Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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Il reddito di cittadinanza ed il reddito di emergenza (di Annalisa Pessi, Professoressa ordinaria di Diritto del lavoro – Università degli Studi di Roma “Roma Tre”)


L’Autrice cerca di inquadrare a livello sistemico l’introduzione della prestazione del reddito di cittadinanza anche alla luce dell’implementazione di nuove prestazioni assistenziali a carattere universale come il reddito di emergenza.

 

Citizen’s income (guaranteed minimum income) and emergency income

The author tries to frame the recent provision of citizenship income at a systemic level also in the light of the implementation of new universal welfare benefits such as emergency income.

Keywords: Welfare State – occupational – universal – adequacy – sustainability – citizen's income – emergency income.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Il reddito di cittadinanza - 3. Segue. L’universalizzazione del Welfare a livello comunitario - 4. I requisiti di accesso al trattamento - 5. Segue. La prestazione - 6. Verso un’implementazione universalistica del sistema in chiave emergenziale? - 7. Il reddito di emergenza - NOTE


1. Premessa

È noto come l’incremento della povertà dovuto alla perdurante crisi economica e, da ultimo alla crisi pandemica, la diffusione della c.d. disoccupazione tecnologica, figlia di internet, della digitalizzazione e dell’industria 4.0, la radicalizzazione del fenomeno dei working poors, implementato dallo svolgimento delle prestazioni lavorative tramite piattaforme digitali, nella costante difficoltà di reperimento delle risorse pubbliche, hanno messo a dura prova e hanno portato ad una crisi strutturale dei presupposti valoriali del Welfare state italiano [1]. Come è noto, e condiviso dalla dottrina e dalla giurisprudenza costituzionale, il nostro sistema previdenziale, seppur dicotomico, è centrato sul lavoro (e sulla liberazione dal bisogno seppur in uno schema orientato ad una redistribuzione delle risorse in sintonia con la progressività fiscale). Si tratta di un’opzione che i Padri Costituenti hanno compiuto in coerenza con l’affermata centralità del lavoro, su cui l’art. 1 proclama fondata la nostra Repubblica) che, appunto, l’art. 4 identifica come diritto fondamentale, nella dialettica del binomio diritto-dovere e, quindi, mezzo prioritario, se non unico, per realizzare quella eguaglianza sostanziale di cui al secondo comma dell’art. 3, ver architrave portante di tutto l’assetto del nostro ordinamento costituzionale. Questo spiega perché l’imperativo categorico di realizzare il diritto al lavoro quale “possibilità per ogni uomo di lavorare e studiare e di trarre sicurezza dal proprio lavoro ed i mezzi per vivere da uomo” [2] abbia concentrata l’assistenza sociale, di cui al primo comma dell’art. 38 Cost. quell’assistenza sociale, di cui al comma primo dell’art. 38 Cost., solo sui cittadini “inabili al lavoro”, riconoscendo a questi in via esclusiva il diritto al mantenimento e all’assistenza [3]. Se quanto sopra detto risulta, si potrebbe dire, non controvertibile, è altrettanto certo che l’origine e la struttura occupazionale del modello di Welfare italiano non può essere di per sé un ostacolo ad un ampliamento “universalistico” delle tutele nei confronti di quei cittadini per i quali non si realizzi il diritto al lavoro e tutto ciò comporti un incremento sempre più accentuato delle esclusioni sociali e della [continua ..]


