Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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La disciplina sanzionatoria in caso di licenziamento illegittimo sotto la lente dell'ordinamento multilivello (di Riccardo Maraga, Dottore di ricerca in Diritto dell’economia (curriculum Diritto del lavoro) e Docente a contratto di Diritto del lavoro – Università degli Studi di Roma “La Sapienza”)


Il saggio analizza le tutele previste dall’ordinamento multilivello in materia di licenziamento e l’effetto di condizionamento che le stesse producono sul legislatore nazionale nella modifica della disciplina sanzionatoria del licenziamento illegittimo.

In particolare, dopo un’analisi generale sui predetti vincoli, il saggio analizza i recenti arresti della giurisprudenza costituzionale e del CEDS sulla disciplina del licenziamento illegittimo introdotta dal Jobs Act. Infine, anche alla luce delle ordinanze di rimessione ancora pendenti presso la Consulta, il saggio esamina i possibili scenari futuri della materia.

 

The penalty discipline in case of unlawful dismissal under the multi-level legal system

The paper analyses the protections provided for by the multi-level legal system in the matter of dismissal and the conditioning effect that they produce on the national legislator in the amendment of the penalty discipline of unlawful dismissal.

In particular, after a general analysis of the aforementioned constraints, the essay analyses the recent decisions of Constitutional Court and the CEDS on the discipline of unlawful dismissal introduced by the Jobs Act. Finally, also in light of the decisions to refer still pending at the Constitutional Court, the paper examines possible future scenarios of the matter.

Keywords: dismissal – Constitutional court – European law.

SOMMARIO:

1. La disciplina sanzionatoria in caso di licenziamento illegittimo nel puzzle delle tutele multilivello - 1.1. Il livello internazionale: la tutela del lavoratore contro il licenziamento illegittimo nelle fonti OIL - 1.2. Il livello europeo: la tutela del lavoratore contro il licenziamento illegittimo nelle fonti dell’ordinamento eurounitario - 1.3. Il livello interno: il sindacato di costituzionalità sulla disciplina sanzionatoria in caso di licenziamento illegittimo - 2. Il rapporto tra tutele multilivello e disciplina sanzionatoria in caso di licenziamento illegittimo nella giurisprudenza recente della Corte costituzionale - 2.1. Le modifiche della disciplina del licenziamento illegittimo determinate dalla sentenza della Corte cost. n. 194/2018 - 2.2. Le sentenze della Corte cost. n. 59/2021 e n. 125/2022 sull’art. 18 Stat. lav. - 3. Le questioni aperte e la prospettiva di un progressivo smantellamento del Jobs Act - NOTE


1. La disciplina sanzionatoria in caso di licenziamento illegittimo nel puzzle delle tutele multilivello

L’evidente legame esistente tra il diritto al lavoro e i valori sociali che trovano ampio riconoscimento nella Costituzione e nel diritto sovranazionale ed eurounitario, unitamente alla tendenza recente del legislatore a modificare la disciplina sanzionatoria in caso di licenziamento illegittimo, ha indotto la dottrina e la giurisprudenza a (tornare ad) occuparsi di un tema che, per molti anni, era rimasto ai margini del dibattito dottrinale. Il riferimento è al rapporto tra la disciplina adottata dal legislatore per sanzionare l’illegittimità del licenziamento e quello che viene definito l’«ordinamento multilivello», ovvero, un sistema integrato di salvaguardia dei diritti fondamentali che opera non solo su livelli diversi, ognuno autonomo ed autosufficiente [1], ma anche con differenti strumenti di tutela, ciascuno con un diverso grado di effettività [2]. Come noto, i livelli su cui si è stratificato l’ordinamento multilivello con riferimento alla tutela del lavoratore contro il licenziamento illegittimo sono: a) il livello internazionale rappresentato principalmente dalla normativa dell’Orga­nizzazione internazionale del lavoro (OIL) in materia di tutela contro il licenziamento ingiustificato; b) il livello eurounitario rappresentato, in particolare, (i) dall’art. 30 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE), che in base all’art. 6, paragrafo 1, del Trattato sull’Unione (TUE), ha assunto lo stesso valore giuridico dei Trattati, (ii) dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE e (iii) dall’art. 24 della Carta Sociale Europea (CSE); c) quello nazionale che fa riferimento in primis alla Costituzione e, in particolare, al diritto al lavoro di cui all’art. 4, Cost. nel­l’interpretazione fornita dalla Corte Costituzionale. La tendenza recente a modificare la disciplina di tutela del lavoratore contro il licenziamento illegittimo ha posto, dunque, l’esigenza di tornare a indagare quali sono i limiti che l’ordinamento multilivello frappone alla discrezionalità del legislatore nazionale in questa materia. In altre parole, l’oggetto dell’indagine è l’indi­viduazione dei margini entro cui il legislatore può modificare la disciplina sanzionatoria in caso di licenziamento illegittimo e in quale misura la necessità di rispettare i vincoli derivanti [continua ..]


