Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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Elogio del dovere (tra libertà e riconoscimento) (di Adalberto Perulli, Professore ordinario di Diritto del lavoro – Università di Venezia “Ca’ Foscari”; Professore invitato – Università Paris Nanterre)


L’articolo prende le mosse dal saggio di Giampiero Proia sulla relazione “offuscata” tra diritti e doveri, per sviluppare un’analisi del concetto di dovere in una prospettiva storico-filosofica. Il dovere, da figura arcaica del sacrificio in nome della patria (Ifigenia in Aulide) diventa nella modernità il fulcro della filosofia morale kantiana (Metafisica dei costumi) basata sul rispetto della persona, ed in seguito elemento della categoria hegeliana del “riconoscimento”.

Il giuspositivismo si identifica con la crescita inarrestabile dei diritti e il declino dei doveri, e questa tendenza viene accentuata dalle tendenze del nichilismo giuridico in cui la sfera economica primeggia sulle altre sfere sociali, imprimendo una visione soggettivistica e utilitaristica dell’agire umano. La tesi che si vuole proporre consiste in una ripresa della dottrina dei doveri valorizzando proprio il riconoscimento reciproco in chiave istituzionale, grazie al quale i soggetti di diritto attestano la propria soggettività razionale e la propria libertà.

Parole chiave: doveri – diritt – rispetto – riconoscimento – sostenibilità.

In praise of duty (between freedom and recognition)

The article starts from Giampiero Proia’s essay on the blurred link between rights and duties to develop an analysis of the concept of duty from a historical-philosophical perspective. Duty, from an archaic figure of sacrifice in the name of the homeland (Iphigenia in Aulis) in modernity becomes the fulcrum of Kantian moral philosophy (Metaphysics of customs) based on respect for the person, and later an element of the Hegelian category of "recognition". Legal positivism is identified with the unstoppable growth of rights and the decline of duties, and this trend is accentuated by the tendencies of legal nihilism in which the economic sphere excels over other social spheres, impressing a subjectivistic and utilitarian vision of human action. The thesis we want to propose consists in a revival of the doctrine of duties by enhancing mutual recognition in an institutional key, thanks to which the subjects of law attest their own rational subjectivity and their own freedom.

Keywords: duties – rights – respect – recognition – sustainability.

SOMMARIO:

1. Eclisse del dovere? - 2. Figure del dovere: il sacrificio - 3. Figure del dovere: rispetto, dignità, eguaglianza - 4. Il dovere del riconoscimento - 5. Per una nuova età dei doveri e della responsabilità - NOTE


1. Eclisse del dovere?

Giampiero Proia, nel suo bel saggio su “La relazione “offuscata” tra diritti e doveri (nel “diritto del lavoro per una ripresa sostenibile”, ma non solo)” [1], richiama con forza l’attenzione della dottrina giuslavoristica (e non solo) sul necessario collegamento tra diritti e doveri denunciando l’“interversione” di una duplice parabola: discendente per i doveri, secondo una progressione storica che dalla Rivoluzione francese del 1789 giunge sino ai giorni nostri passando per la costruzione delle democrazie costituzionali novecentesche; ascendente per i diritti della persona, che oltre alla tradizionale dimensione politica e civile si arricchiscono dei diritti sociali tipici del welfare state, sino a delineare i tratti di un nuovo paradigma non solo giuridico ma antropologico e culturale. Al punto che, ricorda Proia, l’età dei diritti descritta da Bobbio in un famoso saggio – cui l’illustre Autore avrebbe volentieri fatto seguire lo studio su l’età dei doveri – si è trasformata in una grande disillusione nella misura in cui l’ineffettività dei diritti fondamentali, spesso rimasti sulla carta, è in larga parte l’effetto del mancato aggancio dialettico con il mondo dei doveri, il cui declino diventa ancor più allarmante a fronte delle nuove emergenze globali che mettono a rischio il futuro (ma anche il presente) dell’intera umanità. Con la conseguenza che la nuova parola d’ordine cui tutte le sfere sociali si riferiscono come imperativo sistemico imprescindibile – la “sostenibilità”, appunto – rischia di suonare vuota o retorica se nel nuovo paradigma di sviluppo vengono a mancare quei vincoli interpersonali (e inter-istituzionali) fondati sui doveri, ed in primis sul dovere di riconoscimento [2]. Arginando l’egoismo soggettivo dell’homo oeconomicus con l’antidoto del rispetto e della solidarietà, il riconoscimento rappresenta il prerequisito morale, prima ancora che giuridico, di una società in cui il principio personalista (che esige il primato dei diritti e la loro incomprimibilità) cede alla connotazione dell’uomo come uti socius. Per certi versi la parabola ascendente (diritti) e discendente (doveri) descritta da Proia può sembrare paradossale (ed infatti, a mio avviso, lo è) in quanto [continua ..]


