Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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Il trasferimento d'azienda nel codice della crisi d'impresa e dell´insolvenza: prove di assestamento euro-unitario (di Antonio Preteroti, Professore associato di Diritto del lavoro, Università degli Studi di Perugia)


Il saggio affronta il tema del trasferimento d’azienda nel nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.

L’Autore, dopo aver esaminato gli effetti del rinvio esplicito all’art. 47 della legge n. 428/1990, analizza i tratti principali della disciplina con riferimento sia all’ambito delle procedure non liquidatorie, sia all’ambito delle procedure liquidatorie.

Entro il primo perimetro, l’A. individua le aziende beneficiarie dell’apparato derogatorio al­l’art. 2112 c.c. e definisce l’ambito delle deroghe di legge, dopo aver identificato nell’ac­cordo collettivo un elemento essenziale a tal fine.

Nel secondo perimetro, quello relativo alle procedure liquidatorie, l’A., in primo luogo, identifica i soggetti sindacali abilitati a concludere l’accordo collettivo; poi, affronta il tema degli accordi individuali in sede protetta. Viene anche esaminata la disciplina riservata alle imprese sottoposte ad amministrazione straordinaria e a tal proposito l’Autore rileva alcune criticità interpretative e applicative delle norme applicabili, anche alla luce del diritto euro-unitario.

Infine, l’Autore chiarisce le questioni problematiche dell’immediata esigibilità del trattamento di fine rapporto nei confronti del cedente e dell’estensione dell’operatività del Fondo di garanzia INPS.

The transfer of undertakings in the code on business crisis and insolvency: attempting an adjustment to european union law

The essay deals with the issue of the transfer of undertakings in the new Code on business crisis and insolvency.

The Author, after examining the effects of the explicit reference to art. 47 of the law n. 428/1990, analyses the main features of the discipline with reference to proceedings instituted with a view to the continuation of the business activity and the proceedings instituted with a view to the liquidation of the assets of the transferor (or winding-up procedures).

Within the first perimeter, the Author identifies the companies benefiting from the derogations to art. 2112 of the Italian Civil Code and demarcates the scope of the possible derogations, after having identified in the collective agreement an essential element for this purpose.

Within the second perimeter, the one relating to winding-up procedures, the Author, firstly, individuates the trade unions authorized to sign the collective agreement; secondly, he deals with the issue of individual agreements signed in front of bodies of guarantee (so called “sedi protette”). Moreover, while examining the discipline dedicated to companies in extraordinary administration, the Author expounds some critical issues in the interpretation and application of the applicable norms, also in the light of the European Union Law.

Finally, the Author clarifies the problem of the immediate collectability from the transferor of the severance indemnity (more specifically: “trattamento di fine rapporto”) and the problem of the applicability of the INPS Guarantee Fund.

SOMMARIO:

1. Le novità introdotte dal Codice della crisi d’impresa e dell’in­solvenza - 2. Gli effetti scaturenti dal rinvio esplicito all’art. 47 della legge n. 428/1990, l’informazione sindacale semplificata e la facoltà di apporre una condizione sospensiva - 3. Le aziende beneficiarie dell’apparato derogatorio all’art. 2112 c.c. nell’ambito delle procedure non liquidatorie - 4. Segue: l’accordo collettivo quale elemento essenziale della fattispecie derogatoria - 4.1. L’accordo può concludersi “anche” attraverso i contratti collettivi di cui all’art. 51, d.lgs. n. 81/2015 - 5. Procedure non liquidatorie e ampiezza della deroga all’art. 2112 c.c.: l’espresso riferimento alle “sole” condizioni di lavoro in omaggio al diritto euro-unitario - 6. Questioni in tema di concordato preventivo in continuità indiretta - 7. L’ambito di operatività dell’apparato derogatorio nelle procedure liquidatorie - 8. Segue: i soggetti sindacali abilitati a concludere l’accordo collettivo - 9. Segue: gli accordi individuali da sottoscriversi in sede protetta - 10. Le peculiarità della disciplina applicabile alle imprese sottoposte all’amministrazione straordinaria - 11. Segue: trasferimento di azienda e amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi tra nodi irrisolti e letture euro-unitariamente conformi - 12. L’immediata esigibilità del trattamento di fine rapporto nei confronti del cedente e l’estensione dell’operatività del Fondo di garanzia INPS nelle procedure liquidatorie - 13. Conclusioni - NOTE


