Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


La ripetizione dell'indebito nel lavoro pubblico (di Lorenzo Cordi, Consigliere di Stato)


Il saggio affronta le questioni relative alla ripetizione dell’indebito alla luce delle più recenti pronunce della giurisprudenza nazionale e di quella della Corte europea dei diritti del­l’uomo, soffermandosi, in ultimo, sulla sentenza n. 8/2023 della Corte costituzionale.

The recovery of undue payment in civil service

The essay addresses the issues relating to the recovery of undue payments in light of the most recent rulings of national jurisprudence and that of the European Court of Human Rights, and focusing, finally, on sentence no. 8/2023 of the Constitutional Court.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Ripetizione dell’indebito e lavoro pubblico: due istituti tra unitarietà e frammentazione - 3. La ripetizione dell’indebito nel lavoro pubblico tra principi e regole: osservazioni generali - 4. La ripetizione dell’indebito nella giurisprudenza CEDU - 5. La giurisprudenza interna tra principi consolidati e principi affermati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo - 6. La sentenza della Corte costituzionale n. 8/2023 tra regole particolari e principi generali - NOTE


1. Premessa

Il tema della ripetizione dell’indebito nel lavoro pubblico ha assunto nei tempi più recenti peculiare interesse. Ad assegnare questo precipuo rilievo alla figura hanno concorso plurimi fattori. In primo luogo, vi è da ricordare la crescente attenzione per l’istituto da parte della giurisprudenza sia interna che sovranazionale, le quali hanno condotto un dialogo polifonico, meritevole di analisi per due ordini di ragioni: su un piano più generale, questo confronto è occasione per ribadire i tradizionali principi sulle interrelazioni tra l’ordinamento interno e le statuizioni degli organi giurisdizionali sovranazionali, e in particolare, della Corte europea dei diritti del­l’uomo; nello specifico, il dialogo tra le Corti è giunto a delineare contorni e presupposti all’effigie della figura in esame, per alcuni versi differenti da quelli del passato. Questo sforzo ricostruttivo non ha potuto, poi, che coinvolgere aspetti di carattere sistematico (e, per certi versi, dogmatico) degli istituti involti, anche per lo speculare interesse dimostrato dalla dottrina che, invero, da tempo ha ricercato percorsi ricostruttivi nuovi sul tema delle restituzioni, nel cui generale alveo scorre anche la figura in esame. In ultimo, l’interesse per il tema discende da un tratto caratteristico degli istituti coinvolti (ripetizione dell’indebito e lavoro pubblico), fenomeni che, dietro un’apparente unitarietà, celano, in realtà, evidenti policromiche che necessitano di un’attenta operazione di dissezione e sintesi da parte dell’interprete.


2. Ripetizione dell’indebito e lavoro pubblico: due istituti tra unitarietà e frammentazione

Prendendo l’abbrivio dalla disamina della ripetizione dell’indebito, si ritiene di poter focalizzare l’attenzione sull’aspetto enunciato in chiusura del precedente paragrafo. Il riferimento è alla policromia di un istituto che, invero, sin dalla genesi è stato ritenuto espressione di un’impostazione, al contrario, unitaria [1]. Difatti, nella ricostruzione generale dell’istituto si è spesso sottolinea la sua derivazione dal modello francese (la cui disciplina è oggi contenuta negli artt. 1301-1302-3, dopo la “Ordonnance n. 2016-131 du 10 février 2016 portant réforme du droit des contrats, du régime général et de la preuve des obligations”, con la quale il Governo francese ha dato esecuzione alla Loi n. 2015-177 del 16 febbraio 2015), dal quale si è tratta l’idea di seguire un’impostazione unitaria, o, come si è detto in dottrina, doppiamente unitaria: individuando, cioè, nelle regole degli artt. 2033 ss. c.c. la disciplina delle restituzioni destinata ad operare quale che sia l’origine dell’indebito e quale che sia, nell’ambito delle patologie contrattuali, la causa – originaria o successiva – che abbia portato alla dissoluzione del contratto, o, ancora, la ragione e la portata di un disequilibrio ingiustificato rispetto all’as­setto negoziale originario [2]. Invero, dietro questa predicata unitarietà della tutela restitutoria, si cela – come già evidenziato – un mosaico frammentato, come rilevano alcune considerazioni che si formulano, pur senza pretesa di esaustività. In primis, secondo le indagini comparatistiche, la predicata unitarietà differenzierebbe il modello francese e italiano dal sistema tedesco che articola in diverse sedi la disciplina degli obblighi restitutori: quella, generale, dell’ingiustificato arricchimento (c.d. “Bereicherungsrecht”) (operante anche in caso di invalidità negoziale) e quella, più circoscritta, della risoluzione (c.d. “Rücktritt”) e del recesso (Widerruf) dai contratti dei consumatori. La prima ipotesi involge i casi in cui l’obbligo restitutorio derivi da invalidità del vincolo e, quindi, dal venir meno del fondamento giuridico dell’attribuzione; al contrario il Rücktritt trasforma il contratto in un [continua ..]


