Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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Procedimenti collettivi e controversie di lavoro (di Gennaro Ilias Vigliotti, Dottore di ricerca in Diritto del lavoro e Docente a contratto – Università degli Studi del Molise)


Il saggio si occupa dei procedimenti collettivi introdotti nel codice di procedura civile dalla legge n. 31/2019 i quali, svincolati dalla tradizionale tutela consumeristica cui erano riferiti, hanno assunto i tratti di rimedi generali. La trattazione analizza gli elementi costitutivi delle fattispecie, valutandone la compatibilità con la tutela giurisdizionale in ambito lavoristico. Secondo l’Autore, la natura delle posizioni giuridiche deducibili in tali procedimenti e la tecnica processuale prescelta non precludono l’introduzione di domande connesse ai rapporti di lavoro, ma pongono questioni applicative che paiono risolvibili solo con un intervento correttivo del legislatore.

 

Collective proceeding and labour litigation

The essay analyses collective proceedings provided by law n. 31 of 2019 and now included into the code of civil procedure. This judicial toll is no longer tied with consumers’ legal protection and seems to be transformed in a general procedural remedy, available for every kind of claim. The article aims to understand if collective litigation could be applied to labour disputes, so as to improve judicial protection of the employees. According to the Author this type of claims is formally compatible with labour litigation, but still several critical issues arise, requiring a corrective action by lawgiver.

Keywords: Collective proceedings – class action – collective injunction.

SOMMARIO:

1. Premessa. Tutela giudiziale collettiva e processo del lavoro - 2. I tratti essenziali dell’azione di classe e dell’azione inibitoria - 3. La compatibilità tra procedimenti collettivi e tutela giudiziale del lavoro: i diritti individuali omogenei nell’azione risarcitoria - 4. Segue. Le condotte offensive oggetto dell’azione inibitoria - 5. Segue. Le regole sul rito - 6. La (problematica) legittimazione ad agire in capo ai sindacati - 7. Azioni collettive, contenzioso del lavoro e «nuovo» processo civile: un’occasione mancata - NOTE


1. Premessa. Tutela giudiziale collettiva e processo del lavoro

La tutela giudiziale di situazioni giuridiche sostanziali facenti capo a più soggetti costituisce un tema che, negli ultimi anni, ha interessato diversi ambiti del diritto  [1]. Nei sistemi economici contemporanei sono frequenti i fenomeni di lesione seriale o collettiva delle posizioni soggettive, fenomeni in cui singoli operatori del mercato realizzano condotte pluri-offensive, in grado di pregiudicare un numero consistente di individui caratterizzati dalla comune appartenenza ad un gruppo o ad una categoria [2]. In tali ipotesi, la tutela accordata nelle forme tradizionali, ossia la tutela di tipo individualistico, non sempre si dimostra efficace. Gli elevati costi di accesso alla giustizia ed i tempi connessi allo sviluppo del procedimento giudiziario classico, infatti, possono svolgere una funzione deterrente per il singolo che deve intraprendere un’azione a propria tutela, specialmente se la controparte cui si rivolgono le doglianze è rappresentata da un importante operatore del mercato, fornito di mezzi e risorse considerevolmente più ampi [3]. Sul piano dell’amministrazione della giustizia, inoltre, l’accentramento in un unico procedimento di controversie che presentano aspetti soggettivi e/o oggettivi comuni può costituire una valida soluzione per superare (o almeno attenuare) gli atavici problemi organizzativi che molti ordinamenti giudiziari europei ed internazionali presentano (incluso quello italiano) [4]. L’aggregazione del contenzioso seriale o collettivo, dunque, favorisce indubbiamente l’allocazione efficiente delle risorse individuali e giudiziarie, con conseguente rafforzamento delle funzioni di giustizia [5]. È su questi presupposti (e con questi obiettivi) che, nei sistemi giuridici di common law, è andata nel corso del tempo consolidandosi la pratica processuale delle azioni aggregate o di classe (c.d. «class actions»), ossia delle azioni giudiziali contraddistinte dal coinvolgimento di una pluralità di soggetti dal lato attivo e dalla presenza di coesione ed omogeneità all’interno del gruppo di ricorrenti, operante sia a livello sociale che giuridico [6]. In questi ordinamenti, secondo recenti studi processual-civilistici [7], l’azione di classe, consentendo di affiancare al modello liberale della tutela giudiziale individualistica sistemi di tipo aggregato o collettivo, ha svolto, da un [continua ..]