1. Le novità introdotte dal Codice della crisi d’impresa e dell’in­solvenza

Il Codice riscrive, con effetti dal 1° settembre 2021, la disciplina del trasferimento d’azienda in crisi o insolvente (artt. 191 e 368, d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14) [1]. Al fine di adeguare la normativa interna alla direttiva 2001/23/CE, così come interpretata dalla Corte di Giustizia, l’art. 368, comma 4, del Codice riformula infatti l’art. 47 della legge n. 428/1990, che, come noto, mira a bilanciare le esigenze di tutela dei diritti dei lavoratori e di salvaguardia dei livelli occupazionali e le esigenze tecnico-produttive del cessionario. Nell’ottica di un superamento delle criticità applicative storicamente connesse alla disciplina del trasferimento di azienda in crisi, il Codice introduce un triplice apparato derogatorio all’art. 2112 c.c. Il primo viene dedicato alle procedure non liquidatorie (finalizzate ad assicurare la prosecuzione dell’impresa); il secondo, in generale, alle ipotesi di procedure liquidatorie (che servono unicamente a massimiz­zare la soddisfazione collettiva dei creditori) diverse dall’amministrazione straordi­naria; il terzo esclusivamente all’amministrazione straordinaria nel caso in cui l’atti­vità non sia stata disposta o sia cessata. Le novità introdotte dal Codice sono numerose e particolarmente rilevanti [2]: il pensiero va al rinvio esplicito all’art. 47 della legge n. 428/1990; alle innovazioni in materia di informazione sindacale; ai soggetti beneficiari dell’apparato derogatorio; alla netta distinzione degli ambiti di applicazione delle deroghe a seconda della finalità liquidatoria o no della procedura concorsuale; alla nuova tecnica di selezione dei soggetti collettivi legittimati a concludere gli accordi derogatori; alla previsione contenente una nuova e speciale disciplina per le imprese sottoposte all’ammini­strazione straordinaria nel caso in cui l’attività non sia stata disposta o sia cessata; alla esigibilità del TFR nei confronti del cedente e all’operatività del Fondo di garanzia Inps nelle procedure liquidatorie. Il presente studio intende quindi analizzare la portata delle novità introdotte dal Codice, mettendo in risalto le diversità di funzionamento delle deroghe all’art. 2112 c.c. ma senza tralasciare una verifica della loro tenuta euro-unitaria.


2. Gli effetti scaturenti dal rinvio esplicito all’art. 47 della legge n. 428/1990, l’informazione sindacale semplificata e la facoltà di apporre una condizione sospensiva

Dalla data di entrata in vigore del Codice, è previsto espressamente (art. 191) che al trasferimento di azienda nell’ambito delle procedure di liquidazione giudiziale, concordato preventivo, ovvero in esecuzione di accordi di ristrutturazione, si applichi l’art. 47, legge n. 428/1990, così come modificato dall’art. 368, comma 4 [3]. Il legislatore, mediante tale rinvio, ha inteso armonizzare le procedure di gestione della crisi e dell’insolvenza con le forme di tutela dell’occupazione e del reddito dei lavoratori, in ossequio al principio contenuto nell’art. 2, comma 1, lett. p), legge delega n. 155/2017 [4]. Occorre innanzitutto chiedersi se la nuova disciplina derogatoria risulti applicabile esclusivamente ai trasferimenti d’azienda in cui siano complessivamente occupati almeno sedici dipendenti, ovvero se essa debba intendersi applicabile a prescindere dalle dimensioni aziendali. Tale ultima conclusione potrebbe far leva su una lettura disgiunta dei commi dell’art. 47 [5]. Del resto, anche il nuovo testo della norma conferma l’espresso riferimento al requisito dimensionale soltanto al primo comma, mentre nei commi 4 bis, 5 e 5 ter, espressamente dedicati al trasferimento di azienda in crisi, è contenuto un generico riferimento alla fase di consultazione sindacale. Ciononostante, il rinvio all’art. 47 nella sua interezza fa propendere per la prima opzione che restringe l’ambito di applicazione della disposizione alle aziende in cui sono complessivamente occupati più di quindici lavoratori: a prevederlo è infatti il comma 1 dello stesso art. 47. Tale lettura ha delle ricadute molto importanti perché al di sotto di questi limiti dimensionali si applicherà integralmente l’art. 2112 c.c. Si noti che l’art. 191 del Codice, nel rinviare all’art. 47, non contempla l’ipotesi dell’amministrazione straordinaria né quella della liquidazione coatta amministrativa. E tuttavia ciò non pone alcun problema perché, per l’amministrazione straordinaria, il rinvio all’art. 47 è rinvenibile nell’art. 63, d.lgs. n. 270/1999; mentre alla liquidazione, per espressa previsione (art. 304), si applicano le disposizioni del Titolo V, Capo I, Sezione V, quindi anche l’art. 191 [6]. Va infine segnalato che la comunicazione del trasferimento ai soggetti sindacali [continua ..]


