Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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Società cooperative, principio dell'equa retribuzione e contratto collettivo applicabile (riflessioni a margine di Tar Lombardia, 4 settembre 2023, n. 02046) (di Eufrasia Sena, Ricercatrice di Diritto del lavoro – Università degli Studi di Napoli “Parthenope”)


Il contributo sviluppa alcune considerazioni a margine di una sentenza del Tar Lombardia, che perviene ad una conclusione opposta rispetto a quella prospettata, in varie sentenze, dalla Corte di Cassazione in merito alla non conformità all’art. 36 Cost. del CCNL “Vigilanza privati e servizi fiduciari”. Secondo i Giudici amministrativi, infatti, è pienamente legittimo il trattamento economico previsto da quest’ultimo CCNL, peraltro richiamato nei bandi di gara proprio dell’Ispettorato del lavoro, che ne aveva contestato l’applicazione. Tale orientamento dimostra come la soluzione prospettata dalla Cassazione sia ben lontana dal definire la questione e si inserisce nell’ambito della più ampia riflessione sulla tutela dei salari e sull’opportunità di definire forme di salario minimo.

The principle of fair pay and the applicable collective agreement in the cooperatives (reflections on Tar Lombardia, 4 september 2023, n. 02046)

The essay develops some considerations on a judgment of the Lombardy Regional Administrative Court, which reaches an opposite conclusion compared to that envisaged, in various judgments, by the Court of Cassation on non-compliance with art. 36 Cost. of the CCNL "Private security and fiduciary services". According to the Administrative Courts, in fact, the economic treatment provided for by the latter CCNL is fully legitimate. This orientation shows that the solution proposed by the Court of Cassation is far from defining the issue and is part of the broader reflection on the protection of wages and the desirability of defining forms of minimum wage.

SOMMARIO:

1. Il trattamento economico spettante ai soci lavoratori di una cooperativa nella giurisprudenza ordinaria e amministrativa - 2. Equa retribuzione e rinvio alla contrattazione collettiva: contratti pirata e contratto leader - 3. La tutela dei salari tra contrattazione collettiva e ruolo del legislatore - NOTE


1. Il trattamento economico spettante ai soci lavoratori di una cooperativa nella giurisprudenza ordinaria e amministrativa

Il trattamento economico spettante al socio lavoratore di una cooperativa è regolato dall’art. 3 legge n. 142/2001, secondo il quale “le società cooperative sono tenute a corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine”. Inoltre, secondo l’art. 7, comma 4, d.l. 248/2007, conv. in legge n. 31/2008, “Fino alla completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di società cooperative, in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, le società cooperative che svolgono attività ricomprese nell’ambito di applicazione di quei contratti di categoria applicano ai propri soci lavoratori, i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria.” La questione relativa all’individuazione in concreto del contratto collettivo da applicare ai soci lavoratori di una cooperativa è stata posta più volte all’attenzione della giurisprudenza ordinaria, tanto di merito [1] quanto di legittimità [2], ed ora anche di quella amministrativa [3], alla quale viene chiesto di valutare la legittimità di un verbale dell’Ispettorato del lavoro, con cui è stata disposta la corresponsione di differenze retributive ai soci lavoratori di una cooperativa che si occupa di fornire servizi di portierato e guardiania. Secondo gli Ispettori del lavoro, sebbene la cooperativa applichi un contratto collettivo nazionale, e segnatamente quello “Vigilanza privata”, che copre le attività specificamente svolte dall’azienda ed è stato sottoscritto da sindacati rappresentativi, la retribuzione corrisposta ai soci lavoratori non rispetta i criteri di proporzionalità e sufficienza di cui all’art. 36 Cost., in particolare dopo che, nel 2017, è stato approvato un piano di crisi aziendale ex art. 6 legge n. 142/2001 per superare delle difficoltà societarie aggravatesi con l’emergenza Covid. L’Ispet­torato del lavoro ritiene, infatti, [continua ..]