2. I tratti essenziali dell’azione di classe e dell’azione inibitoria

Il 19 maggio 2021, cioè ad oltre un anno dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge n. 31/2019, è entrato in vigore nell’ordinamento processuale civile il nuovo processo collettivo, caratterizzato da due diversi, ma funzionalmente collegati, strumenti di tutela: l’azione risarcitoria di classe e l’azione inibitoria [32]. La normativa si colloca all’interno del Libro IV, Titolo VIII-bis del codice di procedura civile (dall’art 840 bis all’art. 840 sexiesdecies) e trova applicazione agli illeciti commessi dopo la sua entrata in vigore. Dal punto di vista strutturale, entrambi gli strumenti processuali introdotti si conformano al modello tradizionale delle class actions, e cioè al modello giurisdizionale concepito per la tutela di una pluralità indeterminata di individui che si assumono lesi dalla medesima condotta antigiuridica [33]. Prendendo in prestito le categorie processuali classiche, si potrebbe affermare che il nuovo Titolo VIII bis del codice di procedura civile configura due giudizi «a litisconsorzio allargato» [34], che seguono regole speciali rispetto al rito ordinario ma, come si è già detto, non del tutto inedite per il nostro ordinamento. Con riferimento all’azione risarcitoria di classe, prevista e disciplinata dagli artt. 840-bis e ss. c.p.c., essa può essere utilizzata per far valere in giudizio diritti individuali omogenei che si assumono lesi da una condotta pluri-offensiva posta in essere da un’impresa o un ente gestore di servizi pubblici o di pubblica utilità [35]. Agendo in giudizio tramite questo strumento, i soggetti che si ritengono danneggiati e, in via autonoma, anche gli enti esponenziali che tutelino, per statuto, i diritti di cui si contende [36], possono chiedere al Tribunale sia l’accertamento della illiceità del comportamento lesivo, che la condanna del soggetto resistente al risarcimento del danno ed alle restituzioni connesse alla violazione (art. 840 bis, commi 1-3, c.p.c.). La tutela collettiva risarcitoria è divisa, dal punto di vista procedurale, in quattro distinte fasi [37]. Una prima fase preliminare di filtro, incentrata sulla valutazione di ammissibilità della domanda e dunque sul vaglio, da parte del giudice, dell’assenza di quattro distinti elementi ostativi all’azione: la manifesta infondatezza della domanda, [continua ..]


3. La compatibilità tra procedimenti collettivi e tutela giudiziale del lavoro: i diritti individuali omogenei nell’azione risarcitoria

Dai tratti essenziali dei due procedimenti collettivi introdotti nel Titolo VIII bis c.p.c. dalla legge n. 31/2019 appare evidente che sia il procedimento dell’azione di classe sia quello dell’azione inibitoria possiedano un campo di applicazione non più delimitato ad uno specifico settore dell’ordinamento ma tendenzialmente dotato di portata generale. Ciò non vuol dire, però, che l’accesso alla tutela collettiva sia scevro da limiti: gli artt. 840 bis ss., infatti, prevedono alcuni elementi indefettibili che, se non sussistenti, sono in grado di compromettere il valido ricorso alle azioni in questione. Si tratta, in particolare, di due aspetti tra loro interconnessi ma tecnicamente distinguibili: la natura delle posizioni giuridiche fatte valere e la tipologia delle condotte offensive oggetto di giudizio. Per rispondere all’interrogativo circa la possibile attivazione dei procedimenti collettivi anche per la definizione delle controversie del lavoro è dunque necessario concentrare l’analisi innanzitutto sui tali aspetti. Cominciando la disamina dall’azione risarcitoria, secondo l’art. 840 bis c.p.c. oggetto della tutela collettiva in questione sono i c.d. «diritti individuali omogenei», ossia l’insieme dei diritti risarcitori e restitutori che fanno capo al gruppo di danneggiati dalla medesima condotta collettiva [51]. Il legislatore non ne fornisce una definizione chiara, ma introduce alcuni indici che, anche alla luce di quanto emerso nell’applicazione del pregresso modello consumeristico, paiono in grado di qualificare le situazioni sostanziali protette e circoscrivere il ventaglio di controversie alle quali il nuovo rito dovrebbe trovare applicazione. Nel quadro normativo originario, ossia quello del d.lgs. n. 206/2005 (il già citato codice del consumo), il perimetro dell’azione di classe si determinava con esclusivo riferimento ai rapporti di consumo ed in ragione delle fattispecie tassativamente elencate nell’art. 140 bis. Il prototipo iniziale era rapportato alla tutela degli interessi collettivi di utenti e consumatori, situazioni sostanziali che si atteggiavano come veri e propri diritti soggettivi ma contraddistinti da un rilievo collettivo per il fatto di trovarsi contestualmente nella titolarità di più individui [52]. Non si trattava, dunque, di interessi collettivi in senso tecnico, ossia di [continua ..]