3. Le aziende beneficiarie dell’apparato derogatorio all’art. 2112 c.c. nell’ambito delle procedure non liquidatorie

Il comma 4 bis dell’art. 47, legge n. 428/1990 contiene il primo apparato derogatorio alle regole in materia di trasferimento di azienda specificamente riferito alle procedure non liquidatorie. Tale apparato permette la modifica delle condizioni di lavoro dei lavoratori trasferiti al cessionario a fronte di due presupposti: uno di ordine soggettivo (relativo alle aziende beneficiarie); l’altro di carattere oggettivo (il raggiungimento di un accordo collettivo: su cui v. infra). Dopo la nuova formulazione dell’art. 47, comma 4 bis, lo “stato di crisi aziendale”, a differenza che in passato [9], non esime più dalla integrale applicazione delle tutele di cui all’art. 2112 c.c., quali la conservazione delle condizioni di lavoro, la continuità del rapporto, o il principio di responsabilità solidale di cedente e cessionario. La scelta del legislatore del Codice appare quanto mai innovativa ed opportuna perché l’inclusione delle aziende in stato di crisi aziendale tra i soggetti beneficiari dell’apparato derogatorio mal si concilia con l’art. 5, par. 2, lett. b) e par. 3, della direttiva, che richiede la sussistenza del requisito del controllo giudiziario, come noto assente in tale ipotesi [10]. Nel nuovo ambito delle procedure non liquidatorie si annoverano pertanto le aziende per le quali vi sia stata la dichiarazione di apertura della procedura di concordato preventivo in regime di continuità indiretta (art. 84, comma 2, del codice), con trasferimento di azienda successivo all’apertura del concordato stesso [11]; l’omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti, quando gli accordi non abbiano carattere liquidatorio; ovvero quando sia stata disposta l’amministrazione straordinaria, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell’attività. La disposizione individua in tal modo fattispecie non necessariamente prodromiche all’insolvenza, col chiaro intento di agevolare la circolazione dell’azienda [12] e di superare la crisi mediante la prosecuzione dell’attività di impresa [13]. Occorre precisare che le deroghe non operano in caso di accordi di ristrutturazione se non a seguito del provvedimento di omologa da parte del Tribunale, e ciò in sintonia col diritto europeo che, come visto, individua nel controllo di un’autorità pubblica uno dei requisiti [continua ..]


4. Segue: l’accordo collettivo quale elemento essenziale della fattispecie derogatoria

L’operatività della deroga all’art. 2112 c.c., e quindi della modifica delle condizioni di lavoro applicabili al rapporto autorizzata dal comma 4 bis dell’art. 47, è subordinata al raggiungimento di un accordo sindacale che deve intervenire necessariamente all’interno delle trattative con le organizzazioni sindacali, effettuate ai sensi dell’art. 47. I soggetti abilitati a stipulare gli accordi in questione vengono individuati dal comma 2 dell’art. 47 e gli stessi possono di fatto non coincidere con i soggetti destinatari della comunicazione di cui al comma 1. Difatti la norma, al comma 2, precisa come l’esame congiunto debba avviarsi con i sindacati “richiedenti”. Pertanto, potrebbe verificarsi che tra i sindacati destinatari della comunicazione solo alcuni richiedano un esame congiunto [15]. C’è da domandarsi se, una volta avviato l’esame congiunto con i sindacati richiedenti, l’accordo possa essere firmato da alcuni soltanto di essi. L’opponibilità degli accordi in deroga all’art. 2112 c.c. discende dalla legge – e specificamente, dalle previsioni normative di cui all’art. 47 [16] – nella misura in cui considera l’accordo un elemento costitutivo di una fattispecie complessa [17]. Cosicché parte della dottrina, facendo leva sulla particolare natura giuridica del contratto, aveva ritenuto ragionevole la necessità di una stipula da parte di tutti i soggetti che avessero partecipato all’esame congiunto [18]. Bisogna tuttavia prendere atto di come la stessa Corte di Cassazione, nell’ambito di procedure sostanzialmente analoghe, come quelle in materia di accordi di riduzione del personale, abbia assunto un orientamento differente. Difatti, secondo la Corte, ritenere che ai fini della validità dell’accordo sia necessaria la sottoscrizione da parte di tutte le organizzazioni sindacali potrebbe vanificare il meccanismo di controllo sindacale richiesto dalla legge: basterebbe infatti il dissenso anche di un solo sindacato per paralizzare la funzione gestionale affidata alle organizzazioni sindacali [19]. In buona sostanza, la Corte attribuisce rilievo alla effettiva rappresentatività dei soggetti stipulanti: la validità dell’accordo pertanto prescinde da una stipulazione unitaria e richiede un controllo effettivo sulla [continua ..]