2. Il reddito di cittadinanza

L’introduzione del reddito di cittadinanza è stata sin da subito oggetto di un vivace dibattito connesso alle più generali problematiche relative all’inquadramento del nostro sistema di Stato sociale ed alle sue auspicabili e possibili modificazioni. Se, infatti, l’introduzione dell’istituto prometteva a livello semantico una svolta “universalistica” del modello di Welfare state, in realtà la disciplina sostanziale ne disattendeva le premesse. In altri termini, se la scelta della terminologia “reddito di cittadinanza” poteva far presagire una svolta ordinamentale diretta a sposare l’introduzione di una prestazione puramente assistenziale correlata al solo possesso dello status di cittadino, secondo le teorie sul reddito universale di esistenza, nella realtà il prodotto normativo si rivelava una figura “ibrida” [11] classificabile, da un lato, come forma assistenziale di reddito minimo garantito e, dall’altro lato, come misura occupazionale classica correlata ad uno stato involontario di disoccupazione [12]. Del resto, lo stesso legislatore, sin da subito, nel definire l’istituto gli conferiva una duplice anima come “misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro”, ma anche “di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale”. (art. 1, comma 1, legge n. 26/2019), rendendolo, di fatto, assai simile a pregressi istituti quali il Reddito di Inclusione [13] o il Sostegno per l’Inclusione Attiva [14]. Invero, il rilievo statistico dei percettori del reddito accentua la sua natura a più dimensioni. La sua dimensione quantitativa è in determinati contesti più favorevole dell’assegno sociale e dei trattamenti riconosciuti agli invalidi civili; ciò spiega come gli indicatori evidenzino che la maggioranza dei percettori sono inabili al lavoro, così che in questa area l’art. 38, primo comma, si riappropria del reddito in chiave di rilettura della sufficienza del mantenimento e dell’assistenza. Si innesta qui l’ulteriore dialettica tra reddito ed elevazione dell’età pensionabile che investe ancora l’assistenza, ovvero l’età minima di accesso all’assegno sociale, ed ugualmente la previdenza (basti il richiamo agli esodati salvaguardati e non). Ma [continua ..]


3. Segue. L’universalizzazione del Welfare a livello comunitario

Del resto, anche a livello comunitario, si assiste e si è assistito ad un lento processo di universalizzazione delle tutele, laddove accanto a prestazioni prettamente previdenziali/occupazionali, quali i trattamenti legati alla disoccupazione, alla vecchiaia, agli infortuni sul lavoro ed alla maternità, riconosciute dall’art. 34 della Carta Europea dei Diritti Fondamentali, si affianca “al fine di lottare contro l’esclusione sociale e la povertà” il diritto all’assistenza sociale per tutti coloro che non dispongono di risorse sufficienti a garantire un’esistenza dignitosa. Peraltro, nella Carta di Nizza non si fa alcun richiamo al lavoro e nella “Strategia 20 - 20” l’obiettivo è focalizzato sulla riduzione di soggetti a rischio di povertà o di esclusione sociale, valorizzando lo stato di bisogno quale requisito per l’ac­cesso all’assistenza sociale senza richiedere quell’inabilità al lavoro che è ancora perno del nostro sistema di Welfare in relazione agli strumenti assistenziali di cui al primo comma dell’art. 38 Cost. Cosicché, l’ordinamento europeo, pur riconoscendo ancora una serie di diritti connessi allo svolgimento di un’attività lavorativa [20], sembrerebbe muoversi verso la garanzia di un reddito minimo correlato allo status di cittadino europeo, nonché ad un effettivo stato di bisogno, in una visione maggiormente universalistica del sistema rispetto all’ordinamento italiano. Questa conclusione viene in realtà messa in discussione se si analizzano altre fonti comunitarie, seppur strumenti di soft law, come il Pilastro Europeo dei Diritti sociali che nel Capo III, rubricato Protezione sociale ed inclusione, nell’in­dividuare tra i diritti fondamentali la necessità di predisporre un reddito minimo, ne garantirebbe l’erogazione a “chiunque non disponga di risorse sufficienti” per garantire “una vita dignitosa in tutte le fasi della vita e l’accesso a beni e servizi”, ma al contempo “per chi può lavorare, il reddito minimo dovrebbe essere combinato con incentivi alla (re)integrazione nel mercato del lavoro”, riecheggiando in parte quella definizione del Reddito di Cittadinanza, quale strumento di inclusione sociale, da un lato, ma anche di istituto volto al reinserimento nel mondo del [continua ..]


