismo e con essi gli scritti dei fondatori e divulgatori di tale dottrina [10]. In un siffatto contesto il compito anche del giuslavorista si presenta irto di difficoltà in ragione di un ordinamento a più livelli, come quello dell’UE, che ha sinora creato una crescita esponenziale di incertezze per la [continua ..]


3. Il c.d. “costituzionalismo emancipante”, l’incertezza del diritto e la crisi della Giustizia

Nel corso della seconda guerra mondiale, un giovane filosofo del diritto – in un libro regalato alla storia – dopo avere evidenziato il fondamento del principio della certezza del diritto da sempre sentita come ineliminabile per una convivenza sociale ordinata e dopo avere anche rimarcato che gli uomini hanno bisogno, per la loro azione presente, di potere contare sulla loro azione futura, e dunque anche sul­l’azio­ne degli altri uomini, ebbe poi ad affermare che l’oscurità delle norma, la sua lacunosità, la sua mancanza di semplicità, la molteplicità delle disposizioni in cui essa può articolarsi, la pluralità delle leggi, la difficoltà e la lunghezza dei giudizi sono tutte “minacce di fatto” alla certezza del diritto[16]. In tali vizi però si riscontra solo una consapevolezza oscura ma non una dichiarazione programmatica. Questa si ritrova invece nelle correnti che apportano una minaccia anche teorica alla certezza del diritto e che si propongono proprio di scalzare questa certezza, che considerano non con un valore ma come un disvalore nell’esperienza giuridica. Sotto uno scopo che si presenta ben diverso “la scuola del diritto libero mira preterintenzionalmente a infrangere la certezza del diritto e ad annichilire di fatto il sentimento della legalità” [17]. Tutto questo ha nel tempo, ma soprattutto negli ultimi anni, ravvivato un dibattito sul rapporto tra la legge ed il giudice, nel corso del quale si è affermato – in un documento redatto da magistrati appartenenti a Magistratura Democratica (MD) – storica ed influente corrente della Associazione Nazionale Magistrati (ANM) – che MD ha sempre e soltanto pensato di “potere agire come un intellettuale collettivo allo scopo di promuovere sensibilità comuni”, che finiscono per esprimersi in un comune atteggiamento culturale, di fronte alla interpretazione della legge e della Costituzione “attraverso un incontro delle idee, che, partendo dai problemi della realtà, della politica e del sociale, arrivasse poi al diritto ed alla giurisdizione”. Nello stesso documento si è anche orgogliosamente rivendicato il carattere “indefettibilmente” politico della giurisdizione, avendosi come obiettivo quello di contribuire all’opera di inveramento della Costituzione, in particolare dell’art. 3, [continua ..]


4. La progressiva trasformazione del diritto da “fonte legislativa” a “fonte giudiziaria”. Giudici costituzionali “sovrani”, “onnipotenti” ed “intoccabili”: verso una “Democrazia commissariata”

Le c.d. arti civili, attraverso la forza evocativa delle immagini possono infrangere le solide barriere del tempo suscitando riflessioni su tematiche che per vedere coinvolto l’uomo nella sua individualità e come componente della comunità non possono risultare indifferenti alla sensibilità di quanti operano quotidianamente su problematiche aventi immediate ricadute sul versante socio-economico della collettività. Ragione questa per cui si è fatto spesso riferimento ad un ciclo di affreschi, custodito nel Palazzo Pubblico di Siena, di Ambrogio Lorenzetti, aventi ad oggetto l’allegoria e gli effetti del buono e cattivo governo. Nel rappresentare gli effetti del buon governo in città ed in campagna (città prospere e campagne ben coltivate, benessere, gioia ed allegria) il pittore senese pone in posizione elevata la Sapienza divina, verso la quale la Giustizia volge il suo sguardo, essendo delegata a svolgere la sempre più difficile funzione del giudicare. Nel fotografare invece gli effetti del cattivo governo (tirannia, carestie, assassini, guerre) l’artista pone ben più in basso, sotto il tiranno, la Giustizia, non più in trono. Essa appare soggiogata, con i piatti della bilancia non più in equilibrio ma gettati a terra, quasi a volere rimarcare che allorquando l’amministrazione della cosa pubblica avviene su principi di giustizia sociale solo allora i cittadini ne traggono indubbi e costanti benefici. Il richiamo a tale opera attesta in maniera plastica che le leggi e i poteri dei governanti che, all’epoca dell’artista, hanno avuto un ambito applicativo territoriale ben definito, perché limitato alle sole comunità locali, si sono invece spinti nel­l’attuale momento storico – segnato dalla pandemia da Covid 19 – ben al di là dei confini dei singoli Stati. Il che ha determinato problematiche di particolare rilievo per non essere ancora definita una gerarchia tra le fonti normative statali e quelle dell’Unione Europea [22]. Nel qui descritto contesto il fil rouge del presente saggio intende solo valutare le conseguenze nel nostro ordinamento di rigide opzioni culturali ed ideologiche della scienza giuridica, che hanno trovato riscontro in una giustizia lenta, farraginosa, in cui non sono rare sentenze “ballerine” “strabiche”, “a sorpresa”, “di [continua ..]