4.1. L’accordo può concludersi “anche” attraverso i contratti collettivi di cui all’art. 51, d.lgs. n. 81/2015

Va segnalato che, secondo il nuovo comma 4 bis dell’art. 47, l’accordo derogatorio può essere concluso “anche” attraverso contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale [25] e contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria (ex art. 51, d.lgs. n. 81/2015 [26]). A tal proposito va precisato che la congiunzione “anche” assume valore meramente esemplificativo, esprimendo semplicemente una delle possibili opzioni. L’ac­cordo sindacale può pertanto intervenire all’interno delle trattative con i soggetti individuati dal comma 2 dell’art. 47 che potrebbero non possedere i requisiti individuati dall’art. 51, d.lgs. n. 81/2015 [27]. Inoltre, la norma potrebbe neutralizzare il rischio che il dissenso di una sigla possa essere ostativo all’efficacia dell’accordo. Difatti, secondo l’art. 51 l’accordo può es­sere stipulato anche soltanto “da” una sola associazione sindacale e dalle sue rappresentanze sindacali aziendali, purché comparativamente più rappresentative [28]. Ad ogni modo, l’impatto che l’art. 51 esercita nelle dinamiche relazionali che caratterizzano i rapporti tra contratti collettivi di diverso livello all’interno del c.d. Jobs Act non sembra replicabile – nonostante l’espresso richiamo nel nuovo comma 4 bis – nel caso in esame giacché qui non sembra che la stipulazione di un contratto collettivo «… di cui all’art. 51 …» possa effettivamente contendere spazi e competenze alla contrattazione collettiva nazionale: sia nel vecchio testo sia nel nuovo, l’eventuale superamento della norma inderogabile è possibile in forza del rinvio che – lungi dal sollecitare un confronto tra contratti collettivi di diverso livello – è utile alla limitazione degli effetti previsti dalla legge [29].


5. Procedure non liquidatorie e ampiezza della deroga all’art. 2112 c.c.: l’espresso riferimento alle “sole” condizioni di lavoro in omaggio al diritto euro-unitario

Una volta chiariti i requisiti soggettivi e oggettivi indicati al comma 4 bis del­l’art. 47, è necessario delimitare la portata della deroga concessa dal Codice della crisi all’art. 2112 c.c. Il nuovo comma 4 bis dell’art. 47 della legge n. 428/1990 sancisce espressamente il trasferimento al cessionario dei rapporti di lavoro, mentre permette solo una modifica alle condizioni di lavoro, nei termini e con le limitazioni previste dall’ac­cordo collettivo [30]. Ciò vuol dire che l’accordo potrebbe stabilire qualsiasi deroga al trattamento collettivo riconosciuto ai lavoratori (livello di inquadramento, orario, retribuzione – entro il limite dettato generalmente dall’art. 36 Cost. [31] – ecc.), senza dover rispettare alcuna delle limitazioni previste dall’art. 2112, comma 3, c.c., in particolare, senza che l’ef­fetto di sostituzione debba prodursi necessariamente fra contratti collettivi del medesimo livello (art. 2112, comma 3, ultimo periodo) [32]. Stante l’assenza di un’espressa previsione, invece, tale accordo sembra non poter procedere a derogare le condizioni di lavoro di fonte legale; salvo che l’intesa possegga anche tutti i requisiti stabiliti dall’art. 8, decreto legge n. 138/2011, conv. con mod. in legge n. 148/2011, in tal caso potendo, con ogni evidenza, prevedere deroghe anche alle norme di legge. Una simile interpretazione pare inoltre conforme al dettato dell’art. 5, par. 2, lett. b), direttiva n. 23/2001, secondo cui le parti possono sì convenire modifiche delle condizioni di lavoro, ma solo nella misura in cui la legislazione o le prassi in vigore nel Paese membro lo consentano. Ed è noto che la legislazione italiana, al di fuori di ipotesi specifiche (come quella prevista dal richiamato art. 8), non riconosce alla contrattazione collettiva potere derogatorio rispetto alle norme di legge. A seguito della riscrittura del comma 4 bis dell’art. 47, nel quale peraltro è stato eliso il riferimento al “mantenimento anche parziale dell’occupazione”, non vi è più spazio per letture volte a ritenere derogabile il principio di continuità del rapporto. Al contempo, non si scorgono letture volte ad ammettere deroghe al principio di responsabilità solidale tra cedente e cessionario per i crediti dei lavoratori esistenti all’atto del [continua ..]