4. I requisiti di accesso al trattamento

Le considerazioni sin qui svolte sulla natura del reddito di cittadinanza sembrerebbero avvalorate dai requisiti richiesti dal legislatore per l’accesso alla percezione del trattamento, requisiti correlati, da un lato, alla verifica dell’effettivo stato di povertà e marginalità sociale, nonché alla cittadinanza del soggetto protetto, dall’altro lato, requisiti connessi ad un comportamento proattivo del soggetto protetto volto al reinserimento od all’inserimento nel mondo del lavoro [24]. Ai sensi dell’art. 2 del d.l. n. 4/2019, poi convertito nella legge n. 26/2019, infatti, vengono previsti requisiti di tipo economico, peraltro riferiti non al singolo cittadino, ma all’intero nucleo familiare, volti a verificare la sussistenza dello stato di bisogno effettivo, tramite la presentazione dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) e al mancato raggiungimento di precise soglie patrimoniali e reddituali [25]. Requisiti correlati alla cittadinanza, intesa in senso ampio, ed alla residenza sul territorio nazionale [26], e requisiti di “onorabilità”, ovvero la mancanza di precedenti penali [27], requisito quest’ultimo ritenuto a rischio di illegittimità costituzionale sotto il profilo dell’irragionevolezza, stante la finalità del trattamento che dovrebbe essere volto al superamento delle diseguaglianze ed alla realizzazione dell’inclusione sociale e che in tal modo rischia di tagliare fuori proprio quei “soggetti più esposti al rischio di disoccupazione e alla povertà” [28]. A questi requisiti va sommato, nel caso di soggetto abile al lavoro, un requisito di tipo condizionale, laddove il diritto alla prestazione è subordinato alla volontà del soggetto protetto, inteso quale nucleo familiare percettore, a rendersi disponibile alla partecipazione ad attività di ricerca di nuova occupazione [29] ed a percorsi di formazione e riqualificazione professionale [30], volti ad evitare che l’assistenza si trasformi “in una trappola senza uscita” [31]. Sotto questo profilo, potrebbe, poi, a breve, prodursi una nuova criticità sistemica nell’implementazione dello strumento del salario minimo legale, strumento concorrente sotto il profilo finalistico, ma operante su piani diversi. Infatti, qualora l’entità del [continua ..]


5. Segue. La prestazione

L’entità della prestazione, è correlata alla condizione economica e patrimoniale dell’intero nucleo familiare beneficiario del trattamento e condizionata dai comportamenti attivi necessari al mantenimento ed alla corresponsione dello stesso reddito di cittadinanza o pensione di cittadinanza [40] ed è il frutto della somma di due quote: la quota A ad integrazione del reddito familiare fino ad un massimo di 6.000 euro (che divengono 7.650 nell’ipotesi di Pensione di cittadinanza) [41] ed una quota B, contributo eventuale [42] per quei nuclei familiari in affitto o che abbiamo acquistato l’abitazione in virtù di un contratto di mutuo, sulla base delle informazioni rilevabili dall’ISEE e dal modello di domanda; tenuto conto della scala di equivalenza di cui all’art. 2, comma 4, d.l. n. 4/2019 [43]. Il reddito di cittadinanza decorre dal mese successivo a quello di presentazione della domanda ed è concesso per un periodo particolarmente lungo, laddove la durata massima inziale di 18 mesi, può essere rinnovata, previa sospensione di un mese, presentando la nuova domanda già a partire dal mese solare successivo a quello di erogazione della diciottesima mensilità. Non è prevista, invece, alcuna sospensione nel caso della pensione di cittadinanza che si rinnova in automatico senza necessità di presentare una nuova domanda. Il trattamento è erogato attraverso una carta elettronica di pagamento ed è decurtato, fino ad un massimo del 20%, nel mese successivo all’erogazione se non speso interamente dal nucleo familiare; cosicché, se da un lato si tiene conto delle reali esigenze di spesa dei soggetti percettori, evitando sperperii delle già limitate risorse pubbliche, dall’altro lato, però, non si consente ai soggetti protetti di risparmiare per eventi futuri meritevoli di tutela, come ad esempio, l’avvio di nuove attività lavorative per reintegrarsi nel mondo del lavoro. Nell’ottica della realizzazione del diritto al lavoro, di cui all’art. 4 Cost. e della realizzazione dell’autosufficienza del beneficiario del trattamento per l’effettivo godimento dei diritti civili e politici e la partecipazione attiva alla vita economia e sociale del Paese, si collocano, invece, quelle disposizioni volte ad incentivare le imprese e gli enti accreditati al percorso [continua ..]