1.1. Il livello internazionale: la tutela del lavoratore contro il licenziamento illegittimo nelle fonti OIL

L’effettività della normativa OIL in materia di tutela contro il licenziamento ingiustificato incontra vari limiti rappresentati, innanzitutto, dall’interesse altalenante dell’organizzazione per questa materia e, in secondo luogo, dal fatto che la propria legislazione in questo ambito, ossia la Convenzione n. 158/1982, come vedremo infra, non è stata ratificata da numerosi Paesi, tra cui l’Italia. Fatta questa doverosa premessa, passiamo in rassegna le principali disposizioni in materia di tutela contro il licenziamento illegittimo presenti nelle fonti OIL. La raccomandazione n. 119/1963 rappresenta il primo intervento dell’organizzazione in questo ambito anche se presenta evidenti limiti rappresentati dalla natura non vincolante dello strumento. Nonostante tale limite formale il Comitato di esperti sull’applicazione delle convenzioni e raccomandazioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (d’ora in avanti CEACR OIL) ha evidenziato, nel proprio rapporto del 1974 [4], l’impatto significativo prodotto dalla raccomandazione sui sistemi di relazioni industriali dei Paesi membri e, sulla base di tale presupposto, la tutela contro il licenziamento illegittimo ha trovato spazio all’interno della Convenzione n. 158/1982, vale a dire, in uno strumento dotato di una almeno potenziale efficacia vincolante, subordinata alla ratifica da parte degli Stati membri. La principale disposizione della Convenzione è indubbiamente il principio della necessaria giustificazione nel licenziamento (art. 4), che il CEACR OIL considera la “pietra angolare” dell’intero quadro regolatorio della Convenzione [5], in base al quale il lavoratore non può essere licenziato senza che sussista un motivo legato alla sua attitudine o alla sua condotta oppure fondato sulla necessità di funzionamento dell’im­presa, dello stabilimento e del servizio. Si tratta, a ben vedere, degli stessi presupposti di legittimità del recesso previsti dall’art. 24 della CSE [6]. Non potendo, in questa sede, esaminare nel dettaglio tutte le disposizioni della Convenzione, ciò che rileva ai fini della presente analisi è il contenuto dell’art. 10, che obbliga gli Stati aderenti a prevedere sanzioni adeguate in caso di licenziamento illegittimo. La norma prevede che, in caso di declaratoria di illegittimità del licenziamento da parte [continua ..]


1.2. Il livello europeo: la tutela del lavoratore contro il licenziamento illegittimo nelle fonti dell’ordinamento eurounitario

