Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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Diritto del lavoro ed economia (di Antonio Vallebona, Professore emerito di diritto del lavoro – Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”)


Il saggio tratta dei rapporti tra diritto del lavoro ed economia italiana.

Labour law and economy

The essay deals with the relationship between labour law and economy.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Salario minimo - 3. Delocalizzazione - 4. Riduzione delle imposte - 5. Calo demografico e problemi per l’INPS - 6. Immigrazione - 7. Lavoro a termine e a tempo parziale - 8. Droga


1. Introduzione

Prima di trattare il diritto del lavoro e l’economia attuali è necessario descrivere in breve la storia di questo decisivo collegamento. Nell’antichità esistevano gli schiavi ossia soggetti non liberi ma appartenenti, come le cose, al padrone che poteva anche venderli ad un’altra persona. La schiavitù in Europa era cessata grazie alla religione cristiana nell’alto Medioevo, ma esistevano i servi della gleba che erano quasi simili agli schiavi. Dopo la scoperta dell’America, gli africani venivano catturati e trasportati in America come schiavi definiti omuncoli senza anima. L’abolizione di questa schiavitù è avvenuta negli USA nel 1865 alla fine della guerra di indipendenza. Ovviamente nei periodi in cui vigeva la schiavitù, l’economia era basata in gran parte sul lavoro degli schiavi. La rivoluzione industriale, iniziata alla metà del 1700, aveva esteso la produzione mediante la diffusione delle macchine (contrastata dal luddismo) ed il basso costo della manodopera. I salari dei lavoratori erano a livello di mera sussistenza appena sufficienti al ricambio generazionale (legge bronzea dei salari). Non solo perché le condizioni di questi lavoratori erano terribili, sia per la durata della prestazione, sia per la pesantezza delle mansioni, sia per la pericolosità dell’ambiente, sia per l’assenza di qualsiasi forma di previdenza. Venivano impiegati anche fanciulli e donne, denominati mezze-forze per il loro minore apporto cui conseguiva un minor compenso. In assenza di leggi a tutela del lavoratore vigeva il principio secondo cui “qui dit contractual dit juste”, mentre il contratto tra datore e lavoratore era ingiusto come già detto. Pertanto gli imprenditori avevano accumulato tanti capitali, che sono serviti a far crescere l’economia. Solo alla fine del 1800 e nei primi anni del 1900 c’è stata l’enciclica Rerum Novarum del 1891 che auspicava il miglioramento delle condizioni di lavoro, la legge n. 3657/1886 che fissava l’età minima di 9 anni per il lavoro dei fanciulli, la legge n. 80/1898 per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, la legge n. 242/1902 per il lavoro delle donne dei fanciulli, la legge n. 489/1907 per il riposo settimanale e festivo, il d.l. n. 603/1919 per l’assicurazione per l’invalidità e la vecchiaia divenuta [continua ..]


2. Salario minimo

I sindacati dei lavoratori e alcuni partiti politici attualmente all’opposizione chiedono che sia stabilito per legge il salario minimo. Questa richiesta è insensata per le seguenti ragioni. Invero il salario minimo non può essere previsto da una legge, in quanto sarebbe incostituzionale per violazione dell’art. 39, commi 2-4, Cost. In ogni caso il salario minimo non può essere identico in tutta Italia, in quanto ci sono parti del territorio in cui il costo della vita è minore rispetto ad altre parti. Ed infatti fino agli anni ’70 esistevano le gabbie salariali, previste dai contratti collettivi nazionali. Pertanto i sindacati devono ricreare le gabbie salariali, altrimenti soffrirà l’eco­no­mia italiana.


3. Delocalizzazione

Dopo il boom economico degli anni ’60 e la seguente mondializzazione dell’economia, tanti datori italiani si sono delocalizzati nei paesi in cui il salario è minore e le imposte sono più basse (c.d. paradisi fiscali). Ovviamente è quasi irrilevante l’art. 1, commi 224 ss., legge n. 234/2021 secondo cui il datore che intende chiudere una sede o uno stabilimento situati in Italia con un licenziamento non inferiore a 50 lavoratori è obbligato a iniziare una procedura preventiva, ma se non viene raggiunto un accordo il datore può procedere al licenziamento collettivo. Per evitare la delocalizzazione esiste solo un rimedio ossia abbassare le imposte.


4. Riduzione delle imposte

L’art. 53, comma 2, Cost. prevede che il sistema tributario è informato a criteri di progressività. Pertanto la c.d. flat tax (imposta uguale per tutti) non è consentita in Italia. Ovviamente si possono ridurre gli scaglioni e l’importo di ciascuna aliquota. L’attuale governo sta riducendo le aliquote, come già fatto per le partite IVA forfettarie che pagano il 15% fino ad Euro 85.000, mentre prima il limite massimo era Euro 65.000. Ed anche per i lavoratori subordinati si è ridotto il cuneo fiscale, con un esonero contributivo del 2% o 3% dal 1° gennaio 2023 al 30 giugno 2023 e poi del 6% o 7% dal 1° luglio 2023 fino al 31 dicembre 2023. Sicché, come già detto nel precedente punto 2, il salario minimo legale non è consentito e viene sostituito con la riduzione delle imposte e dei contributi.


5. Calo demografico e problemi per l’INPS

Da più di mezzo secolo vige il regime a ripartizione per le pensioni, il che vuol dire che le pensioni vengono pagate con i contributi dei lavoratori attualmente attivi. Purtroppo le donne italiane prima degli anni ’70 facevano 1 milione di figli al­l’anno, mentre dopo ne hanno fatti circa 400.000 all’anno. Questo calo demografico riduce i contributi previdenziali e quindi l’INPS per pagare le pensioni deve essere sostenuta dallo Stato. Ma lo Stato italiano ha un debito pubblico enorme (2.790 miliardi), cresciuto così dagli anni ’80 in poi. Pertanto la c.d. legge Fornero del 2011 che aumenta l’età pensionabile a 67 anni e oltre è esatta. Altro che quota 100 (62 anni d’età e 38 di contributi) indicata dal governo gialloverde nel 2019.


6. Immigrazione

Da qualche anno tanti lavoratori italiani rifiutano i posti di lavoro in agricoltura, in edilizia, negli alberghi, sicché mancano circa cinquecentomila lavoratori. Gli immigrati vengono impiegati nei predetti settori, ma alle volte con una interposizione illecita (c.d. caporalato). Pertanto i flussi migratori sono importanti per l’economia italiana, purché queste persone siano state addestrate nel paese di origine.


7. Lavoro a termine e a tempo parziale

I sindacati dei lavoratori denunziano la precarietà del lavoro, rilevando che ci sono tanti contratti di lavoro a termine o a tempo parziale. Relativamente al lavoro a termine vige la regola secondo cui il contratto non può superare i 24 mesi col medesimo datore di lavoro. Ovviamente se il nuovo datore di lavoro è strettamente collegato col precedente costituendo il c.d. centro unico di imputazione e stipula un contratto a termine col medesimo lavoratore il contratto si trasforma a tempo indeterminato. Per quanto riguarda il lavoro a tempo parziale, il dipendente deve essere compensato come il lavoratore a tempo pieno salvo il riproporzionamento in ragione della ridotta entità della prestazione. Pertanto l’economia italiana non viene ridotta se esistono i suddetti rapporti di lavoro.


8. Droga
Fascicolo 4 - 2023