Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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Origine, evoluzione e funzioni della trasparenza nei rapporti di lavoro (di Giampiero Proia, Professore ordinario di Diritto del lavoro – Università degli Studi di Roma Tre)


Lo scritto esamina la rilevanza della trasparenza nel diritto del lavoro, evidenziandone le origini risalenti e l’evoluzione nel tempo sino alle più recenti normative (come quelle in materia di protezione dei dati personali, intelligenza artificiale e parità retributiva di genere). In particolare vengono individuate la ratio, i tratti comuni e le tendenze evolutive delle numerose fonti di legge in cui la trasparenza trova espressione. Si conclude evidenziando che, se già da giovane il diritto del lavoro ha presto intuito l’importanza dell’“informa­zione”, diventando “adulto” (o, meglio, proprio per diventare “adulto”) ha puntato decisamente sulla trasparenza per poter continuare a svolgere efficacemente quella che è la sua immutata funzione storica.

Origin, evolution and functions of labor relations transparency

The essay examines the relevance of transparency in labor law, highlighting its origins and evolution over time up to the most recent regulations (such as those on personal data protection, artificial intelligence and gender wage equality). In particular, the rationale, common traits and evolutionary trends of the many sources of law in which transparency finds expression are identified. The essay concludes by highlighting that, if already from a young age the labor law quickly understood the importance of the “information”, as it became “adult” (or, better, precisely to become “adult”) it decidedly focused on transparency in order to continue to effectively carry out its unchanged historical function.

SOMMARIO:

1. La trasparency wave - 2. La trasparenza nel diritto dei contratti - 3. Il primato del diritto del lavoro - 4. Il nucleo base e la pluralità di funzioni: tratti comuni e tendenze - 5. Obblighi di informazione e “microsistemi” - 6. La trasparenza retributiva - 7. Conclusioni - NOTE


1. La trasparency wave

La trasparenza è termine ambiguo [1] e polisenso [2], che secondo alcuni avrebbe natura “ideologica” [3] o, da altro punto di vista, rappresenterebbe una semplice “moda” [4]. In effetti, dal punto di vista lessicale, il termine è entrato a far parte del linguaggio giuridico solo in tempi recenti, nell’ultima parte del secolo scorso, diffondendosi rapidamente in una pluralità di contesti eterogenei ed evidenziando in pochi anni una notevole forza espansiva [5]. Si ricorderà, ad esempio, che di “glasnost” si parlò per fare riferimento al movimento di trasformazione dell’ex impero sovietico. Quasi contemporaneamente, la trasparenza si è affermata nell’ambito delle istituzioni europee, prima nella forma del diritto di accesso, e, poi, in quella della partecipazione alla vita democratica delle istituzioni stesse [6]. Si è parlato, allora, di “transparency waves” [7], che hanno interessato anche i legislatori nazionali. Pensando a settori di regolamentazione familiari per i giuslavoristi, numerose sono le direttive che impongono ai singoli Stati obblighi di informazione trasparente, da quella sul distacco nei servizi trasnazionali [8], a quella sulle condizioni di lavoro più trasparenti e prevedibili [9], sino a quella sui salari minimi adeguati [10]. Ça va sans dir, la trasparenza si è fatta strada anche nella nostra pubblica amministrazione. Si può notare, peraltro, che, in tale ambito, essa costituisce attuazione dei canoni costituzionali di imparzialità e buon andamento [11], anche se la sua emersione a livello legislativo è fatta risalire comunque agli anni ’90 (con la legge n. 241/1990, che ha incluso la trasparenza tra i principi generali dell’azione amministrativa), cui ha fatto seguito tra l’altro, nel nuovo secolo, una specifica disciplina sulla “amministrazione trasparente” (cfr. d.lgs. n. 33/2013) [12]. La polisemia del termine, e l’eterogeneità dei contesti nei quali viene impiegato, rende inutile soffermarsi su una rassegna di tutte le sue possibili declinazioni ed applicazioni [13]. Limitandosi a riflettere sui contesti ai quali si è fatto cenno, è sufficiente in questa sede evidenziare come una chiave di lettura più che verosimile della diffusione della [continua ..]