6. Questioni in tema di concordato preventivo in continuità indiretta

Una riflessione a sé merita la previsione contenuta nell’art. 84 comma 2 del Codice che sancisce, in capo al soggetto che prosegue l’attività dell’imprenditore, l’ob­bligo di mantenere o riassumere un numero di lavoratori pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso, per il periodo di un anno a decorrere dalla data dell’omologazione. Va infatti sgombrato il campo da un possibile equivoco: la norma non contiene una deroga all’art. 2112 c.c. ed in particolare al principio di continuità del rapporto. Ragionando diversamente tale previsione non sarebbe conforme alla direttiva europea, che legittima una tale deroga solo in presenza di procedure con finalità liquidatorie, non presenti nel concordato in regime di continuità [36]. La disposizione, invero, oltre a garantire il passaggio di tutto il personale in forza al momento dell’apertura del concordato, subordina l’attribuzione dell’azienda al fatto che il proponente garantisca “in aggiunta” un determinato organico per un certo periodo: ad esempio, se l’impresa in concordato ha licenziato un determinato nu­mero di lavoratori prima dell’apertura del concordato medesimo, l’imprenditore ces­sionario deve riassumere un numero di lavoratori tale da garantire il 50% di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso [37]. Se tale soglia risulta già rispettata al momento dell’apertura del concordato si assisterà solo al passaggio dei lavoratori in forza. Nel caso di dimissioni o di licenziamenti nel corso dell’anno tali da compromettere la soglia del 50% il cessionario sarà tenuto a riassumere un numero corrispondente a quello non più in servizio sino alla scadenza dei dodici mesi. In altre parole, più che un divieto di licenziamento nel periodo successivo al­l’apertura del concordato sussiste un obbligo di garantire in servizio un determinato numero di lavoratori [38]. E tale obbligo si assolve mediante la “riassunzione” dei lavoratori impiegati in data antecedente al concordato e non mediante “l’assunzione” di nuovi lavoratori. In caso di violazione dell’obbligo di riassunzione, vi è spazio per un’azione risarcitoria “per la perdita di chance subita dal lavoratore, il [continua ..]


7. L’ambito di operatività dell’apparato derogatorio nelle procedure liquidatorie

Il Codice, nell’ottica di un coordinamento con la disciplina del diritto del lavoro, riscrive il comma 5 dell’art. 47, legge n. 428/1990, introducendo un secondo apparato derogatorio all’art. 2112 c.c. relativo alle procedure liquidatorie (art. 368 comma 4, lett. c) [40]. In ipotesi di trasferimento di imprese nei confronti delle quali vi sia stata apertura della liquidazione giudiziale o di concordato preventivo liquidatorio, ovvero ema­nazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa, nel caso in cui la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata, i rapporti di lavoro continuano con il cessionario. In questi casi, destinati alla salvaguardia dell’impresa al solo fine di massimizzare la soddisfazione collettiva dei creditori o alla mera liquidazione dei beni, restano tuttavia salve eventuali previsioni di accordi collettivi che escludano il diritto alla continuità dei rapporti [41], al mantenimento delle condizioni di lavoro ovvero il divieto di licenziamento in ragione del trasferimento (sempre che possa configurarsi un giustificato motivo oggettivo). Perché operi qualsiasi deroga di fonte collettiva occorre pertanto una specifica previsione in tal senso. L’esistenza di un accordo collettivo, di per sé, non comporta automaticamente alcuna deroga ai principi contenuti nell’art. 2112 c.c. a differenza di quanto accade in base all’attuale versione del comma 5 dell’art. 47 che sancisce la disapplicazione integrale delle tutele, salvo previsioni di maggior favore. Nell’ambito delle procedure liquidatorie, è invece esclusa automaticamente l’ap­plicazione del principio di solidarietà tra cedente e cessionario di cui all’art. 2112, comma 2, c.c. Tale disposizione è da ritenersi conforme al diritto europeo perché esso non richiede l’accordo collettivo quale condizione di legittimità per la disapplicazione delle tutele in materia di trasferimento di azienda, sempre che sussista effettivamente una finalità liquidatoria (art. 5, par. 1, direttiva n. 23/2001 [42]).