2. Figure del dovere: il sacrificio

Ma da dove nasce questa eclisse del dovere, ed in cosa consiste il suo crepuscolo? Non si comprende, a mio avviso, la curva discendente di cui parla Proia se non si affronta l’orizzonte etico entro cui le figure del dovere storicamente si collocano, così come forgiate nel mondo antico, e poi decostruite, sino alla loro quasi completa negazione, dal post-modernismo giuridico impregnato di individualismo e utilitarismo, spirito economico e nichilismo contenutistico della norma. Dove conduce il sentiero di un diritto che non contempla alcuna verità e riduce il valore nell’imperativo del volere, cioè nella volontà di potenza che nietzchianamente sgrava la dimensione giuridica non solo dall’ingombrante peso della trascendenza, ma la immunizza (o pretende di farlo) dal dovere (inteso come katéchon, vincolo, freno al proliferare incessante di pretese di diritti)? A quale vertiginosa esposizione conduce quel sentiero, nell’ambito del quale le libertà e le stesse “tutele” (pensiamo al diritto del lavoro, ovviamente, ma anche ai diritti umani) non sono nulla (non sono effettive) perché non vivono nel riconoscimento e quindi nella prassi sociale intersoggettiva in cui il circuito volontà-di-potenza-norma-diritto (il “volo ergo sum” di cui parla Irti [8]) viene mitigato e circoscritto nella sua altrimenti illimitata apertura verso ogni direzione? [9]. Per comprendere l’eclissi del dovere è quindi necessario riandare dapprima alle sue lontane origini sacro-morali per poi misurare il peso immane della sua marginalizzazione ad opera di una concezione positivistica del diritto che ha eretto una barriera insormontabile tra etica e diritto: perché è qui, nella morale, che il dovere ha la sua intima radice, ed è quindi in un diritto che ha preteso di separarsi dalla sfera dei sentimenti morali e degli imperativi normativi che dobbiamo identificare l’errore fatale consistente nell’aver dissociato i diritti del cittadino dai suoi doveri e subordinato i suoi doveri ai suoi diritti [10]. Partiamo dalla figura del dovere come “sacrificio”, richiamato anche nella famosa domanda che Mazzini pone agli operai italiani: “Perché vi parlo io dei vostri doveri prima di parlarvi dei vostri diritti? Perché, in una società dove tutti, volontariamente o involontariamente, vi opprimono, [continua ..]


3. Figure del dovere: rispetto, dignità, eguaglianza

Ma di quale radice moderna stiamo parlando, e di quale pharmakon possiamo disporre, se si è consolidata, invece, un’etica pubblica che alla responsabilità morale (e all’arcaica etica del sacrificio) ha sostituito il sistema dei diritti refrattari ad ogni limite esterno, in una prospettiva di “riduzionismo cognitivo” in cui – scrive ancora Proia – individualismo e utilitarismo “spingono a erodere il significato della solidarietà”? L’inversione del rapporto tradizionale tra diritto e dovere getta un’ombra sinistra sulla soggettività giuridica postmoderna: da un lato quella della deprivazione deontica dell’agire umano, che decreta il passaggio dalle virtù cooperative alle virtù competitive di uomini chiusi in un’armatura formale impermeabile alle ragioni altrui, che rivendicano la libertà come non-interferenza; dall’altro la negazione di quella prassi sociale democratica che nasce con l’idealismo tedesco ed è rappresentata dall’idea di “riconoscimento” (Anerkennung), che avrà in Hegel il principale artefice e filosofico propugnatore. Ma andiamo per gradi. Il passaggio dall’illuminismo al moderno manca ancora di un tassello per noi essenziale, rappresentato dall’entrata in scena del pensiero kantiano e della magnifica costruzione teorica della metafisica dei costumi. La grande impresa di Kant, che costituisce una riforma sistematica senza precedenti del pensiero filosofico e giuridico, consiste nel ricondurre l’intera realtà entro una trama coerente di operazioni razionali, cioè guidate dalla ragione. “Il principio del dovere – scrive Kant – è ciò che la ragione comanda al soggetto assolutamente e quindi oggettivamente (vale a dire il modo in cui il soggetto deve agire)” [16]. Nella nuova grammatica morale basata sulla ragione gioca un ruolo decisivo una categoria che Kant impiega per fornire un fondamento motivazionale al bisogno spirituale chiamato, appunto, “ragione”: la categoria del “rispetto”. Il rispetto è una specie particolare di sentimento “che sarebbe nostro dovere realizzare o promuovere” [17]. La prospettiva del rispetto ci consente di comprendere la vera figura moderna del dovere, non più intesa arcaicamente come sacrificio, ma quale categoria [continua ..]


