Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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Il lavoro in agricoltura e il caporalato: criticità e prospettive di contrasto. Note a margine di un convegno (di Anna Maria Battisti, Professoressa associata di Diritto del lavoro – Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”)


Il contributo propone, da una prospettiva giuslavoristica, una riflessione sulla fattispecie del “caporalato” in agricoltura, nell’ambito del più ampio fenomeno dello sfruttamento lavorativo, evidenziando la necessità di una strategia di contrasto multilivello.

Work in agriculture and “gang master system”: critical issues and perspectives for contrast. Notes in the margins of a conference

The contribution proposes, from an employment perspective, a reflection on the on the so called “gang master system” in agriculture, within the wider phenomenon of labor exploitation, highlighting the need for a multi-level contrast strategy.

SOMMARIO:

1. Le peculiarità del mercato del lavoro agricolo - 2. Il fenomeno del “caporalato” tra vecchie e nuove identità - 3. L’intervento repressivo e i suoi limiti - 4. La necessità di potenziare il ruolo ispettivo - 5. Esperienze di best practices nel contrasto al caporalato - 6. Per una strategia di contrasto multilivello - NOTE


1. Le peculiarità del mercato del lavoro agricolo

Il settore agricolo, ancor più di altri, è notoriamente caratterizzato da un ampio ricorso al lavoro prestato irregolarmente: si parla di 230 mila lavoratori impiegati senza contratto regolare, pari a oltre un quarto del totale degli occupati del settore. L’agricoltura è “il settore maggiormente associabile al lavoro povero” [1], in ragione della discontinuità del fabbisogno di manodopera, della breve durata dei rapporti (circa il 90 per cento degli occupati è assunto con contratto a tempo determinato [2]) e delle basse retribuzioni orarie. Le peculiari caratteristiche dell’attività produttiva del settore agricolo sono, del resto, evidenti anche sul piano delle tutele previdenziali, essendo intrinseche già nei presupposti soggettivi e nelle modalità di calcolo ed erogazione della prestazione di disoccupazione agricola [3], che si atteggia ad «una sorta di indennizzo riconosciuto al lavoratore per il suo trovarsi in un mercato del lavoro fisiologicamente fatto di occasioni lavorative stagionali o comunque precarie», con il rischio di alimentare il fenomeno dei c.d. falsi braccianti agricoli [4]. I lavoratori interessati sono, in prevalenza, gli stranieri, uomini provenienti da Paesi UE ed extra UE, con un grado di istruzione molto basso. Tuttavia, la presenza delle lavoratrici donne è in continuo aumento, ragionevolmente ben oltre quello che i dati ufficiali permettono di accertare. Cresce, cioè, la fascia delle lavoratrici meno protette e più vulnerabili, preferite per alcuni tipi di pratiche colturali, ma retribuite ancora meno rispetto agli uomini, e vittime di maltrattamenti [5]. Le circostanze ora richiamate determinano, peraltro, una domanda di lavoro particolarmente flessibile, poco prevedibile e per brevi periodi, che sconta una gestione inadeguata dei canali pubblici/istituzionali di intermediazione legale e spiega il sempre maggiore ricorso al c.d. “caporalato”, fenomeno che tradizionalmente si innesta su forme di intermediazione illecita nella fornitura di manodopera [6], e nello sfruttamento dei lavoratori [7]. Invero, come attentamente rilevato, questo non dipende dalla «rapace avidità degli imprenditori agricoli», né da comportamenti datoriali “devianti”, risultando piuttosto imputabile ai «meccanismi di determinazione del prezzo dei [continua ..]


2. Il fenomeno del “caporalato” tra vecchie e nuove identità

Quello del caporalato è un fenomeno, risalente nel tempo [9], se si pensa che alcune ricerche hanno dimostrato come figure simili ai caporali esistessero già tra il ’600 e il ’700, quando si trattava di organizzare migrazioni stagionali in territori i­nospitali della Toscana, del Lazio e del Sud Italia. Sicuramente, il caporalato era già diffuso nella seconda metà dell’Ottocento (in concomitanza con l’affermarsi di colture, come quella del riso e della vite, che richiedevano abbondante manodopera, soprattutto avventizia) e alla stessa epoca la figura dell’intermediario era socialmente accettata e perfettamente inserita nella comunità di riferimento. Il fenomeno in esame interessa principalmente l’agricoltura, configurandosi quasi alla stregua di una modalità fisiologica [10], con cui gli imprenditori, abbattendo i costi di produzione, cercano di mantenere competitività sul mercato, ma si va estendendo in maniera importante, in Italia come in altri Paesi del mondo, a svariati altri settori dell’economia: l’edilizia, il settore manufatturiero, i servizi di pulizia e di cura, il turismo, il volantinaggio, il lavoro su piattaforma [11]. È senza dubbio un fenomeno complesso e multiforme, tanto da essere diventato strutturale, complici le peculiarità del settore agricolo, come si è detto, ed è proprio nelle caratteristiche della filiera agroalimentare e nelle sue forme di regolazione che si ritrovano una serie di elementi che ne connotano una significativa “attrattività” per le organizzazioni criminali. In altri termini, il caporale è sempre più spesso non un intermediario autonomo, bensì un componente dell’organizzazione malavitosa che si distribuisce gli utili e che si avvale della propria forza intimidatrice per esercitare pressione sulle vittime. Nel caso di stranieri, si tratta sovente della stessa organizzazione che ne ha garantito l’ingresso, illegalmente, nel territorio dello Stato in piena collaborazione con le mafie straniere (soprattutto dell’est europeo e della Africa sub-sahariana), nell’ambito di operazioni di traffico o tratta di esseri umani per finalità di sfruttamento che sono difficili da smascherare giacché celate dietro forme apparentemente legali di attività, come agenzie di servizi, appalti, cooperative [continua ..]