2. Equa retribuzione e rinvio alla contrattazione collettiva: contratti pirata e contratto leader

Negli ultimi anni si è assistito ad una proliferazione di contratti collettivi nazionali [15], probabilmente a causa di una pluralità di ragioni, alcune riconducibili alla varietà del quadro sindacale (ed anche dell’associazionismo datoriale), altre a problematiche proprie del mondo economico [16], come la disgregazione delle attività produttive, da cui è derivata la sottoscrizione di contratti più dettagliati [17]. Tale intensa attività contrattuale, se da un lato potrebbe essere interpretata come indice di vitalità del panorama sindacale nazionale, dall’altro nasconde delle insidie. Non tutti i contratti collettivi presentano, infatti, i medesimi livelli di tutela dei lavoratori e, anche volendo limitare l’analisi ai soli aspetti retributivi, non è escluso che più contratti, anche riferentesi ad uno stesso settore produttivo, possano presentare minimi tabellari anche significativamente diversi, a volte (ma non necessariamente) riequilibrati dalla previsione di elementi variabili della retribuzione, con la conseguenza, tra l’altro, di rendere ulteriormente difficile il confronto [18]. D’altro canto, sebbene forme di competizione al ribasso possano legittimamente verificarsi tra più contratti [19], la contrattazione collettiva non può tradursi in un sistema di compressione dei salari e soprattutto laddove la legge preveda un rinvio ad essa, lo stesso non può essere “in bianco”, ma deve avvenire entro i parametri fissati dall’art. 36 della Costituzione. Stante la mancata attuazione dei commi 2, 3 e 4 dell’art. 39 Cost. da un lato ed i principi di libertà sindacale e dell’iniziativa economica privata dall’altro, la scelta del contratto collettivo nazionale da applicare in azienda spetta al datore di lavoro, che potrebbe avere tutto l’interesse a scegliere quello per lui meno oneroso. Nel caso in cui, però, sia la legge, come nella disciplina sulle cooperative, a rinviare e­spressamente alla contrattazione collettiva, la questione evidentemente si complica perché, pur non essendoci una gerarchia tra contratti collettivi [20], ne dovrà essere individuato uno che valga come parametro per valutare la legittimità dei trattamenti economici applicati in azienda [21]. L’individuazione del contratto-parametro, o contratto [continua ..]


3. La tutela dei salari tra contrattazione collettiva e ruolo del legislatore

Il pluralismo sindacale sin qui descritto impatta inevitabilmente sul giusto salario, come la vicenda giudiziaria in esame conferma. Il dibattito su equa retribuzione e contratti parametro si inserisce, quindi, nell’ambito della più ampia riflessione sulla tutela dei salari e sull’opportunità di definire forme di salario minimo legale, stimolata anche dalla legislazione europea, in particolare dopo l’emanazione della direttiva n. 2041/2022 “relativa a salari minimi adeguati nell’Unione europea”, che, pur non imponendo agli Stati membri dell’Unione di adottare un salario minimo legale, è finalizzata a garantire comunque ai lavoratori una retribuzione minima, anche di fonte contrattuale [46], a patto che quest’ultima abbia un ampio raggio di applicazione, in modo da assicurare la copertura negoziale ad un largo numero di lavoratori [47]. Di conseguenza, l’attuazione in Italia della direttiva non passa necessariamente per la previsione di un salario minimo legale, data la diffusione della contrattazione collettiva [48] e visto anche il recente intervento del CNEL [49], secondo il quale “la mera introduzione di un salario minimo legale non risolverebbe né la grande questione del lavoro povero, né la pratica del dumping contrattuale, né darebbe maggior forza alla contrattazione collettiva”. Secondo il CNEL, infatti, la contrattazione collettiva rappresenta la sede privilegiata per l’individuazione dei trattamenti retributivi adeguati, che non devono limitarsi alla fissazione di una tariffa minima ma anche, per precetto costituzionale, concorrere alla determinazione del salario giusto, evitando il rischio di un livellamento verso il basso delle retribuzioni. A tal fine andrebbero quindi contestualmente valorizzati gli accordi interconfederali in ordine ad una perimetrazione dell’azione contrattuale, individuando soluzioni di compromesso accettabili da parte di tutti gli attori contrattuali [50]. Nell’attuale quadro economico e sindacale, però, la contrattazione collettiva non sembra rappresentare più l’autorità indiscussa [51] del sistema salariale italiano, tanto che non è raro che la giurisprudenza sia chiamata a verificare la compatibilità delle risultanze contrattuali con il principio costituzionale dell’equa retribuzione, in particolare laddove, come nel [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2023