2. La trasparenza nel diritto dei contratti

La medesima chiave di lettura può aiutare a comprendere l’ingresso della “trasparenza” nel diritto dei contratti, collocabile anch’esso, secondo una (forse non) singolare coincidenza temporale, negli anni ’90 del secolo “breve”. La sua prima apparizione, nel linguaggio legislativo, potrebbe essere fatta risalire alla legge 17 febbraio 1992, n. 154, recante “Norme per la trasparenza dei servizi bancari e finanziari”. E di lì si è estesa, soprattutto in forza di direttive europee, nell’ambito della disciplina dei rapporti tra imprese e consumatori, e di altre relazioni caratterizzate da “asimmetria” di potere informativo, anche ove tale asimmetria non sia necessariamente legata a una specifica “qualità” socio-economica del contraente [16]. In questo ambito, che ci avvicina al diritto speciale del contratto di lavoro, si segnala come la dottrina civilistica si sia interrogata, da subito, su che cosa sia, in termini giuridici, la “trasparenza” [17]. Chi l’ha definita un “macroconcetto” [18], chi un “principio” [19]. Tra questi ultimi, si discute poi se si tratti di principio generale o settoriale, ovvero se sia solamente espressione del principio generale di correttezza [20] o del canone della buona fede [21]. Altri, ancora, la considerano una clausola generale [22], o un requisito qualitativo del contratto [23]. Al di là della questione definitoria [24], vi è, comunque, una certa convergenza di opinioni nel ritenere che la trasparenza trovi espressione, concretamente, nella previsione di obblighi di informazione, di vincoli di forma e di contenuto minimo essenziale, la cui violazione è spesso sanzionata con la nullità assistita da integrazione ex lege [25]. Si dubita, peraltro, che, in tali ambiti, il fine ultimo della trasparenza sia la tutela del contraente debole [26]. Invero, nel diritto europeo dei contratti (da cui derivano, ad esempio, le disposizioni nazionali in tema di tutela dei consumatori), il ricorso alla trasparenza oscilla tra la ratio protettiva di valori solidaristici e della persona, da un lato, e, dall’altro, la ratio della crescita economica del mercato “in termini di utilità economica” [27], poiché si ritiene che il mercato orientato alla trasparenza garantirebbe [continua ..]


3. Il primato del diritto del lavoro

Se le osservazioni che precedono sono corrette, è possibile affermare che il diritto del lavoro vanta un primato assoluto, e che anche la disciplina degli altri contratti diseguali è, a questo riguardo, tributaria degli apporti della nostra materia. Non v’è dubbio, infatti, che la rilevanza degli obblighi di informazione, e l’esi­genza di trasparenza, prima che altrove trovano originariamente espressione nel­l’am­bito dei rapporti di lavoro, e qui si sono sviluppate, più che altrove, per la ragione, ben nota, della immanente necessità di riequilibrio delle posizioni delle parti, che è connaturata al rapporto di lavoro. Per l’esattezza, le prime tracce di quella che il diritto dei consumatori ha chiamato trasparenza possono essere rinvenute almeno cent’anni addietro. E da quelle tracce iniziali si è dipanato un filo ininterrotto che, passando per lo Statuto dei lavoratori, porta sino ad oggi. Già il r.d. del 1923 (n. 1955), infatti, prevedeva l’obbligo del datore di esporre l’“o-rario di lavoro” “in modo facilmente visibile e accessibile a tutti i dipendenti interessati” (così l’art. 12, comma 1; si vedano anche, art. 8, ultimo comma, art. 9, ultimo comma, art. 11, comma 2, art. 12, commi 5 e 6; si veda, altresì, art. 7 r.d.l. n. 692/1923). Analogamente, un anno dopo, il r.d. n. 1825/1924, in materia di contratto di impiego privato, prevedeva l’obbligo del datore di lavoro di affiggere “nei locali dell’azienda, in modo ben visibile, un regolamento nel quale siano determinati gli obblighi degli impiegati” (art. 3, comma 1) [29]. Quindi, un secolo fa, la trasparenza faceva già “capolino” nel diritto del lavoro. Ed è interessante notare come l’informazione dovuta dal datore di lavoro venisse già richiesta con quei caratteri di “visibilità” e di “accessibilità” che anticipano l’attenzione del legislatore di oggi verso l’effettiva “conoscibilità” del contenuto dell’informazione [30]. Ve ne sarebbero altre di tracce risalenti, anche nel Codice civile del 1942 [31], comprese quelle che impongono vincoli di forma [32], ma ai nostri fini non è necessario procedere ad una rassegna completa. È più utile, forse, chiedersi, en passant, [continua ..]