La normativa eurounitaria in materia di tutela contro il licenziamento ingiustificato si sostanzia essenzialmente in due disposizioni: l’art. 30 della Carta dei diritti fondamentali (CDFUE) e una norma di diritto internazionale, ossia, l’art. 24 della CSE. Si tratta, a ben vedere, di due disposizioni che presentano profonde divergenze sotto il profilo sistematico, che incidono anche sulla giustiziabilità dei diritti previsti dalle stesse. L’art. 30 della CDFUE, infatti, si trova all’interno di un corpus normativo cui deve essere riconosciuto oggi lo stesso valore giuridico dei Trattati per espressa previsione dell’art. 6 del TUE. L’art. 24 della CSE, invece, è una norma di diritto internazionale. La CSE, infatti, è un trattato del Consiglio d’Europa in materia di diritti umani, sociali ed economici adottato nel 1996 e ratificato dall’Italia con legge 9 febbraio 1999, n. 30. È del tutto evidente che la diversa collocazione delle due disposizioni nel sistema delle fonti del diritto del lavoro incide inevitabilmente anche sull’efficacia (diretta o interposta) delle medesime nel nostro ordinamento e sulla giustiziabilità delle relative previsioni. Fatta questa premessa, passiamo ad analizzare il contenuto delle due disposizioni. L’art. 30 della CDFUE si limita a disporre che «ogni lavoratore ha il diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato, conformemente al diritto dell’Unio­ne e alle legislazioni e prassi nazionali». L’art. 24 della CSE (riveduta), riproponendo quasi pedissequamente il contenuto dell’art. 10 della Convenzione OIL n. 158/1982 (seppur con una differenza, come vedremo infra, non di poco conto) afferma il principio della necessaria giustificazione del licenziamento, che deve fondarsi su un valido motivo legato o alle attitudini o alla condotta del lavoratore o ad esigenze organizzative dell’impresa, prevede che, in assenza del motivo, il lavoratore ha diritto a un congruo indennizzo o ad altra adeguata riparazione e afferma che il lavoratore deve potere impugnare il licenziamento dinanzi ad un organo imparziale [10]. È di tutta evidenza come, tra le tante formulazioni astrattamente possibili, gli estensori della CDFUE abbiano scelto di declinare la tutela contro il licenziamento illegittimo in modo minimale, limitandosi ad affermare che colui che viene licenziato in modo [continua ..]


1.3. Il livello interno: il sindacato di costituzionalità sulla disciplina sanzionatoria in caso di licenziamento illegittimo

Individuati i vincoli derivanti dalle norme dell’ordinamento internazionale ed eurounitario alla potestà legislativa nazionale in materia di conseguenze sanzionatorie del licenziamento ingiustificato occorre, ora, esaminare i vincoli interni e, in particolare, i limiti costituzionali. Già i primi commentatori del testo costituzionale individuarono il legame esistente tra il diritto al lavoro ex art. 4, Cost. e la tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo. La dottrina del tempo, in particolare, si fece carico di individuare quali fossero i compiti che la realizzazione del programma di pieno impiego di cui alla norma costituzionale affidava ai pubblici poteri. Respinte le interpretazioni massimaliste, che declinavano il diritto al lavoro in una sorta di diritto soggettivo all’assunzione in capo ai singoli cittadini, prevalse l’idea che il programma costituzionale richiedesse la realizzazione, da parte dei poteri pubblici, di politiche economico-sociali volte a creare un ambiente economico dinamico, suscettibile di soddisfare la domanda di lavoro e di saturare il mercato del lavoro stesso, creando dunque le basi per il pieno impiego. Emerse sin da subito, tuttavia, che la direttiva costituzionale del diritto al lavoro non si traduceva unicamente nel dovere dei poteri pubblici di adottare delle azioni positive volte a favorire l’impiego dei disoccupati ma produceva effetti anche nel rapporto individuale di lavoro traducendosi nella necessità di proteggere gli occupati dalla perdita del lavoro, declinando il diritto al lavoro come diritto al mantenimento del posto. Ciò partendo dall’assunto che «se la Costituzione ha assunto come interesse degno di tutela quello di ogni cittadino a ottenere un posto di lavoro o ad ottenerne un altro adeguato, la ratio legis vuole che risulti al tempo stesso protetto altresì l’interesse – in un certo senso, ancor più concreto – di ogni lavoratore a conservare il posto che occupa» [27]. È, dunque, la direttiva di cui all’art. 4, Cost. che ha giustificato il passaggio dal sistema codicistico, che trova espressione nell’art. 2118 c.c., in base al quale entrambe le parti del rapporto di lavoro hanno facoltà di recesso acausale, con il mero rispetto del preavviso, all’introduzione di una facoltà di recesso differenziata tra lavoratore e datore di lavoro, di cui è [continua ..]


2. Il rapporto tra tutele multilivello e disciplina sanzionatoria in caso di licenziamento illegittimo nella giurisprudenza recente della Corte costituzionale