8. Segue: i soggetti sindacali abilitati a concludere l’accordo collettivo

Nell’ambito delle procedure concorsuali con finalità liquidatoria, in assenza della congiunzione “anche”, l’accordo collettivo derogatorio può essere concluso nel­l’ambito delle consultazioni “solo” dai soggetti sindacali provvisti dei requisiti del­l’art. 51, d.lgs. n. 81/2015, ovverosia dai sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale e dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria. Tuttavia, considerato che l’accordo sindacale interviene all’interno delle trattative con i soggetti individuati dal comma 2 dell’art. 47, potrebbe accadere che i soggetti stipulanti non possiedano i requisiti individuati dall’art. 51, d.lgs. n. 81/2015 [43], come avviene nel caso di rsa non composta da sindacati comparativamente più rappresentativi [44]. In assenza di tali requisiti di rappresentatività l’accordo non può spiegare gli effetti derogatori previsti dal nuovo comma 5 dell’art. 47. Di converso, se i soggetti possiedono i requisiti fissati dall’art. 51, la nuova previsione rende l’eventuale accordo raggiunto immune ai noti problemi di efficacia soggettiva.


9. Segue: gli accordi individuali da sottoscriversi in sede protetta

Il nuovo comma 5 dell’art. 47 fa inoltre salva la possibilità di stipulare accordi individuali, anche in caso di esodo incentivato dal rapporto di lavoro, da sottoscriversi nelle sedi di cui all’art. 2113, ultimo comma, c.c. La congiunzione “anche” assume ancora una volta valore meramente esemplificativo, esprimendo semplicemente una delle possibili opzioni: l’accordo individuale può (ma non deve obbligatoriamente) intervenire in caso di esodo incentivato. Secondo una corrente di pensiero [45], la previsione intende semplicemente precisare che il diritto alla continuità del rapporto, già entrato nel patrimonio del lavoratore, può essere oggetto di atti di disposizione dell’autonomia individuale. Questa interpretazione non pare l’unica percorribile. L’espressione è infatti inserita nel periodo dedicato all’accordo collettivo derogatorio che, come noto, interviene prima del trasferimento di azienda, e ciò aiuta a ritenere che non si tratti di un atto dispositivo di un diritto già entrato nel patrimonio del lavoratore. Potrebbe quindi significare altro, ossia che l’autonomia individuale può derogare – in sede protetta – al principio di continuità, al trattamento collettivo e al divieto di licenziamento in ragione del trasferimento. Del resto, la fonte europea, in ipotesi di procedure liquidatorie, non richiede che la deroga operi necessariamente a fronte di un accordo collettivo. E questo spiegherebbe perché la previsione è stata inserita nel comma 5 (dedicato alle procedure liquidatorie) e non anche nel comma 4 bis (relativo alle procedure non liquidatorie). In conclusione, può affermarsi che, entro tale cornice normativa, nelle sedi protette non viene svolta una funzione conciliativa, non essendovi alcuna rinuncia o transazione, ma viene svolta una funzione di assistenza all’esercizio dell’autonomia privata, ossia un’assistenza alla derogabilità all’art. 2112 c.c. (c.d. deroga assistita). In tali sedi verrà pertanto verificato che il consenso non sia viziato e che sussistano le condizioni di operatività della disposizione, ergo che l’accordo intervenga nel­l’ambito di procedure liquidatorie. Tale interpretazione permette tra l’altro di attribuire un significato alla disposizione che altrimenti rimarrebbe lettera morta, [continua ..]


