Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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Emergenza Covid-19 e assicurazione infortuni: tutela piena per i lavoratori ed esonero da responsabilità per i datori di lavoro in regola con le norme di sicurezza (di di Edoardo Gambacciani e Luigi La Peccerella )


Gli Autori esaminano la legislazione speciale dettata per l’emergenza Covid-19 con particolare riferimento alle modifiche introdotte nell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali sia rispetto ai profili di estensione della tutela in favore dei lavoratori colpiti da venti lesivi a causa dell’infezione, sia rispetto ai profili di responsabilità dei datori di lavoro ed all’azione di regresso dell’Inail.

Covid-19 emercency and insurance : full protection for workers and exemption from liability from employers in compliance with safety regulations

The Authors examine the special legislation imposed by the Covid-19 emergency particularly in relation to the changes introduced in the compulsory insurance against accidents and occupational diseases both in relation to the extension profiles of the protection in favor of workers affected by harmful winds due to the infection, and in relation to employer liability profiles and Inail’s right of redress.

Keywords: Compulsory insurance against accidents at work – special legislation for the emergency
Covid-19 – job opportunity – benefits in favor of the worker – employer responsibility
– compensation and redress action by Inail.

SOMMARIO:

1. Premessa. La ratio dell'intervento emergenziale - 2. L'art. 42, comma 2, del decreto 'Cura Italia' - 3. Le circolari dell'Inail - 4. L'emendamento approvato in Parlamento inserito nel decreto 'Liquidità' - 5. Un vulnus ancora aperto nella tutela - NOTE


1. Premessa. La ratio dell'intervento emergenziale

Rispetto all’emergenza pandemica da Covid-19 che ha colpito il tessuto sociale e produttivo nazionale, il legislatore, nell’ambito delle diverse misure adottate per contrastare il fenomeno, è intervenuto per integrare, con apposite disposizioni speciali, l’assetto consolidato dei principi e delle regole che l’ordinamento giuridico fissa con riguardo all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali ed alle norme di prevenzione e di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro [1]. Più in particolare l’intervento normativo emergenziale può ricondursi ad una logica di piena tutela del lavoratore colpito dall’evento lesivo e nel contempo di salvaguardia del datore di lavoro che abbia adottato e mantenuto le prescrizioni e le misure di contrasto e di contenimento dello specifico rischio Covid-19 negli ambienti di lavoro, secondo un principio di equo contemperamento tra le esigenze di protezione sociale del lavoratore con quelle del datore di lavoro e della produzione, nel pieno rispetto ed in coerenza con i valori costituzionali che regolano questo particolare ambito dell’ordinamento giuridico [2].


2. L'art. 42, comma 2, del decreto 'Cura Italia'

La prima norma speciale introdotta nel decreto “Cura Italia” [3] interviene su tre distinti punti dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, prevedendo: – che in caso di accertata infezione da Covid-19 in occasione di lavoro, l’Inail assicura al lavoratore la tutela prevista dalla legge in caso di infortunio sul lavoro; – che le prestazioni di tutela assicurate dall’Inail sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell’infortunato con la conseguente astensione dal lavoro; – che gli oneri dei predetti eventi infortunistici sono posti a carico della gestione assicurativa nel suo complesso e non vanno a gravare invece sulla posizione assicurativa del singolo datore di lavoro. Con riferimento al primo punto, la previsione dell’indennizzabilità dell’infezio­ne da Covid-19 come infortunio sul lavoro, se contratta in occasione di lavoro, non costituisce affatto una novità. È anzi la riaffermazione di principi da sempre vigenti, nell’ambito della disciplina speciale infortunistica, confermati da consolidata medicina legale e dalla giurisprudenza di legittimità in materia di patologie causate da agenti biologici [4]. Le patologie infettive (vale per il Covid-19, così come, ad esempio, per l’epatite, la brucellosi, l’AIDS ed il tetano) contratte in occasione di lavoro sono da sempre inquadrate e trattate come infortunio sul lavoro poiché l’azione lesiva di fattori microbici o virali (c.d. causa virulenta), presenti nell’ambiente di lavoro, in modo e­sclusivo o in misura significativamente diversa rispetto all’ambiente esterno [5], viene equiparata alla causa violenta, propria dell’infortunio, anche quando i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo [6]. Inoltre, la giurisprudenza consolidata della Suprema Corte ha affermato che, nell’impossibilità di accertare con certezza scientifica il momento e le modalità del contagio (come nel caso del Covid-19), la dimostrazione dell’occasione di lavoro, ai soli fini dell’ammissione alla tutela, può essere fornita anche mediante presunzioni semplici, fondate sulle accertate modalità della prestazione lavorativa [7]. Il secondo punto innova invece la previgente disciplina estendendo la tutela [continua ..]