6. Verso un’implementazione universalistica del sistema in chiave emergenziale?

Quanto sin qui sottolineato spiega perché la dottrina più legata ad una lettura universalistica del nostro ordinamento costituzionali ed attenta ad un dialogo con l’unione Europea in questa direzione [45], pur accogliendo con favore l’introduzione del reddito, ne abbia criticato la timidezza del modello, avanzando anche dubbi di legittimità costituzionale (del tutto inversi ai nostalgici del modello occupazionale come baricentro del sistema) correlati alla potenziale esclusione dalla tutela di fasce deboli della popolazione in ragione della strutturazione delle nozioni di cittadinanza e di residenza, nonché perplessità in ordine alla possibilità di avviare un dialogo effettivo ed efficace tra il collocamento pubblico e privato per il reinserimento sociale dei fruitori del reddito [46]. Ma in realtà alcuni autori [47] focalizzavano le loro critiche non tanto su questi aspetti, quanto sull’incapacità dello strumento di realizzare un vero e proprio muta­mento valoriale del nostro Welfare verso una reale e incondizionata tutela della povertà e dell’emarginazione sociale, poiché sempre e troppo condizionato dalla scarsità delle risorse pubbliche, eccessivamente votate alla tutela previdenziale e come sempre, distratte all’anima assistenziale dell’art. 38 Cost. Tant’è vero che, osservando i dati dei primi anni di utilizzo dell’istituto, emergeva chiaramente che non solo ne fossero rimasti esclusi, stante gli stringenti requisiti legati al territorio ed alla residenza, quei soggetti “più poveri di tutti” [48] che ne avrebbero realmente tratto beneficio [49], ma anche e, soprattutto, l’assoluta ineffettività degli strumenti di politica attiva del lavoro volti a realizzare quel progetto occupazionale ancora presente nell’istituzione del trattamento e correlato alla realizzazione del primo tra i diritti sociali, il diritto al lavoro, di cui all’art. 4 Cost. [50]. Cosicché, nel recente Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, la quinta missione, di cui è titolare il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si rivolge proprio alla necessaria riforma delle politiche attive del lavoro, attraverso il Programma di Garanzia per l’Occupabilità dei Lavoratori, in sintonia con le risultanze delle più recenti analisi sulla [continua ..]


7. Il reddito di emergenza

Il reddito di emergenza, come il reddito di cittadinanza, è una prestazione economica istituita in favore di nuclei familiari in difficoltà; nell’ipotesi del reddito di emergenza, però, la difficoltà, come accennato in precedenza, deriva dall’emergen­za epidemiologica da Covid-19 [58] e per coloro che hanno terminato tra il 1° luglio 2020 e il 28 febbraio 2021 di percepire la NASpI e la DIS-COLL, e hanno un ISEE in corso di validità, ordinario o corrente, non superiore a 30 mila euro. Anche per il reddito di emergenza i requisiti di accesso fanno riferimento alla residenza in Italia ed a uno stato di bisogno effettivo derivante da un reddito, un patrimonio mobiliare ed un ISEE inferiore ad un limite determinato dal legislatore [59]. Il reddito di emergenza non risulta, peraltro, compatibile con la presenza, nel nucleo familiare, di componenti che percepiscono o hanno percepito una delle indennità erogate ai lavoratori per l’emergenza epidemiologica da Covid-19 [60], nonché i titolari pensioni dirette ed indirette, ad eccezione dell’assegno ordinario di invalidità e dei trattamenti di invalidità civile, e per chi già percepisca il reddito o la pensione di cittadinanza. Per quanto attiene all’entità della prestazione, si utilizza la stessa scala di equivalenza prevista per il reddito di cittadinanza [61] da moltiplicare per una quota base di 400 euro [62]. La durata del beneficio era inizialmente prevista per un massimo di 2 mesi, estesi a tre, nel decreto che ne ha previsto la proroga al maggio 2021 [63] ed a quattro, nel decreto che ha prorogato nuovamente la provvidenza a settembre 2021. La natura di tale trattamento, rispetto al Reddito di cittadinanza, sembrerebbe correlata in maniera più forte verso la realizzazione di un modello universalistico, poiché la sua erogazione è condizionata esclusivamente alla sussistenza dello stato di bisogno derivante dall’emergenza Covid-19 e non alla ricerca di occupazione o alla disponibilità ad una futura allocazione lavorativa. Peraltro, vi è da rilevare come la prestazione in oggetto, come, del resto le altre indennità istituite dal sistema in conseguenza della pandemia, sia fortemente condizionate dalla disponibilità delle risorse finanziare poiché il godimento del beneficio cessa all’esaurimento [continua ..]


NOTE