10. Le peculiarità della disciplina applicabile alle imprese sottoposte all’amministrazione straordinaria

Il legislatore del Codice riserva un terzo apparato derogatorio in favore delle imprese sottoposte all’amministrazione straordinaria, nel caso in cui la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata (art. 368, comma 4, lett. d), che introduce il comma 5 ter all’art. 47, legge n. 428/1990). In questi casi, qualora venga raggiunto un accordo collettivo circa il mantenimento anche parziale dell’occupazione, ai lavoratori il cui rapporto di lavoro continua con il cessionario non trova applicazione l’art. 2112 c.c., salvo che dall’accordo risultino condizioni di miglior favore. Questa formulazione ricorda quella contenuta nella versione ante Codice, come noto relativa a tutte le procedure con finalità liquidatoria e non solo all’ipotesi del­l’amministrazione straordinaria. In questo caso, l’impianto derogatorio è ribaltato: l’art. 2112 c.c. non si applica in presenza di un accordo collettivo. L’art. 2112, in presenza di accordo collettivo, opera se e nella misura in cui le parti lo abbiano specificato espressamente. La disposizione non contempla il riferimento ai contratti collettivi ex art. 51, d.lgs. n. 81/2015, limitandosi a precisare che l’accordo vada raggiunto nel corso della consultazione sindacale. Per tale ragione, i soggetti abilitati a stipulare gli accordi in questione sono “solo” quelli richiedenti l’esame congiunto ex art. 47, comma 2, con tutto ciò che ne consegue in ordine alla questione dell’efficacia soggettiva (cfr. supra, par.4). Sul piano pratico, in presenza di accordo collettivo, si presume che vengano meno la continuità giuridica dei rapporti di lavoro [46], la solidarietà tra cedente e cessionario per i crediti dei lavoratori esistenti all’atto del trasferimento, nonché l’obbligo di applicare il contratto collettivo vigente alla data del trasferimento, fino alla scadenza, fatta salva la sostituzione con altro del medesimo livello applicabile al cessionario. Ciò implica che il trasferimento non riguardi il personale eccedentario e che que­st’ultimo continui a rimanere, in tutto o in parte, alle dipendenze del cedente; non­ché la possibilità di licenziare in ragione del trasferimento [47], sempre che quest’ultimo integri un giustificato motivo oggettivo. Viene da chiedersi se, fermo restando [continua ..]


11. Segue: trasferimento di azienda e amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi tra nodi irrisolti e letture euro-unitariamente conformi

Rimane da chiedersi come si collochi nel nuovo sistema delineato dal Codice la disciplina contenuta nell’art. 63, d.lgs. n. 270/1999 in materia amministrazione stra­ordinaria delle grandi imprese in crisi [55]. L’interrogativo riguarda ad esempio la previsione che demanda alla contrattazio­ne collettiva, intervenuta nel corso delle procedure di consultazione sindacale, la possibilità di prevedere il trasferimento solo parziale dei lavoratori alle dipendenze dell’acquirente e ulteriori modifiche alle condizioni di lavoro contenute dalle norme vigenti (art. 63, comma 4). Per quanto concerne i programmi di amministrazione straordinaria privi di finalità liquidatorie, sembra possibile ritenere tale previsione implicitamente abrogata dal nuovo comma 4 bis dell’art. 47 (ed invero ancor prima dalla novella del 2009 di introduzione del comma 4 bis all’art. 47 [56]) che in tali casi legittima, in conformità alla giurisprudenza europea, solo modifiche alle condizioni di lavoro dei rapporti nel senso sopra specificato (cfr. par. 5) [57]. La medesima argomentazione può essere spesa in ipotesi di amministrazione straordinaria di imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali o che gestiscono almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale [58], sebbene l’art. 5, comma 2 ter, decreto legge n. 347/2003, conv. in legge n. 39/2004 [59], preveda nell’ambito delle consultazioni di cui all’art. 63, comma 4, d.lgs. n. 270/1999, ovvero esaurite le stesse infruttuosamente, la possibilità per il Commissario e il cessionario di individuare i lavoratori che passano alle dipendenze del cessionario. E ciò sia perché questa disposizione rimette persino alle parti individuali la facoltà di derogare al principio di continuità del rapporto [60], sia perché tale risultato sarebbe perseguito in assenza di una finalità liquidatoria e quindi in contrasto con la direttiva europea così come interpretata dalla Corte di Giustizia. Del resto, la direttiva non esclude i trasferimenti d’azienda nell’ambito dei servizi pubblici essenziali: l’esclu­sione opera solo in caso di riorganizzazione amministrativa di enti amministrativi pubblici o il trasferimento di funzioni amministrative tra enti amministrativi pubblici (art. 1, comma 1, lett. c) ovvero in ipotesi di nave [continua ..]