3. L’intervento repressivo e i suoi limiti

L’intreccio di questi profili spiega del resto la complessità del tema, che tuttavia si accentua quando si scelga di analizzarlo dalla prospettiva del diritto del lavoro, anche se non v’è dubbio che l’ordinamento italiano ha per lungo tempo privilegiato una strategia di intervento di tipo repressivo, affidando essenzialmente alla norma penale il compito di contrastare il caporalato e lo sfruttamento del lavoro [14]. Il richiamo è alla legge 29 ottobre 2016, n. 199 (recante Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo), e ad una norma incriminatrice, disegnata dall’art. 603-bis c.p. [15], costruita oggi attorno a due ipotesi criminose distinte e autonome: l’una, il reclutamento illegale di manodopera ad opera del caporale; l’altra, l’utilizzazione, l’assunzione e l’impiego di manodopera da parte del datore di lavoro in condizioni di sfruttamento, indipendentemente dal fatto se vi sia stata intermediazione illecita. Deve tuttavia rilevarsi che la tecnica legislativa utilizzata non si discosta da quella precedente, perché il concetto di sfruttamento, anziché essere definito direttamente, viene piuttosto “indicizzato” [16], con il risultato che il nuovo precetto normativo appare molto vago e generico. È, invece, evidente l’ampliamento dell’apparato repressivo, essendo ora previsto il ricorso a strumenti di tipo patrimoniale, come l’arresto obbligatorio in flagranza di reato, la confisca obbligatoria (anche per equivalente), il controllo giudiziario del­l’azienda, a riprova di una maggiore consapevolezza empirica del legislatore nel gestire forme di criminalità a tutti gli effetti economica, ma anche l’inclusione del­l’art. 603-bis c.p. fra i reati presupposto della responsabilità amministrativa degli enti ex d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 [17]. Al di là dell’orizzonte repressivo, nell’ottica della protezione delle vittime, la legge n. 199 del 2016 ha, poi, ulteriormente previsto che queste possano ottenere un indennizzo da parte del Fondo anti-tratta in cui confluiscono i proventi delle confische ordinate a seguito dell’accertamento del reato, e che il lavoratore migrante che scelga di cooperare nel procedimento penale possa attivare [continua ..]


4. La necessità di potenziare il ruolo ispettivo

L’ineffettività delle normative di tutela predisposte con riguardo al lavoro agricolo può, almeno in parte, essere ricondotta all’inadeguatezza quantitativa e qualitativa dei controlli ispettivi, tanto che, come si ricorderà, il d.lgs. n. 124/2004 è intervenuto a ridelineare l’intero sistema ispettivo, anche se la proliferazione degli organismi, peraltro non coordinati tra loro, deputati a contrastare il lavoro sommerso, non ha significato una proliferazione di risultati in termini di ridimensionamento del fenomeno in questione [23]. L’esigenza di razionalizzazione dell’attività di vigilanza sul lavoro, avvertita da tempo, ha condotto, inoltre, all’istituzione del Registro unico dei controlli ispettivi sulle imprese agricole (con d.m. 22 luglio 2015, emanato in attuazione della legge n. 116/2014). Si tratta di un registro informatico in cui confluiscono i dati concernenti i controlli in materia agroalimentare, fiscale, lavoristica, previdenziale, urbanistica e di sicurezza sul lavoro effettuati dai diversi organi di vigilanza, compresi gli organi di polizia e gli organismi pagatori. Il progetto di coordinamento dell’at­tività ispettiva ha trovato poi espressione ulteriore con l’istituzione dell’Ispettorato nazionale del lavoro (INL), ai sensi del d.lgs. n. 149/2015, emanato nell’ambito del più ampio disegno riformatore del mercato del lavoro attuato con il c.d. Jobs Act [24]. Nonostante i progressi compiuti nella direzione della riunificazione dei compiti affidati ai servizi ispettivi del lavoro, la diffusione di una cultura della legalità nei rapporti di lavoro in agricoltura incontra, a dire il vero, specifici profili di criticità. In particolare, il sistema di ispezione del lavoro (INL), operativo dal 1° gennaio 2017, sembra “paralizzato”, complice il fatto che nasce come un soggetto istituzionalmente ibrido, in quanto se, da un lato, la sua creazione avviene ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. n. 300/1999, la norma istitutiva delle agenzie fiscali, per contro, dall’altro, non è dotato della medesima autonomia delle stesse. Non solo. Si tratta di un Ente “a costo zero”, istituito cioè senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, dunque, senza alcun investimento di risorse pubbliche [25]. In questo contesto, la legge n. 199/2016 ha inteso rafforzare [continua ..]