3. La ripetizione dell’indebito nel lavoro pubblico tra principi e regole: osservazioni generali

Dalle premesse generali svolte pare evidente la complessità di governare un fenomeno policromo come la ripetizione dell’indebito su un terreno frammentato e articolato come il lavoro pubblico. Da qui la necessità di ricercare degli strumenti che fungano da collante ordinatore, senza, tuttavia, evertere il dato positivo che, oltre a costituire espressione di democraticità [7], è di capitale importanza in una materia come il diritto del lavoro, la cui formazione e sviluppo deve molto alla legislazione primaria. La necessità di un uso accorto degli strumenti è enfatizzata nel caso di specie dalla già enunciata polifonia attraverso la quale si è svolto il dibattito giurisprudenziale sul tema in esame, contraddistinta dal dialogo sia tra differenti organi giudiziari interni, che dal confronto con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la cui applicazione nell’ordinamento interno pone problematiche di rilievo in specie nel settore privatistico [8]. Risulta, quindi, imprescindibile “evitare di cadere nella trappola delle ‘scorciatoie ermeneutiche’ (spesso sottesa all’invocazione dell’applicazione diretta dei principi), e di rivalutare invece il paziente (anche se faticoso) lavoro di ricerca delle soluzioni più appropriate sul piano della ricostruzione attenta del contenuto delle singole norme e, soprattutto, del quadro sistematico all’interno del quale esse si inseriscono” [9]. Occorre, quindi, prestare attenzione al peculiare incedere dei principi, che, come significativamente esposto in dottrina, operano attraverso due fasi: una fase “prometeica” in cui il principio intercetta esigenze della vita sociale non ancora regolate e non sufficientemente regolate dalla legge; e una fase “eunomica”, in cui il principio si amalgama con il diritto positivo, garantendo stabilità degli assetti e predicibilità e non sovversione dell’impianto positivo [10]. Con questa necessaria premessa, può, quindi, procedersi alla disamina delle regole e dei principi che entrano in gioco nell’argomento in esame, prendendo le mosse dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, cui si deve probabilmente l’“innesco” del successivo dibattito svolto nella giurisprudenza interna.


4. La ripetizione dell’indebito nella giurisprudenza CEDU

Procedendo nei termini indicati in chiusura del precedente paragrafo occorre ricordare la previsione sostanziale su cui si è formata la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. La disposizione di cui all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione prevede che: «[o]gni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni». La Corte EDU valorizza la nozione di bene, interpretandola, per riprendere un concetto esposto in precedenza, “vermögens-orientiert”, ed iscrivendovi la tutela dell’affidamento legittimo («legitimate expectation»), ritenuta situazione soggettiva dai contorni più netti di una semplice speranza o aspettativa di mero fatto («hope»). Da questa premessa muove la ricostruzione non di una regola generale ma di possibili situazioni nelle quali si ritengono sussistenti i presupposti che consentono di identificare un affidamento legittimo in capo al percettore della prestazione e si individuano le condizioni che tramutano la condictio indebiti in un’interferenza sproporzionata nei confronti di tale affidamento [11]. Secondo questa giurisprudenza sono elementi costitutivi dell’affidamento legittimo: i) l’erogazione di una prestazione a seguito di una domanda presentata dal beneficiario che agisca in buona fede o su spontanea iniziativa delle autorità; ii) la provenienza dell’attribuzione da parte di un ente pubblico, sulla base di una decisione adottata all’esito di un procedimento, fondato su una disposizione di legge, regolamentare o contrattuale, la cui applicazione sia percepita dal beneficiario come fonte della prestazione, individuabile anche nel suo importo; iii) la mancanza di una attribuzione manifestamente priva di titolo o basata su semplici errori materiali; iv) l’erogazione effettuata in relazione a una attività lavorativa ordinaria e non a una prestazione isolata o occasionale, per un periodo sufficientemente lungo da far nascere la ragionevole convinzione circa il carattere stabile e definitivo della medesima; v) la mancata previsione di una clausola di riserva di ripetizione. Questi presupposti non sono, tuttavia, ritenuti sufficienti per predicare l’intan­gibilità della prestazione percepita dal privato, né, invero, l’intangibilità è la sola regola. Anche qui il panorama è policromo e l’attenzione si [continua ..]


