Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
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Quote di tfr versate al fondo di tesoreria: credito di natura retributiva o contributo previdenziale? (di Michela Lucchiari, Dottoressa di ricerca in Diritto del lavoro – Università degli Studi di Padova)


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La quota di TFR versata al Fondo di tesoreria è una prestazione che, sebbene modulata quanto a presupposti e misura secondo le previsioni dell’art. 2120 c.c., costituisce una prestazione previdenziale.

Il Fondo di tesoreria è l’unico obbligato alla corresponsione delle quote di TFR maturate dopo il 1° gennaio 2007, anche in mancanza di prova del versamento dei contributi dovuti al Fondo stesso, trattandosi di prestazione previdenziale cui il Fondo di tesoreria è tenuto ai sensi dell’art. 2116, comma 1, c.c.

Il lavoratore non può in alcun modo ritenersi creditore per il TFR maturato dopo il 1° gennaio 2007 e le cui quote non siano state versate dal datore di lavoro al Fondo di tesoreria, rimanendo il Fondo pur sempre obbligato alla corresponsione della prestazione e dovendo semmai recuperare esso stesso i contributi non versati dal datore di lavoro.

Cass. civ., Sez. Lav., sent. 25 agosto 2023, n. 25305 – Pres. Dott. Umberto Berrino – Rel. Dott. Luigi Cavallaro 

< 1. Nella sentenza in commento la Corte di Cassazione affronta la questione, tut­t’altro che pacifica, della natura della quota del trattamento di fine rapporto (d’ora in poi “TFR”) versata al Fondo di tesoreria gestito dall’INPS da parte dei datori di lavoro che occupano più di cinquanta dipendenti secondo quanto previsto dall’art. 1, commi 755 ss., legge 27 dicembre 2006, n. 296 e dal decreto ministeriale attuativo del 30 gennaio 2007. Nello specifico, all’origine della decisione, si pongono dei ricorsi per decreto ingiuntivo proposti da quattro lavoratori nei confronti dell’INPS, in qualità di gestore del suddetto Fondo di tesoreria, volti ad ottenere il pagamento della rivalutazione monetaria e degli interessi sul TFR a seguito della cessazione dei rispettivi rapporti di lavoro. L’INPS proponeva opposizione ai decreti ingiuntivi emessi in favore dei lavoratori ricorrenti, sostenendo la natura contributiva della quota di TFR versata al Fondo di tesoreria e, pertanto, l’applicabilità alla stessa del divieto di cumulo di rivalutazione monetaria e interessi sancito dall’art. 16, comma 6, legge 30 dicembre 1991, n. 412. Nei primi due gradi di giudizio venivano accolte le istanze dei lavoratori: tanto il Tribunale quanto la Corte d’Appello di Firenze, infatti, ritenevano che il TFR versato al Fondo di tesoreria avesse natura retributiva; la Corte di Cassazione, invece, aderisce alla tesi dell’Ente previdenziale. Prima di esaminare le argomentazioni sviluppate dai Giudici di legittimità, pare opportuno soffermarsi, seppur brevemente, sulla disciplina legislativa del Fondo di tesoreria gestito dall’INPS e sull’orientamento giurisprudenziale sviluppatosi sul tema, anche al fine di verificare se la sentenza in commento risulti conforme o meno al predetto filone. 2. A decorrere dal 1° gennaio 2007, i datori di lavoro che occupano più di cinquanta dipendenti[1] non possono tenere il TFR in azienda, ma devono obbligatoriamente versarlo al “Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all’art. 2120 del codice civile”, istituito e disciplinato dall’art. 1, commi 755 e seguenti, legge n. 296/2006 e dal successivo d.m. 30 gennaio 2007; si tratta, più in particolare, di un Fondo aperto presso la Tesoreria dello Stato e gestito, per conto di quest’ul­timo, dall’INPS[2]. Quanto alla disciplina del Fondo in questione, si evidenzia innanzitutto che la normativa di riferimento per il TFR, anche per quanto concerne la quota che il datore di lavoro deve versare al Fondo, resta quella prevista dall’art. 2120 c.c. Ed infatti il quantum della predetta quota è calcolato secondo i criteri codicistici; ancora, le modalità di erogazione del TFR – anche eventualmente per quanto concerne le [continua..]
Fascicolo 4 - 2023