4. Il nucleo base e la pluralità di funzioni: tratti comuni e tendenze

A questo punto, possiamo allora affermare che vi è un “filo” storico, unico e lineare, che lega la trasparenza e il diritto del lavoro sino ai nostri giorni. Questo “filo” consente di individuare alcuni tratti che sono comuni alle norme sulla trasparenza, ma anche di intravedere le tendenze che caratterizzano la loro evoluzione nel tempo. Comune è, anzitutto, il nucleo base, rappresentato dalla previsione di obblighi di informazione, presupposto minimo ed essenziale perché si abbia trasparenza. Comune è anche l’obiettivo ultimo, che non è semplicemente quello di ridurre le asimmetrie informative, ma quello di incidere sostanzialmente sugli squilibri di forza contrattuale, introducendo obblighi e vincoli a carico del datore di lavoro e corrispondenti diritti a favore del lavoratore. In particolare, a partire dal cambio di passo impresso dallo Statuto del 1970, le norme che richiedono trasparenza mirano a tutelare direttamente la libertà e la dignità dei lavoratori, ossia in ultima analisi a rendere la relazione tra impresa e lavoratori più paritaria, portando la democrazia nei luoghi di lavoro [33]. Nel fluire del tempo, ovviamente, si colgono anche caratteristiche che si sono evolute, in modo quasi naturale. E così, si sono evolute, anzitutto, le modalità di comunicazione dell’informazione richieste dalla legge, che tengono conto dei progressi della tecnica. Se nel 1923 l’informazione sull’orario di lavoro era soddisfatta dall’affissione di un documento scritto “visibile” a tutti i lavoratori, e così era ancora nel 1970 per il codice disciplinare, oggi la comunicazione può avvenire anche in via elettronica [34]. Allo stesso modo, di pari passo con l’evoluzione della coscienza giuridica, si è sviluppata l’attenzione all’esigenza che l’informazione sia resa in modo “chiaro” e “comprensibile” [35]. Infine, fermo restando l’obiettivo di fondo di cui si è detto, si sono ampliati gradualmente i contenuti e le funzioni specifiche delle norme che impongono trasparenza. Resta ancora ricorrente, come alle origini, la funzione di favorire il controllo pubblico sul rispetto degli obblighi del datore di lavoro, e dunque l’accertamento e la repressione di comportamenti illeciti [36]. Ma alla funzione del controllo [continua ..]


5. Obblighi di informazione e “microsistemi”

Come si evince da quanto si è sin qui osservato, gli obblighi di informazione nel diritto del lavoro non perseguono, almeno di norma, una funzione di trasparenza fine a se stessa, bensì si inseriscono saldamente in “microsistemi” normativi, più o meno complessi, opportunamente congegnati per realizzare finalità “altre”. Un esempio molto semplice, e ben noto, è individuabile nelle leggi che legano l’informazione sindacale alla successiva fase di esame congiunto o consultazione, allo scopo di favorire l’esercizio dell’autotutela collettiva e la ricerca del possibile accordo. Obblighi di natura procedimentale, che, di per sé, limitano i poteri del­l’impren­ditore, ad esempio in materia di licenziamenti collettivi, anche mediante il collegamento alle norme che dello stesso microsistema fanno parte, con le quali vengono introdotte sanzioni positive e negative volte, rispettivamente, a promuovere soluzioni alternative ai licenziamenti e a rendere questi ultimi più onerosi, e, comunque, tali da produrre l’effetto di differimento nel tempo di decisioni già programmate [40]. Altre volte, il microsistema risulta più complesso, e questo è rilevabile, in particolare, nelle regolamentazioni di derivazione europea. Pensiamo alla disciplina di protezione dei dati personali. In tale ambito, la “trasparenza” è il primo dei principi prescritti dal GDPR (art. 5), ma ad esso sono variamente collegati i principi di “conoscibilità”, di “comprensibilità” e di “accessibilità” (artt. 13-15) [41], nonché altre disposizioni dell’articolato apparato regolativo. Tra le quali, ai nostri fini, rilevano in particolare quelle che prevedono il diritto dell’interessato “di non essere sottoposto ad una decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato” (art. 22), l’obbligo di sicurezza by design (art. 25), l’ob­bligo della valutazione d’impatto in caso di “rischio elevato per i diritti e le libertà delle persone fisiche”, il quale ultimo è richiesto “in particolare” laddove vengano introdotte “nuove tecnologie” (art. 35). Ugualmente complesse, e tecnicamente sofisticate, sono le più recenti architetture normative che l’Unione Europea sta elaborando in [continua ..]