4. Segue. Le condotte offensive oggetto dell’azione inibitoria

Come si è detto in precedenza, al fianco dell’azione di classe risarcitoria il Titolo VIII bis del codice di rito prevede un’azione inibitoria collettiva volta ad ottenere dal giudice «l’ordine di cessazione o il divieto di reiterazione» di atti o comportamenti sia omissivi che commissivi «posti in essere in pregiudizio di una pluralità di individui o enti» (art. 840 sexiesdecies c.p.c.). Così come avvenuto per la class action, la disciplina dell’inibitoria è stata del tutto scollegata da un particolare ambito di tutela, con la conseguenza che il ricorso a tale strumento non è più tecnicamente a disposizione di una categoria specifica di soggetti (ossia consumatori o utenti) per contrastare condotte che violano le norme poste a protezione di quest’ultimi, ma diviene un rimedio generale, astrattamente utilizzabile in qualsiasi ambito soggettivo ed oggettivo. Anche in questo caso, però, la concreta compatibilità con il contenzioso del lavoro va valutata nello specifico, partendo dalle posizioni giuridiche tutelabili con il procedimento in questione. È d’uopo premettere che, nonostante l’espressa qualificazione dell’azione inibitoria come collettiva, in realtà essa si manifesta come un mezzo processuale ibrido, connotato da una duplice natura: da un lato, infatti, presenta un carattere individuale, poiché risulta espressamente esercitabile da «chiunque abbia interesse alla pronuncia» e dunque anche dai singoli; dall’altro, possiede una evidente anima collettiva, poiché, oltre a poter essere attivato dagli enti esponenziali che abbiano tra i propri obiettivi statutari la tutela degli interessi lesi dalle condotte pregiudizievoli, risulta sempre rivolto, anche nella versione individuale, ad ottenere l’inibitoria di comportamenti o atti «posti in essere in pregiudizio di una pluralità di individui» [66]. Anche quando agisce uti singuli il ricorrente deve quindi dimostrare che la condotta che intende far cessare non impinge solo con la sua posizione soggettiva, bensì possiede una offensività plurima: è necessario che si tratti sempre di un atto o comportamento pluri-offensivo, in grado di ledere gli interessi di più individui, anche quando l’azione volta ad inibirlo è esercitata da un soggetto singolo. Quello della [continua ..]


5. Segue. Le regole sul rito

In base alle considerazioni svolte sinora, la tutela collettiva contenuta nel Titolo VIII bis c.p.c. appare compatibile con le situazioni sostanziali deducibili in giudizio dalle parti di un rapporto contrattuale di lavoro. Quella connessa alla natura delle posizioni attive del ricorrente, però, non è l’unica valutazione necessaria per rispondere al quesito posto in apertura del presente contributo. Il legislatore del 2019, infatti, ha introdotto nel corpo del codice di rito due procedimenti caratterizzati da regole e tecniche processuali specifiche, rispetto alle quali potrebbe porsi un problema di coesistenza con le norme che presiedono al processo del lavoro, contenute negli artt. 409 ss. c.p.c. [85]. Come si è detto in precedenza, l’azione di classe e quella inibitoria sono entrambe devolute alla cognizione della sezione specializzata in materia di impresa e seguono, la prima, il procedimento del rito sommario di cui agli artt. 702 bis ss. c.p.c. e, la seconda, il procedimento camerale di cui agli artt. 737 ss. c.p.c. Si tratta di regole profondamente diverse da quelle che il legislatore del 1973 ha dedicato allo speciale rito del lavoro, e cioè un rito che, nell’opinione condivisa in dottrina, è permeato dal principio del favor lavoratoris e trova la sua primigenia ragione d’esistenza nella necessità di fornire a quest’ultimo una tutela effettiva e differenziata rispetto a quella ordinaria [86]. Ammettere l’esperibilità di azioni risarcitorie o inibitorie collettive secondo un procedimento diverso da quello prefigurato dal legislatore, e quindi devoluto alla cognizione di un giudice non specializzato, potrebbe risultare in contrasto con il principio di effettività della tutela, il quale protegge il diritto del singolo a che il giudizio instaurato trovi il suo sbocco in un provvedimento idoneo ad assicurare la piena e completa soddisfazione dell’interesse protetto [87]. Nell’ottica di ovviare ai problemi di compatibilità tra processo collettivo e processo del lavoro, in dottrina è stata proposta una interpretazione adeguatrice del dettato normativo. In particolare, è stato affermato che i procedimenti introdotti dalla legge n. 31/2019 costituirebbero dei rimedi caratterizzati da una struttura e da forme non rigide, come tali derogabili in presenza di determinate esigenze dell’ordina­mento [88]. La [continua ..]


