Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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La riconducibilità del mobbing al reato di stalking (di Fabrizio de Falco, Professore associato di Diritto del lavoro – Università Telematica Giustino Fortunato)


Il contributo esamina le connotazioni del mobbing avendosi quale riferimento il possibile rilievo acquisito, ai fini della sua configurazione, da specifiche ipotesi di reato contemplate dal codice penale. In particolare viene posto l’accento sulla possibile applicazione dell’art. 612 bis c.p. relativo al reato di atti persecutori (c.d. stalking) e sulle motivazioni contenute in una recente e significativa sentenza della Cassazione penale con la quale si è affermato che il mobbing e lo stalking sono fattispecie sovrapponibili. Vengono altresì esaminate le problematiche concernenti il comportamento comunemente denominato stalking occupazionale.

 

The traceability of mobbing to the crime of stalking

The paper examines the connotations of mobbing having as a reference the possible importance acquired, for the purpose of its configuration, by specific offenses contemplated by the Criminal code. In particular, the accent is placed on the possible application of article 612 bis of the Criminal code relating to the crime of persecutory act (so-called stalking) and on the reasons contained in a recent and significant sentence of the Criminal Cassation with which it was stated that mobbing and stalking are superimposable cases. Issues concerning behavior commonly referred to as occupational stalking are also examined.

Keywords: Mobbing – stalking – occupational stalking.

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SOMMARIO:

1. Configurazione del mobbing e “supporto” fornito dal diritto penale - 2. La sentenza della Cassazione, V Sezione penale, n. 31273/2020 e la sovrapponibilità del mobbing allo stalking - 3. Un collaterale tentativo volto a ricondurre il mobbing allo stalking: la identificazione del c.d. stalking occupazionale - 4. Comportamenti persecutori, vicende lavorative e tecniche definitorie: le ragioni di una problematica aperta - NOTE


1. Configurazione del mobbing e “supporto” fornito dal diritto penale

Avendosi quale riferimento l’assenza, nell’ordinamento, di una definizione giuridica del mobbing, risulta evidente come il “supporto” fornito dal diritto penale ai fini della elaborazione di tale fattispecie si configuri indubbiamente significativo [1]. Ciò in ragione del fatto che, pur essendo assente la previsione di una autonoma ipotesi di reato, si rende comunque possibile, ove ne sussistano i presupposti, ricondurre molti dei comportamenti comunemente riferiti al mobbing a specifiche fattispecie contemplate dal codice penale [2]. In tale quadro, proprio con riguardo alla difficoltà d’inquadramento della fattispecie, la Cassazione penale ha posto l’accento sulla “difficoltà di inquadrare la fattispecie in una precisa figura incriminatrice”, evidenziandosi altresì che “la figura di reato maggiormente prossima ai connotati caratterizzanti il c.d. mobbing è quella descritta dall’art. 572 c.p. commessa da persona dotata di autorità per l’esercizio di una professione” [3]. Sul punto deve evidenziarsi come la dottrina abbia significativamente auspicato il mantenimento dell’assenza di incriminazione penale del mobbing “proprio in ragione della necessaria ampiezza della definizione, che contrasterebbe con il principio costituzionale di precisa predeterminazione della fattispecie incriminatrice” [4] Dal punto di vista della responsabilità penale del datore di lavoro o di suoi sottoposti (avendosi pertanto quale riferimento ipotesi di reato comunque tendenzialmente riconducibili al mobbing) possono acquisire rilievo, nell’ambito del codice penale, gli artt. 572 (maltrattamenti) [5], 582 (lesioni, intese anche nel senso di lesioni psicologiche), 610 (violenza privata), 612 (minaccia), 323 (abuso d’ufficio). Tipico esempio, sul punto, è dato dalla pronunzia della Suprema Corte con la quale si è esaminata la condotta violenta e minacciosa posta in essere reiteratamente da un capo officina nei confronti di un meccanico all’uopo ritenendosi integrato il reato di violenza privata continuata aggravata [6]. Il Supremo Collegio ha, peraltro, posto l’accento sulla sussistenza dei reati di maltrattamenti e violenza privata avendosi quale riferimento, nell’ambito della stessa fattispecie criminosa, sia le vessazioni poste in essere dal capogruppo responsabile [continua ..]


2. La sentenza della Cassazione, V Sezione penale, n. 31273/2020 e la sovrapponibilità del mobbing allo stalking

L’indagine sulla descritta problematica ha trovato, recentemente, ulteriori spunti di riflessione in ragione della significativa pronunzia della Cassazione, V Sezione penale, n. 31273 del 9 novembre 2020. Occorre premettere che, così come sarà evidenziato nel successivo paragrafo, i tentativi degli operatori giuridici volti a ricondurre il mobbing al reato di atti persecutori di cui all’art. 612 bis c.p. (c.d. stalking) sono stati essenzialmente circoscritti alla valutazione di una fattispecie denominata stalking occupazionale. Si tratta di una ricostruzione interpretativa volta a ritenere applicabile l’art. 612 bis c.p. nell’ipotesi in cui il comportamento persecutorio iniziato nel luogo di lavoro si ramifichi, poi, all’esterno del contesto lavorativo, nella vita privata della vittima. Pertanto la specificità del reato contemplato dall’indicata norma sembrerebbe escludere che il reato ivi previsto possa riguardare l’ipotesi in cui il comportamento persecutorio venga attuato all’interno di un luogo di lavoro. Sennonché la Cassazione penale, nell’indicata pronunzia, ponendo l’accento sulla possibile sovrapponibilità del mobbing al reato di stalking, evidenzia che “il contesto entro il quale si situa la condotta persecutoria è del tutto irrilevante, quando la stessa abbia determinato un vulnus alla libera autodeterminazione della persona offesa, determinando uno degli eventi previsti dall’art. 612 bis c.p.” di guisa che “nessuna obiezione sussiste, in astratto, alla riconduzione delle condotte di mobbing nel­l’alveo precettivo di cui all’art. 612 bis c.p. laddove quella “mirata reiterazione di plurimi atteggiamenti, convergenti nell’esprimere ostilità verso la vittima e preor­dinati a mortificare e a isolare il dipendente nell’ambiente di lavoro” elaborata dalla giurisprudenza civile come essenza del fenomeno, sia idonea a cagionare uno degli eventi delineati dalla norma incriminatrice”. Ebbene, sembra potersi affermare che tale indirizzo fornito dal Supremo Collegio, nel ritenere configurabile il reato di cui all’art.612 bis. c.p. anche con riferimento agli atti persecutori posti in essere esclusivamente all’interno del luogo di lavoro, contribuisca, incisivamente, ad ampliare le possibili tecniche di tutela del lavoratore vittima del mobbing tipicamente [continua ..]