12. L’immediata esigibilità del trattamento di fine rapporto nei confronti del cedente e l’estensione dell’operatività del Fondo di garanzia INPS nelle procedure liquidatorie

Il Codice interviene anche in ordine alla esigibilità del TFR nei confronti del cedente e alla operatività del fondo di garanzia mediante previsioni di particolare importanza. Attualmente, il TFR e le tre ultime mensilità di retribuzione possono essere richiesti dal lavoratore al Fondo di garanzia soltanto nel rispetto dei presupposti di cui agli artt. 2, legge n. 297/1982 e 1 e 2, d.lgs. n. 80/1992 [63], ossia una volta avvenuta la «risoluzione» del rapporto ed a fronte dello stato di insolvenza del datore di lavoro [64]. Da ciò consegue l’esclusiva responsabilità del cessionario, con impossibilità di richiedere l’intervento del Fondo in occasione del trasferimento per i quozienti accantonati presso il cedente [65]. E tuttavia la prassi [66], con il conforto di un orientamento giurisprudenziale minoritario [67], tende a riconoscere l’intervento del Fondo, in via eccezionale, anche in presenza di accordi circa il mantenimento anche parziale dell’occupazione nel­l’ambito di procedure a finalità liquidatoria (ex art. 47, comma 5 ante modifiche) «salvo che l’accordo sindacale preliminare al trasferimento non abbia previsto, quale condizione di miglior favore, l’accollo del TFR da parte dell’acquirente stesso». Il nuovo comma 5 bis dell’art. 47, introdotto dall’art. 368, comma 4, lett. d), del Codice, sancisce invece espressamente che il TFR è immediatamente esigibile dal lavoratore trasferito nei confronti del cedente dell’azienda: la previsione è conseguenza del fatto che nelle procedure concorsuali a finalità liquidatoria, come osservato, è esclusa in deroga alle regole generali l’applicazione del principio di solidarietà tra cedente e cessionario [68]. Inoltre, il Fondo di garanzia, in presenza delle condizioni previste dall’art. 2, legge n. 297/1982, interviene anche a favore dei lavoratori che passino senza soluzione di continuità alle dipendenze dell’acquirente, in forza di una fictio che equipara il trasferimento alla cessazione del rapporto di lavoro. La soddisfazione dei crediti relativi al TFR ed alle ultime tre mensilità è integrale, indipendentemente dalla percentuale di soddisfazione stabilita, anche in ipotesi di concordato preventivo. Con l’entrata in vigore di questa misura di incentivo al [continua ..]


13. Conclusioni

Il triplice apparato derogatorio all’art. 2112 c.c. introdotto dal Codice continua ad essere più garantista di quello offerto dalla direttiva 2001/23 nella misura in cui richiede l’accordo collettivo (ovvero l’accordo individuale da sottoscriversi in sede protetta) quale condizione necessaria per la riduzione o disapplicazione delle tutele altrimenti applicabili ai rapporti di lavoro nell’ambito delle procedure concorsuali con finalità liquidatoria. Il rinvio contenuto nel Codice all’art. 47, legge n. 428/1990 sancisce l’applica­bilità dell’apparato derogatorio in esso contenuto anche ai trasferimenti di azienda nell’ambito delle procedure concorsuali e al contempo restringe l’ambito di applicazione di tale apparato alle aziende in cui sono complessivamente occupati più di quindici lavoratori, con la conseguenza che al di sotto di questi limiti dimensionali continuerà ad applicarsi integralmente l’art. 2112 c.c. La scelta del legislatore del Codice di non includere le aziende in stato di crisi aziendale tra i soggetti beneficiari dell’apparato derogatorio si concilia perfettamente con l’art. 5, par. 2, lett. b) e par. 3, della direttiva, che richiede di converso la sussistenza del requisito del controllo giudiziario, come noto assente in tale ipotesi. Il Codice ha inoltre il merito di mettere un punto fermo sulla portata derogatoria del comma 4 bis dell’art. 47 nell’ambito delle procedure non liquidatorie nella misura in cui ha chiarito che sono ammesse solo modifiche delle condizioni di lavoro (di fonte collettiva) e quindi superato qualsiasi problema di conformità alla direttiva europea. Il richiamo ai contratti collettivi ex art. 51, d.lgs. n. 81/2015, potrebbe poi superare i noti problemi di efficacia soggettiva degli accordi conclusi nell’ambito delle consultazioni sindacali e consente di affermare, con riferimento alle procedure liqui­datorie menzionate dal comma 5, art. 47, legge n. 428/1990, che l’accordo collettivo produce efficacia derogatoria solo qualora venga concluso da soggetti comparativamente più rappresentativi. Sarebbe stato opportuno regolamentare espressamente i rapporti tra le disposizioni dedicate al concordato preventivo in continuità indiretta ed il comma 4 bis dell’art. 47, così come i rapporti tra la disciplina in materia di amministrazione [continua ..]


NOTE