6. La (problematica) legittimazione ad agire in capo ai sindacati

Come si è detto in precedenza, tra gli aspetti più rilevanti del modello tradizionale di processo collettivo c’è il riconoscimento della legittimazione ad agire in capo ad associazioni o enti esponenziali di altra natura. L’azione di classe o quella inibitoria possono essere intentate non solo dai singoli interessati ma anche da enti o organismi dotati di specifiche caratteristiche, spesso individuate dallo stesso legislatore. Il fondamento di questo meccanismo risiede nella stessa funzione dei procedimenti collettivi: aggregando interessi ed aspettative di tutela, essi si prestano più facilmente ad essere coltivati da soggetti associativi che – anche sul piano statutario – tendono alla riunione di tali interessi ed alla loro protezione [108]. La legittimazione ad agire in capo agli enti esponenziali, però, ha tradizionalmente posto diversi problemi interpretativi, soprattutto con riferimento al tipo di situazioni giuridiche da riconoscere in capo a questi ultimi [109]. Quella degli interessi superindividuali, collettivi o diffusi, è infatti una categoria di non facile definizione, che ha proiettato, sul piano processuale, il problema della titolarità soggettiva di tali interessi e quindi della legittimazione ad agire per la loro tutela [110]. La soluzione prescelta in un primo momento dal legislatore italiano fu quella di attribuire in via esclusiva il diritto di agire ad associazioni o altri enti esponenziali di varia natura a seguito di un preventivo formale riconoscimento conferito in sede amministrativa [111]. Tale regime di legittimazione, anche in ragione del difetto di una specifica regolamentazione dei limiti del giudicato, ha consentito, in un primo momento, l’affermazione di una concezione solo formalmente collettiva dei procedimenti in questione: si trattava, infatti, di azioni attribuite nei fatti ad un gruppo ristretto di soggetti rappresentativi e con riferimento ad una situazione giuridica soggettiva – il c.d. «diritto soggettivo collettivo» – a loro spettante in via esclusiva. Accogliendo i suggerimenti della dottrina [112], dunque, con l’art. 140 bis del codice del consumo, il legislatore apportò alcune rilevanti modifiche, disponendo che le domande collettive risarcitorie potessero essere proposte non solo dalle associazioni dotate di formale riconoscimento, ma anche da associazioni o comitati [continua ..]


7. Azioni collettive, contenzioso del lavoro e «nuovo» processo civile: un’occasione mancata

Dalle considerazioni svolte nei paragrafi che precedono emerge come la disciplina delle azioni collettive introdotta nel codice di rito con la riforma del 2019 ed entrata in vigore a tutti gli effetti nel maggio 2021 non escluda le controversie di lavoro dal proprio campo di applicazione. La compatibilità formale tra la tutela giudiziale collettiva e quella lavoristica, però, non basta a far ritenere che, sul piano sostanziale, il contenzioso inerente ai rapporti di lavoro potrà efficacemente essere introdotto tramite i procedimenti contemplati nel Titolo VIII bis c.p.c. Persistono, infatti, degli aspetti critici che, pur non condizionando l’astratta configurabilità di processi collettivi in materia, rischiano concretamente di disincentivarne l’utilizzo nelle aule di giustizia, sottraendo così al diritto del lavoro due strumenti che, come si è cercato di dimostrare anche con il ricorso ad esempi concreti, consentirebbero di apportare notevoli benefici alle aspettative di tutela dei lavoratori, non solo subordinati. Sul piano processuale, desta notevoli perplessità la mancata previsione della possibilità di devolvere la cognizione delle controversie collettive a giudici diversi da quello della sezione delle imprese presso il tribunale. Con riferimento al contenzioso del lavoro, infatti, una soluzione che consentisse di radicare il giudizio di classe o quello inibitorio dinanzi al giudice specializzato avrebbe certamente favorito l’innalzamento qualitativo della tutela giudiziaria, innestando il procedimento su schemi organizzativi già operativi e verificati (quelli, appunto, delle sezioni lavoro di ciascun tribunale) e avvalendosi dell’esperienza di un corpo giudiziale altamente qualificato nella materia [136]. Nonostante l’esperienza delle sezioni specializzate per le imprese – introdotte nel 2003 [137] – abbia sinora portato a risultati positivi, la devoluzione al giudice del lavoro dei giudizi collettivi intentati nelle materie di sua competenza avrebbe certamente migliorato la risposta di giustizia e favorito il ricorso a tale tutela. Sul piano della legittimazione attiva, poi, appare irragionevole, come si è detto nel paragrafo precedente, la scelta di escludere formalmente i sindacati dal novero degli enti esponenziali che possono proporre, anche a prescindere dal rilascio di espresso mandato dal titolare della posizione [continua ..]


NOTE