5. La giurisprudenza interna tra principi consolidati e principi affermati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo

Proporzionalità e bilanciamento sono “arnesi” tipici con cui il Giudice amministrativo governa il vizio dell’eccesso di potere. Non stupisce, quindi, che queste recenti indicazioni della Corte europea dei diritti dell’uomo siano già state elaborate da una parte della giurisprudenza amministrativa che, in passato, aveva, da un lato, predicato il carattere di doverosità del recupero ex art. 2033 c.c. – escludendo, quindi, la natura provvedimentali agli atti – ma, al contempo, affermato che i suddetti principi non possono essere applicati in via automatica, generalizzata e indifferenziata a qualsiasi caso concreto di indebita erogazione, da parte della pubblica amministrazione, di somme ai propri dipendenti, dovendosi aver riguardo alle connotazioni, giuridiche e fattuali, delle singole fattispecie dedotte in giudizio, tenendo conto della natura degli importi di volta in volta richiesti in restituzione, delle cause dell’errore che ha portato alla corresponsione delle somme in contestazione, del lasso di tempo trascorso tra la data di corresponsione e quella di emanazione del provvedimento di recupero, dell’entità delle somme corrisposte in riferimento alle correlative finalità [16]. E non stupisce neppure come la giurisprudenza CEDU trovi subito fertile terreno di innesto nella giurisprudenza amministrativa. È il caso della sentenza del Consiglio di Stato, 1 luglio 2021, n. 5014, di sicuro interesse nella parte in cui incentra l’attenzione sulla valenza dell’affidamento nell’ambito della disciplina dei pagamenti automatizzati  [17], ma meno condivisibile laddove opera un’applicazione diretta delle sentenze della Corte europea, da cui consegue una disapplicazione diretta dell’art. 2033 c.c. che: i) invero, sarebbe possibile solo in caso di contrasto con il diritto unionale ma non per il diritto CEDU, dovendosi rimettere in tal caso la questione al Giudice di legittimità costituzionale  [18]; ii) costituisce una errata applicazione del rapporto principi – regole, come delineato in precedenza, e, quindi, altera quella che abbiamo definito la fase eunomica. Risulta, quindi, corretta la strada intrapresa dalla giurisprudenza ordinaria che sottopone la relativa questione di legittimità costituzionale alla Corte. Ad investire la Consulta sono: i) il Tribunale ordinario di Lecce in relazione [continua ..]


6. La sentenza della Corte costituzionale n. 8/2023 tra regole particolari e principi generali

La soluzione della Corte muove dal dato che ha costituito il “fil rouge” della nostra trattazione: la policromia, la varietà del complesso ordinamentale. Osserva, infatti, la Corte che l’ordinamento nazionale delinea un quadro di tutele che, se adeguatamente valorizzato, supera ogni dubbio di possibile contrasto fra l’art. 2033 c.c. e l’art. 117, comma 1, Cost., in relazione al citato parametro convenzionale interposto. A questo quadro di tutele si ascrivono, in primis, le ipotesi di intangibilità della prestazione motivate da quelle ragioni sociali già in precedenza evocate. Si tratta di tre casi e in particolare: i) delle prestazioni previdenziali, pensionistiche e assicurative, per le quali il legislatore italiano dispone l’irripetibilità, con la sola eccezione dell’ipotesi in cui l’accipiens fosse stato consapevole di percepire un indebito e, dunque, fosse in uno stato soggettivo di dolo [19]; ii) delle previsioni concernenti prestazioni economiche di natura assistenziale; iii) della regola dell’art. 2126 c.c. riferita a una prestazione di natura retributiva [20]. In queste situazioni emerge quello che Corte di Cassazione civile, Sez. VI lav., ordinanza 30 giugno 2020, n. 13223 [21], definisce un principio di settore speciale (che per le prime due ipotesi trova fondamento nell’art. 38 Cost.), e che, in sé, secondo parte della dottrina, sarebbe stato sufficiente per fungere da meta-norma speciale idonea a produrre ulteriori norme inespresse o implicite, destinate ad operare per questo intero settore speciale [22]. Una lettura forse non pienamente condivisibile ove si consideri che è proprio l’apparato complessivo (o la policromia, come l’abbiamo definita) – l’ulteriore tassello da aggiungere. O quel necessario coagulante di questo mosaico che percorre trasversalmente tanto il diritto pubblico, quanto il diritto privato, e che risiede nel canone di buona fede. Come già evidenziato dalla dottrina, “la buona fede è valore […] Ora il valore è un trascendente, il quale tante volte diventa concreto, quante volte l’esperienza lo fa non nascere, ma lo manifesta; e se così è, tutte le volte che noi introdurremo nell’area della tecnica giuridica il criterio della buona fede, non illudiamoci di aver tecnicizzato la buona fede; la buona fede, come valore, [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2023