Come già evidenziato (v. supra, §§ 1.1. e 1.2) l’individuazione di un contenuto minimo di tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo incomprimibile in quanto «costituzionalmente necessario», non può prescindere dall’analisi di eventuali vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’ordinamento eurounitario e, più in generale, ad ordinamenti giuridici sovranazionali. Ciò in quanto, eventuali disposizioni normative sovranazionali aventi ad oggetto la tutela del lavoratore illegittimamente licenziato si pongono come norme interposte ai sensi dell’art. 117, comma 1, Cost. finendo, dunque, per rappresentare anch’esse dei parametri di valutazione della costituzionalità delle leggi in materia di disciplina sanzionatoria del licenziamento illegittimo. Il rapporto tra tutele multilivello e disciplina sanzionatoria in caso di licenziamento illegittimo è stato indagato in alcune pronunce recenti con cui la Corte costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale della riforma dell’art. 18 Stat. lav. operata dalla c.d. Riforma Fornero (legge n. 92/2012) e della nuova disciplina di tutela contro il licenziamento introdotta per gli assunti post 7 marzo 2015 dal c.d. Jobs Act (legge delega n. 183/2014 e d.lgs. n. 23/2015). Prima di esaminare il ragionamento seguito dalla Consulta è opportuno fare un breve cenno al contenuto di queste riforme. La Riforma Fornero ha determinato il tramonto dell’unicità rimediale prevista, in caso di licenziamento illegittimo, dall’art. 18 Stat. lav. il quale, prima delle modifiche apportate nel 2012, sanzionava qualsiasi vizio del recesso con la tutela reintegratoria piena. All’esito di tale riforma la tutela ripristinatoria è stata fortemente ridimensionata, essendo applicabile a una serie di fattispecie tipiche di illegittimità del recesso dotate di un maggiore disvalore [34], e la tutela indennitaria è stata elevata a forma rimediale generale. Il Jobs Act (e, nello specifico, uno dei decreti attuativi della riforma, il d.lgs. n. 23/2015) ha messo in discussione il punto di equilibrio sul quale si era assestato il sistema sino al 2015 e che si fondava sulla dicotomia tra area della tutela reale – applicabile nelle aziende di maggiori dimensioni, ovvero dotate del requisito dimensionale di cui [continua ..]


2.1. Le modifiche della disciplina del licenziamento illegittimo determinate dalla sentenza della Corte cost. n. 194/2018

Alla luce delle considerazioni svolte sull’invocabilità delle norme sovranazionali nel giudizio di costituzionalità delle leggi in materia di licenziamento, la Consulta – con la decisione n. 194/2018 – ha utilizzato come parametri normativi interposti, nel sindacato di costituzionalità del contratto a tutele crescenti, l’art. 24 CSE come norma interposta ex art. 117, comma 1, Cost. e i principi costituzionali, in particolare gli artt. 3, 4 e 35, Cost. Tale decisione, che può essere definita di illegittimità parziale testuale, avendo emendato l’articolo 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015, ritenuto non conforme alla Costituzione, attraverso una riduzione del testo della disposizione dalla quale sono state espunte le parole riportate nel dispositivo, ha prodotto l’effetto di espungere dall’ordinamento sia il criterio, fisso e crescente, di determinazione dell’indennità liquidabile al lavoratore illegittimamente licenziato, correlata dal legislatore alla sola anzianità di servizio del lavoratore, sia la nozione di retribuzione, ossia quella che costituisce base di calcolo del Tfr, da assumere come riferimento per il computo dell’indennità [47]. L’esame delle motivazioni che hanno indotto la Consulta a dichiarare incostituzionale il meccanismo di liquidazione dell’indennizzo spettante al lavoratore illegittimamente licenziato contribuisce, senza dubbio, all’individuazione di quel minimo di tutela «costituzionalmente necessario» al di sotto del quale la normativa contro i licenziamenti illegittimi finisce per contrastare con i principi costituzionali e con le norme sovranazionali interposte ex art. 117, Cost. Pur costituendo, secondo parte della dottrina, un vulnus nei confronti del principio di eguaglianza, la Consulta non ha considerato violativo di tale principio il fatto che il Jobs Act abbia introdotto una tutela duale, differenziata in base al dato cronologico dell’assunzione del dipendente. Ciò in quanto, ad avviso della Corte, «non contrasta, di per sé, con il principio di eguaglianza un trattamento differenziato applicato alle stesse fattispecie, ma in momenti diversi nel tempo, poiché il fluire del tempo può costituire un valido elemento di diversificazione delle situazioni giuridiche» [48]. Nel caso di specie, peraltro, la differenziazione di tutela sarebbe [continua ..]