3. Le circolari dell'Inail

In coerenza con questa linea e con i principi consolidati in materia si sono e­spresse le circolari applicative dell’Inail [10], che con particolare riferimento ai profili applicativi dell’assicurazione obbligatoria hanno distinto in modo chiaro i differenti presupposti per il riconoscimento della tutela nei confronti del lavoratore, rispetto ai presupposti necessari per il ricorrere della responsabilità penale e civile del datore di lavoro, che devono essere rigorosamente accertati con criteri diversi da quelli pre­visti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative [11]. Inoltre, con riferimento ai presupposti per il ricorrere della tutela in favore del lavoratore colpito dall’evento lesivo, non si prevede alcun automatismo ai fini del riconoscimento dell’infezione da Covid-19 come infortunio sul lavoro. Ed infatti, solo in presenza di accertate modalità e circostanze della prestazione lavorativa che depongono per un aggravamento del rischio di contatto con l’agente patogeno si può ritenere probabile che la patologia sia stata contratta in occasione di lavoro. Non è sufficiente che il soggetto che ha contratto l’infezione sia un lavoratore, occorre anche che siano accertate modalità e circostanze dell’attività che giustifichino la presunzione semplice di origine lavorativa. A questi principi si sono conformate le indicazioni fornite dall’Inail, che hanno preso in esame diverse tipologie di attività lavorative rispetto alle quali il rischio generico di contatto con il Covid-19 si può ritenere aggravato, fino a divenire anche specifico, come nel caso degli operatori sanitari [12]. Le predette indicazioni risultano pienamente coerenti con la considerazione che il lavoro in presenza, soprattutto con modalità che comportano ripetuti contatti con persone potenzialmente portatrici del virus, non facilmente identificabili, considerato l’elevato numero di soggetti asintomatici o paucosintomatici non censiti, nonché la necessità di fare uso, per il percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, di mezzi di trasporto pubblico che talora rendono difficile il rispetto della regola del “distanziamento sociale”, costituiscono un fattore di sensibile aggravamento del rischio di contagio per i predetti lavoratori. [continua ..]


4. L'emendamento approvato in Parlamento inserito nel decreto 'Liquidità'

Pur avendo il Governo avuto modo di sottolineare intervenendo in Parlamento che «la molteplicità delle modalità del contagio e la mutevolezza delle prescrizioni da adottare sui luoghi di lavoro, oggetto di continuo aggiornamento da parte delle autorità in relazione all’andamento epidemiologico, rendono peraltro estremamente difficile la configurabilità delle responsabilità civile e penale dei datori di lavoro» [21] viene invocata una norma esplicita di tutela in favore dei datori di lavoro in regola con le norme e le prescrizioni di sicurezza. La c.d. fase 2 è stata avviata nonostante che il rischio di contagio fosse ancora sussistente e si fonda sull’elaborazione del c.d. “rischio accettabile” da parte dei Comitati scientifici, in base alla quale il Governo ha operato le proprie scelte. In questa fase le attività produttive e i servizi non essenziali hanno ripreso e potranno riprendere, nel rispetto della tempistica dettata dalle diverse Autorità competenti, a condizione che siano adottate le misure necessarie a garantire il contenimento del rischio di contagio. Il presupposto è, quindi, un bilanciamento proporzionale tra le esigenze della tutela della salute pubblica e quelle della ripartenza dell’econo­mia. Bilanciamento che è rimesso alle Autorità competenti e non ai singoli datori di lavoro. Questi ultimi sono, invece, tenuti a dare attuazione alle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro in­dividuate con i protocolli di intesa recepiti anche a livello normativo. Ragionevolmente ai datori di lavoro potranno essere imputati soltanto comportamenti che costituiscano violazione e/o omissione delle suddette misure. Esula, invece, dalle facoltà e dalle competenze del singolo datore di lavoro una valutazione sul merito delle stesse; il datore di lavoro deve prendere atto delle indicazioni tecniche fornite per il contenimento del rischio di contagio nel proprio ambiente di lavoro ed apportare le modifiche alla propria organizzazione necessarie per dare attuazione alle predette indicazioni tecniche. Tuttavia, la preoccupazione del mondo imprenditoriale consiste nel fatto che, nonostante i principi di diritto sopra riportati, i datori di lavoro possano in futuro vedersi addebitare la responsabilità di infezioni da Covid-19 per non aver fatto [continua ..]


5. Un vulnus ancora aperto nella tutela

Una lacuna evidente invece permane con riferimento alla tutela estesa dalla legislazione emergenziale, avuto riguardo all’ambito soggettivo di applicazione della copertura assicurativa obbligatoria garantita dall’Inail. Ed infatti, con riferimento alle categorie di lavoratori che hanno diritto alla tutela sociale, la disposizione sopra richiamata del decreto “Cura Italia” non ha introdotto alcuna innovazione ed, in assenza di interventi correttivi, l’Inail dovrà applicare l’art. 5 del d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38 [24]. In conseguenza del richiamo operato da tale disposizione alla norma fiscale, che esclude l’assimilazione quando la collaborazione coordinata e continuativa abbia ad oggetto l’esercizio dell’arte o professione, non rientrano nell’ambito soggettivo della tutela i medici e gli infermieri professionali che prestano la propria attività con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa [25]. Rimangono esclusi, altresì, i medici di base e non pochi operatori sanitari che, senza essere titolari di un sottostante rapporto di lavoro subordinato, hanno risposto all’appello della Protezione civile e dato la disponibilità a prestare la propria opera presso strutture sanitarie in condizione di criticità per la particolare intensità del contagio. Manifesta appare in tali circostanze l’incostituzionalità di una disposizione che, a parità di rischio, discrimina i lavoratori in ragione di una disciplina dettata a fini fiscali. La perpetuazione di una siffatta disparità determina una ingiustificabile discriminazione, con conseguente vuoto di tutela, proprio in danno di coloro che più sono esposti in prima linea nel contrasto alla diffusione del contagio e nella cura di coloro che hanno contratto l’infezione. Appare auspicabile, pertanto, un’iniziativa del legislatore per scongiurare la sopra segnalata palese iniquità con un intervento di carattere sistematico e strutturale [26].


NOTE