3. Un collaterale tentativo volto a ricondurre il mobbing allo stalking: la identificazione del c.d. stalking occupazionale

Si rende, a questo punto, opportuno sviluppare alcune considerazioni sul contenuto dell’art. 612 bis c.p. introdotto, nell’ordinamento, dalla legge n. 38/2009, per poi valutare la possibile configurabilità dello stalking occupazionale. L’indicata norma, a seguito delle modifiche apportate dalle leggi n. 94/2013 e n. 119/2013 (c.d. legge sul “femminicidio”), prevede al comma 1 (nel quadro definitorio) il reato di atti persecutori, comunemente ricondotto al c.d. stalking [13], all’uopo statuendo che “salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo tale da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”. Tale ipotesi di reato sembra voler presupporre l’esigenza del legislatore di identificare innanzitutto quei comportamenti persecutori posti in essere da particolari figure di stolkers, quali, ad esempio, l’ex partner risentito, il corteggiatore respinto, il c.d. “predatore”, essendo comunque evidente l’ampia ed eterogenea platea dei potenziali soggetti attivi del reato. Le condotte tipiche vengono comunemente ricondotte ad appostamenti, pedinamenti, telefonate, lettere, utilizzo di posta elettronica, sms, utilizzo di messaggi lasciati sull’auto o sulla porta di casa, intrusioni in casa, danneggiamenti, molestie varie. La prospettata violazione, da parte dell’indicato art. 612 bis, del principio di determinatezza delle fattispecie penali (art. 25, comma 2, Cost.) è stata disattesa dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 172/2014. All’uopo il giudice delle leggi ha rimarcato come tale principio non escluda l’ammissibilità di formule elastiche alle quali sovente il legislatore deve ricorrere stante l’impossibilità di elencare analiticamente tutte le circostanze alle quali intende riferirsi la norma penale. La Suprema Corte ha evidenziato come, ai fini della sussistenza dello stalking, non sia elemento essenziale il mutamento delle abitudini di vita da parte della vittima essendo sufficiente che la condotta incriminata abbia indotto nella [continua ..]


4. Comportamenti persecutori, vicende lavorative e tecniche definitorie: le ragioni di una problematica aperta

L’ assenza, nell’ordinamento, di una definizione normativa del mobbing [24] (e la concatenata assenza di una disciplina giuridica idonea a regolarne effetti e sanzioni) ha condotto alla preliminare valorizzazione di norme, principi e valori ricavabili non soltanto all’interno dell’ordinamento civilistico ma anche della carta costituzionale e, come si è precedentemente rilevato, dal diritto penale in funzione di “supporto” nel quadro ricostruttivo della fattispecie. Si pensi all’applicazione dell’art. 2087 c.c., che tutela non soltanto l’integrità fisica del dipendente ma anche la sua personalità morale nonché alla valorizzazione, in siffatta prospettiva, dell’art. 32 Cost. (che tutela il diritto alla salute) e dell’art. 2 Cost. il quale garantisce la dignità dell’uomo anche nelle formazioni sociali tra le quali può essere ricompreso l’ambiente di lavoro [25]. Od ancora, si pensi al contenuto dell’art. 41, 2 comma, Cost. per il quale l’iniziativa economica privata deve esercitarsi nel rispetto della dignità umana. Risulta peraltro evidente come, in talune ipotesi, possa sussistere l’esigenza di verificare (ai fini della riconducibilità della fattispecie nell’ambito dell’art. 26 del d.lgs. n. 198/2006) l’eventuale sovrapponibilità del comportamento persecutorio con eventuali condotte integranti anche l’ipotesi di molestie sessuali poste in essere all’interno del luogo di lavoro [26]. Tali considerazioni delineano il contesto all’interno del quale (in assenza di appropriate tecniche definitorie di tipo giuridico sul mobbing) sono stati tracciati, ad opera della dottrina [27], i percorsi giuridici volti ad individuare i profili tipici della fattispecie e le connesse tecniche di tutela. La problematica sconta, a ben riflettere, l’assenza, nell’ordinamento, di adeguate tecniche definitorie in grado di identificare tutte le possibili connotazioni degli atti persecutori posti in essere in ragione della “preesistenza” di un rapporto di lavoro. Carenza che, com’è noto, ha condotto ad una tendenziale supplenza ad opera degli operatori giuridici i quali, in aggiunta al mobbing tipicamente inteso (rapportato essenzialmente a quello verticale ed orizzontale), hanno delineato fattispecie dotate di intrinseca [continua ..]


NOTE