5. Riserve sulla costituzionalità dei Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri e sulla loro “vincolatività” quale (nuova) “fonte di diritto”

Come si è già detto nel diritto del lavoro l’aspetto politico-ideologico ha finito per avere la meglio sull’aspetto tecnico essendosi privilegiata una interpretazione dell’art. 41 (norma tra le più rilevanti a livello socio-economico tra quelle della Parte I, titolo III, della Carta) che ha portato spesso ad accreditare, un modello di socializzazione della proprietà e dei mezzi di produzione incentrato su una cultura di sinistra che evocando “l’utilità sociale” ha sovente spostato l’equilibrio tra diritto alla libertà di impresa e diritto al lavoro a favore di quest’ultimo. Alla stregua delle considerazioni svolte e dei parametri valutativi più volte ribaditi non può sottacersi che il governo Conte non può vantare risultati positivi, per non avere con i suoi decreti operato un giusto bilanciamento tra due contrapposti diritti, capace di garantire, da una parte, la libertà delle imprese funzionale alla loro produttività e, dall’altra, il diritto al lavoro sempre e comunque in tutte le sue forme, il che comporta il rispetto della dignità, del decoro, della salute e della sicurezza anche economica della “persona” di ogni singolo lavoratore (artt. 1, 3, 4, 35 e 36 Cost.) [27]. Il suddetto governo si è caratterizzato infatti per la molteplicità dei c.d. dpcm (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri) che hanno suscitato fondate riserve sulla loro legittimità a livello costituzionale perché detti atti, per la loro natura di provvedimenti amministrativi, hanno violato numerose norme della Costituzione: l’art. 13, comma 2, della Carta che vieta ogni restrizione delle libertà personali se non per atto giudiziario e nei soli casi previsti dalla legge; l’art. 117, comma 2, lett. q), che prescrive che lo Stato ha “la legislazione esclusiva” in presenza di una pandemia a livello globale escludendo quindi competenze concorrenti a livello territoriale; e da ultimo anche l’art. 3 della Carta per avere disciplinato ugualmente fattispecie del tutto diverse tra loro [28]. A seguito di tali decreti si è giunti a disporre un lungo periodo di lockdown ed un blocco dei licenziamenti, che hanno finito per incidere pesantemente sulla libertà delle attività economiche, con negative ricadute non solo per le imprese ma anche per [continua ..]