4. Il dovere del riconoscimento

Il riconoscimento cui abbiamo fatto sin qui riferimento non è un astratto ideale di razionalità sociale ma un principio che vive nel sistema giuridico, ove svolge addirittura un ruolo fondativo. In questa luce è possibile rileggere l’intero impianto valoriale della nostra Costituzione, dall’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà economica (art. 2 Cost.) al dovere del lavoratore di svolgere un’attività che concorra al progresso materiale o spirituale della società (art. 4, comma 2); dal dovere dello Stato impegnato nella rimozione di tutti gli ostacoli economici e sociali che intralciano una libertà sociale praticata nella forma solidale del riconoscimento (art. 3, comma 2, Cost.) al dovere dell’impresa di rendere effettiva la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende (art. 46 Cost.). La prospettiva del riconoscimento supera quindi l’egoismo particolaristico della libertà negativa, a favore di una forma di libertà sociale in cui ogni soggetto contribuisce con la sua azione al bene dell’altro, facendo emergere la moralità della reciproca e paritaria soddisfazione dei bisogni dei soggetti cooperanti. È questa la solidarietà “politica, economica e sociale” (art. 2 Cost.), espressione non solo della sfera pubblica e delle politiche di cittadinanza, e quindi basilare per la realizzazione dei diritti fondamentali della persona, del benessere diffuso e del welfare, ma anche criterio normativo direttamente applicabile nei rapporti interprivati, come riconosciuto dalla Corte costituzionale che ha sancito la diretta rilevanza della solidarietà nel contratto, realizzando una funzionalizzazione del rapporto obbligatorio alla tutela dell’interesse della controparte [28]. Lo stesso vale per l’art. 41, comma 2, che deve essere riletto nella prospettiva delle relazioni istituzionalizzate di reciproco riconoscimento, in cui l’utilità sociale e il rispetto della salute, sicurezza, libertà, dignità umana, e oggi anche del­l’ambiente, altro non sono che i dettami di un’economia morale, fondata nell’a­zione normativa dei soggetti e rappresentativa di un modello di comunità di cooperazione. Nella dimensione verticale, la solidarietà opera come adempimento del relativo dovere dello Stato in stretta colleganza con le finalità [continua ..]


5. Per una nuova età dei doveri e della responsabilità

Com’è penoso per voi uomini fare esperienza del dovere”, dice Ifigenia alla sventurata stirpe dell’uomo, eppure pronta – lei – a donarsi per la sua comunità. Quanta pena dobbiamo provare ancora noi, sciagurata stirpe, per non aver compreso che l’umanità, nella sua persona, è l’oggetto del rispetto, e che questo è un dovere “relativo alla dignità dell’umanità in noi” stessi? [32] . E come possiamo pretendere di costruire un diritto della sostenibilità senza preoccuparsi delle sue precondizioni morali di riconoscimento, necessarie per evitare che il sogno dei diritti dell’uomo (ma anche le istanze sovrane della Natura) non si dissolvano in una invocazione senza freni di tutele e benefici che mistifica “l’essenza relazionale dell’esperienza giuridica” e “incoraggia una sorta di svuotamento per estensione della categoria dei diritti fondamentali”? [33]. Ricucire lo strappo tra diritti insaziabili e doveri morali e giuridici riconducibili alla loro radice comune per giungere ad una sintesi virtuosa – nel senso kantiano del termine, di “dovere di virtù” che coesiste con il “dovere di diritto” [34] ed entrambi, con il diritto, guardano all’insieme dell’esperienza giuridica come compresenza armoniosa di iura e officia – non può che essere la frontiera della civiltà neo-moderna, come peraltro auspicato da Norberto Bobbio [35]. Oggi quello strappo non ci consente ancora di praticare pienamente il rispetto delle persone e dell’ambiente, che deve essere posto al centro dell’attività di impresa e, più in generale, di un’economia capace di guardare al futuro integrando criteri ambientali, sociali e di governance nei prodotti e nei processi finanziari. L’idea che i meccanismi di mercato non siano stati in grado ad assicurare un equilibrio economico, sociale e ambientale del sistema (e del suo substrato naturale, la Terra) ci sta portando a riscoprire il mondo dei valori [36] e, con essi, la categoria del dovere, fattore decisivo della convivenza sociale, della responsabilità, del rispetto e della cura [37]. In tale prospettiva, peraltro, si assiste ad un crescente interesse dell’Unione Europea per una regolazione giuridica della Sustanaibility Corporate Governance, [continua ..]


NOTE