6. La trasparenza retributiva

La disciplina sulla “trasparenza retributiva”, contenuta nel Capo II della direttiva 2023/970 (di cui si è già fatto cenno), nasce, in realtà, non da un problema nuovo, come è quello dell’intelligenza artificiale, ma dall’insuccesso degli altri strumenti sin qui elaborati per realizzare un principio che da decenni è sancito ai più alti livelli delle fonti internazionali, europee e nazionali. Ed è significativo, dunque, che, al fine di affrontare un problema antico (e rafforzare, quindi, il principio della parità di retribuzione), l’Europa abbia “scommesso” ancora sugli obblighi di informazione, i quali, anche in tale contesto, rappresentano tasselli essenziali di un microsistema che prevede seguiti procedimentali e specifici “mezzi di tutela” in grado, a mio avviso, di raggiungere finalmente l’obiettivo perseguito [48]. Fondamentale è, anzitutto, il contenuto dettagliato delle informazioni richieste dalla direttiva, le quali, per ciò che più rileva, implicano l’obbligo del datore di lavoro di rivelare, attraverso l’aggregazione di dati, l’esistenza di disparità retributive di genere (art. 9, par. 1). Infatti, a tutti i lavoratori e ai loro rappresentanti [49], deve essere comunicato, tra gli altri dati, “il divario retributivo di genere tra lavoratori per categorie di lavoratori ripartito in base al salario o allo stipendio normale di base e alle componenti complementari o variabili”. Da tale informazione, poi, si innesca una prima fase di interlocuzione con i destinatari della stessa, i quali hanno il diritto di richiedere “chiarimenti e dettagli ulteriori e ragionevoli riguardo ai dati forniti”, nonché il diritto “di ricevere una risposta motivata”. All’esito di tale fase di interlocuzione, se “le differenze retributive di genere” non sono “motivate sulla base di criteri oggettivi e neutri sotto il profilo del genere”, la direttiva prevede testualmente che “i datori di lavoro pongono rimedio alla situazione entro un termine ragionevole in stretta collaborazione con i rappresentanti dei lavoratori, l’ispettorato del lavoro e/o l’organismo per la parità” (art. 9, par. 10). Nel caso, poi, in cui dalle informazioni comunicate risulti una differenza del “livello retributivo [continua ..]


7. Conclusioni

Nel diritto del lavoro, la trasparenza non è una “moda”. Per qualcuno sarà troppa, per altri poca. Ma non è una “moda”. Possiamo anzi dire che, se già da giovane il diritto del lavoro ha presto intuito l’importanza dell’“informazione”, diventando “adulto” (o, meglio, proprio per diventare “adulto”) ha puntato decisamente sulla trasparenza per poter continuare a svolgere efficacemente quella che è la sua immutata funzione storica. La diffusione, l’ampiezza e la eterogeneità dei contesti in cui, come visto, essa opera ci consente di affermare che la trasparenza, oltre che un principio o un obbligo previsti di volta in volta da specifiche disposizioni di legge, può essere considerata anche una tecnica normativa che si è oramai definitivamente affermata. Ci consente, altresì, di osservare che il ricorso a tale tecnica ha sempre lo stesso obiettivo ultimo del diritto del lavoro, ossia correggere gli squilibri che caratterizzano la posizione delle parti del rapporto di lavoro, ponendo limiti formali, procedurali e sostanziali all’agire dell’impresa. L’imposizione di obblighi di trasparenza, infatti, non è semplicemente diretta a ridurre asimmetrie di natura informativa, bensì, inserendosi nei microsistemi normativi di volta in volta opportunamente congegnati, limita e condiziona le prerogative proprie dell’imprenditore nella gestione dei rapporti di lavoro. Gli obblighi di informazione e consultazione sindacale, ad esempio, si insinuano nella sfera interna dei processi decisionali dell’impresa imponendo al datore di lavoro di “svelare” in anticipo le proprie intenzioni (ad esempio, in materia di licenziamenti collettivi e di trasferimento di azienda), e tale “disvelamento” è voluto dalla legge proprio al fine di consentire il tempestivo esercizio dell’azione di autotutela collettiva diretto a contrastare o condizionare la attuazione delle decisioni imprenditoriali. Per altra via, nella disciplina relativa al “lavoro mediante piattaforme digitali”, il datore di lavoro, essendo obbligato a svelare “scopi”, “finalità”, “logica” e “funzionamento” dei sistemi automatizzati, deve necessariamente predeterminare tali elementi (“prima dell’inizio [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2023