6. Il risarcimento dei danni nel diritto del lavoro: “personalizzare” si può

È a tutti visibile che la perdurante pandemia da Covid-19 e la recente guerra russo-ucraina hanno innescato una grave emergenza di salute ed un rallentamento economico senza precedenti, che sono state causa di crisi di molte imprese e di una crescente perdita di posti di lavoro, dimostrando la fragilità di un ordinamento, quale quello dell’Unione Europea, che non è sinora riuscito a compiutamente realizzare la speranza dei suoi fondatori, che auspicavano per le giovani generazioni una costante, solidale e pacifica unione di popoli diversi. Per di più i negativi effetti della pandemia hanno accreditato la tesi di quanti hanno già in passato denunziato nel nostro Paese una “eclissi del diritto”, ed una perdita dei valori caratterizzanti il “diritto del lavoro”, a cui si è aggiunto il pericolo consistente di una disinvolta occupazione di spazi di libertà inviolabili di ogni cittadino e di ciascun lavoratore [35]. Ciò trova chiara conferma in relazione ad un istituto quale quello dei licenziamenti (individuali e collettivi), il cui numero si è moltiplicato, e che allo stato vedono, in caso di loro accertata illegittimità, l’applicazione di un risalente apparato sanzionatorio che, oltre a non risultare più adeguato in relazione ad un mutato contesto socio-economico, presenta tratti evidenti di incostituzionalità [36]. Nella materia giuslavoristica si riscontra un ricco ed articolato assetto normativo volto a tutelare ad ampio raggio il singolo lavoratore nella sua dignità, nella sua professionalità, nella libertà di espressione e di associazione sindacale, e, più in generale, nei valori fondanti della “persona”. Il che rende evidente la palese inadeguatezza di criteri liquidatori che per essere predeterminati, rigidi e generalizzati, finiscono per tradursi in un sistema di valutazione con profili mercantilistici perché con essi si finisce per mortificare ogni “singola persona” nella sua specifica individualità di “cittadino lavoratore”. In passato una autorevole dottrina ha aspramente criticato l’utilizzazione nel diritto del lavoro delle tabelle di origine giurisprudenziale nella determinazione del danno biologico, auspicando una svolta epocale consistente in una “coraggiosa personalizzazione” nella quantificazione del suddetto [continua ..]


7. Conclusioni: qualche modesta riflessione per svago dell’intel­letto nella fiduciosa attesa di una «Giustizia giusta»

In tutti coloro che nello svolgimento della loro professione hanno privilegiato la materia giuslavoristica è di comune conoscenza che negli anni della legge Fornero e del Job Act è cresciuto il numero delle norme di fattura disinvolta, talvolta sovrapponibili tra loro, spesso ambigue e lacunose, che hanno incrociato una elefantiaca burocrazia, causa anche essa di una tardiva, inefficace e, talvolta, anche illegittima applicazione delle norme. Condizioni queste che hanno agevolato nella interpretazione del dato normativo un “soggettivismo giurisprudenziale” con un vulnus alla certezza del diritto, che attraverso una lettura della legge permeata da opzioni politiche, ideologiche, o da illusorie utopie, ha determinato una frequente contrapposizione tra giudice e legge, che ha contribuito a modificarne o vanificarne del tutto la ratio. Al che non è certo estraneo un giusnaturalismo popolare ed accattivante permeato da un cattolicesimo “buono” e “pauperista”, di diffuso seguito anche nel pensiero laico del nostro Paese [47]. La storia della scienza giuridica mostra che il novecento ha visto grandi, colti ed illuminati studiosi che sono riusciti a far riconoscere una propria ed indiscussa autonomia al diritto processuale, e che hanno rimarcando come il processo sia il luogo in cui vengono riconosciuti i principi, i valori ed i diritti di libertà espressi dalla nostra Carta Costituzionale [48]. È dovuto all’opera di questi maestri se il diritto processuale è stato sottratto dal limbo in cui era stato di fatto relegato per lungo tempo in forza dei loro insegnamenti che hanno attestato: che il processo se è giusto e celere è specchio fedele della Giustizia; che è il processo che porta con sé una “una propria e specifica solennità”, per cui il suo procedere non può che svolgersi in luoghi in cui possa dignitosamente essere “celebrato”; che è nel processo che si regola e si custodisce la vita di ciascuno di noi; che è nel processo che si misura la civiltà di ogni Paese in termini di tutela dei diritti di libertà e dignità dei suoi cittadini; ed ancora, che è nel processo che si assicura il principio della certezza del diritto, presupposto necessario per rendere meno oscuro il futuro e per impedire che la vita di ognuno possa essere “rinviata a tempo [continua ..]


NOTE