2.2. Le sentenze della Corte cost. n. 59/2021 e n. 125/2022 sull’art. 18 Stat. lav.

Più di recente la Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 18 della legge n. 300/1970 come modificato dalla riforma Fornero. In particolare, il giudizio ha riguardato la compatibilità con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione della diversificazione di tutele previste per l’ipotesi di insussistenza del fatto posto alla base del recesso disciplinare e di manifesta insussistenza del fatto fondativo del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Nella variegata gamma di forme rimediali previste dall’art. 18 della legge n. 300/1970 post riforma Fornero, infatti, è stata prevista l’appli­cazione automatica della c.d. tutela reintegratoria attenuata nei casi in cui il giudice accerti che il fatto posto alla base di un licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo è insussistente (sia in senso materiale che in senso giuridico) mentre nel caso in cui si accerti la manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento per motivi economico-organizzativi l’applicazione della c.d. tutela reintegratoria attenuata non scatta in automatico ma è rimessa alla discrezionalità del giudice. Secondo la Consulta tale diversificazione di tutela prevista dalla legge n. 92/2012 contrasta con la Costituzione «poiché si rivela disarmonico e lesivo del principio di eguaglianza il carattere facoltativo del rimedio della reintegrazione per i soli licenziamenti economici, a fronte di una inconsistenza manifesta della giustificazione addotta e del ricorrere di un vizio di più accentuata gravità rispetto all’in­sussi­stenza pura e semplice del fatto». In altre parole, se il legislatore ha individuato nella insussistenza del fatto posto alla base del recesso il presupposto per l’appli­cazione della forma rimediale più forte, ossia quella ripristinatoria, non appare ragionevole prevedere che, per i soli recessi economici, l’applicazione di questo rimedio sia rimessa alla valutazione del giudice. È del tutto evidente che la decisione della Corte Costituzionale si basa sull’asserito “pari disvalore” dell’insussistenza del fatto contestato (motivo soggettivo) e della manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento (motivo oggettivo) [50]. In entrambi i [continua ..]


3. Le questioni aperte e la prospettiva di un progressivo smantellamento del Jobs Act

Dal quadro tracciato emerge con evidenza la forza carsica dei limiti derivanti dall’ordinamento multilivello alla potestà legislativa in materia di licenziamento illegittimo nonché la presenza di una serie di elementi potenzialmente in grado di condurre ad un progressivo smantellamento del Jobs Act. In primo luogo, sul fronte internazionale, occorre segnalare che le modifiche apportate al contratto a tutele crescenti dalla sentenza n. 194/2018 della Corte Costituzionale non hanno risolto definitivamente il tema della compatibilità con l’art. 24 CSE. Ci si riferisce al fatto che il CEDS, adito dalla CGIL con reclamo collettivo n° 158/2017, confermando il proprio orientamento espresso nella decisione Finnish Society of Social Rights contro Finlandia, ha ribadito che i meccanismi indennitari contro il licenziamento illegittimo sono ritenuti conformi alla Carta quando prevedono: (i) il rimborso delle perdite finanziarie subite tra la data del licenziamento e la decisione dell’organo del ricorso; (ii) la possibilità di reintegro del lavoratore e/o (iii) indennità di un importo sufficientemente elevato da dissuadere il datore di lavoro e compensare il danno subito dalla vittima. Partendo da questa premessa sistematica, il Comitato ha rilevato che l’apparato sanzionatorio previsto dal Jobs Act in caso di licenziamento illegittimo – nonostante le modifiche apportate dal c.d. Decreto Dignità e dalla sentenza n. 194/2018 della Corte Costituzionale – oltre a non consentire la reintegrazione nel posto di lavoro, si sostanzia in un indennizzo che non copre le perdite finanziarie effettivamente subite, poiché l’importo è limitato, a seconda della tutela applicabile nei singoli casi, dal plafond di 6, 12, 24 o 36 mensilità di riferimento e si pone, dunque, in contrasto con l’art. 24 della CSE poiché qualsiasi tetto massimo che svincola le indennità riconosciute al lavoratore illegittimamente licenziato dal danno subito e che non presenti un carattere sufficientemente dissuasivo, è, in linea di principio, contrario alla Carta. La decisione del CEDS potrebbe influenzare l’interpretazione dell’art. 24 CSE da parte della Consulta nei futuri giudizi di legittimità costituzionale del Jobs Act posto che, nonostante la Corte abbia escluso il carattere vincolante delle decisioni del Comitato, ne ha comunque riconosciuto il [continua ..]


NOTE