5. Esperienze di best practices nel contrasto al caporalato

D’altro canto anche le best practices a livello comparato evidenziano la assoluta necessità di intervenire su questo fronte. Non si può infatti non rilevare che, in altri Paesi, i sistemi di ispezione del lavoro sono stati riformati nell’ottica di promuovere una cultura della prevenzione in cui possono contribuire a promuovere il rispetto delle norme in un clima di fiducia e cooperazione tra datori di lavoro e lavoratori. Si pensi alla legislazione dei Paesi Bassi, che dal 2016, con il Programma Inspectorate Szw ha istituito una sezione speciale all’interno dell’Ispettorato del lavoro deputata a svolgere indagini sullo sfruttamento lavorativo tramite analisi di rischio e a garantire una protezione efficace dei lavoratori vulnerabili, attraverso la collaborazione con partner pubblici e privati [33]. Si pensi ancora all’esperienza del “modello autorizzatorio” [34],adottato dal Regno Unito nel 2004, con l’approvazione del Gangmaster (Licensing) Act e l’istituzione di un sistema di licenze necessarie per svolgere l’attività di intermediazione di manodopera nei settori dell’agricoltura, dell’orticoltura, della pesca e della trasformazione dei prodotti agroalimentari [35]. La gestione del sistema delle licenze è affidata ad una specifica autorità, il cui potere di enforcement – oltre che la struttura organizzativa e le dotazioni finanziarie – sono stati ampliati e rafforzati attraverso la riforma intervenuta nel 2016 per effetto dell’entrata in vigore dell’Immigration Act, che ha portato a ridenominarla come Gangmaster and Labour Abuse Authority (di seguito: GLAA), potenziandone il ruolo ai fini del contrasto all’immigrazione irregolare e alla tratta di esseri umani. La concessione della licenza è subordinata alla verifica del rispetto degli standard minimi di lavoro imposti dalla legge. La legge, inoltre, istituisce un’ipotesi di reato sia in capo agli intermediari che operino senza licenza, sia per gli utilizzatori che impieghino consapevolmente lavoratori somministrati da gangmasters sprovvisti di licenza. In aggiunta alle funzioni che hanno connotato la sua attività fin dal principio, è importante evidenziare che spettano oggi alla GLAA anche i compiti di prevenire, accertare e reprimere (ai sensi del Police and Criminal Evidence Act del 1984) tutte le forme di sfruttamento nei [continua ..]


6. Per una strategia di contrasto multilivello

Un fenomeno complesso e strutturale, come quello in oggetto, richiede la messa in campo di una strategia che operi su più fronti e non sia improntata solo ad una logica di tipo emergenziale, essendo necessario intervenire soprattutto sulle cause strutturali dello sfruttamento e della vulnerabilità dei braccianti agricoli. Le strade che si profilano all’orizzonte appaiono diverse: dall’applicazione della tecnologia blockchain all’agricoltura [37], anche se ancora di dimensioni ridotte [38], all’utilizzo del contratto di rete, come mezzo per regolare la concorrenza sulle condizioni di lavoro nella catena di approvvigionamento, i cui vantaggi sono stati ben evidenziati dalla dottrina [39]. Al di là delle difficoltà che si incontrano in concreto, si è dell’avviso che per contrastare le distorsioni nel comparto agricolo non si possa prescindere da un riequilibrio dei rapporti all’interno della catena del valore. In tal senso, la direttiva n. 2019/633/UE, in materia di pratiche commerciali sleali, attuata nell’or­dinamento italiano, con il d.lgs. 8 novembre 2021, n. 198, sembra cogliere molte delle sollecitazioni provenienti dal Piano triennale contro lo sfruttamento lavorativo e il caporalato, se si tiene conto della crescente attenzione riservata all’in­cidenza dei costi di produzione nella determinazione del prezzo dei prodotti agricoli, alla promozione della responsabilità sociale attraverso i contratti di filiera e alla partecipazione delle imprese agricole a sistemi di certificazione etica dei prodotti, sebbene non sia esente da critiche [40]. Al tempo stesso, non va trascurata la recente introduzione del meccanismo c.d. della condizionalità sociale, fortemente voluta dal governo italiano, in sede di negoziazione della nuova Politica Agricola Comune 2023-2027, a far data dal 2023, anziché dal 2025, come per gli Stati membri, anche perché lascia intravvedere l’im­pegno del legislatore europeo di allineare gli obiettivi dettati dall’art. 39 TFUE in materia di politica agricola a quelli, più generali, sottesi all’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, al fine di costruire “un sistema alimentare sostenibile” [41]. Resta ferma tuttavia la necessità di adottare strategie di contrasto allo sfruttamento condivise sul piano internazionale, essendo ribadito in diverse occasioni [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2023