Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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“State contenti umana gente al quia”. Il caso foodora tra qualche luce e molte ombre (di Matteo Verzaro, Assegnista di ricerca in Diritto del lavoro, Università degli Studi “Roma Tre”)


Il saggio ripercorre il caso Foodora nei suoi tre gradi di giudizio e si sofferma sulla sentenza della Cassazione 24 gennaio 2020, n. 1663. L’A. ricostruisce gli elementi che caratterizzano l’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015 e ne afferma la rilevanza in quanto fattispecie all’interno del tipo lavoro autonomo. Vengono, quindi, analizzate le affermazioni della Cassazione sulla disciplina del lavoro subordinato applicabile a tali collaborazioni e il giudizio di comparabilità che la Corte sembra introdurre tra collaboratore etero-organizzato e lavoratore subordinato. Si rilevano, inoltre, le conseguenze che scaturiscono dall’applica­zione della disciplina integrale della subordinazione e il limite della deroga consentita ai contratti collettivi.

“Confine yourselves, o humans, to the quia”. The foodora case between some light and many shadows

This paper goes over Foodora case in its three levels of justice and dwells on Supreme Court judgment 24.01.2020, n. 1663. Author traces elements characterizing art. 2, c. 1, D. Lgs. n. 81/2015 and affirms their importance as a case in point of self-employment framework. Supreme Court statements on salaried employment legislation that can be applied to these contracts and comparability judgment that Supreme Court seems to introduce between employer-organized work and salaried employment are then analyzed. In addition, resulting consequences from the application of salaried employment full law and limit on derogating from collective agreements are noted.

SOMMARIO:

1. Premessa: vicenda processuale e petitum - 2. Disciplina senza fattispecie - 3. Incompatibilità ontologica per una fattispecie che (non) c’è - 4. Limiti alla derogabilità contrattual-collettiva - 5. Il “vaso di Pandora”: la discrezionalità del giudice di merito - NOTE


1. Premessa: vicenda processuale e petitum

La sentenza della Cassazione 24 gennaio 2020, n. 1663 scrive il terzo ed ultimo, almeno dal punto di vista processuale [1], capitolo dei riders di Foodora. Prima di soffermarsi su tale pronuncia, occorre ripercorrere, brevemente, la “trama” scritta dal Tribunale di Torino [2], in primo grado, e dalla Corte d’Appello di Torino [3], in secondo grado, al fine di chiarir meglio le varie posizioni emerse e i punti fermi rimasti a seguito della sentenza della Suprema Corte. Alcuni collaboratori (d’ora in poi riders) adivano il giudice del lavoro di Torino chiedendo, in via principale, l’accertamento della costituzione tra le parti di un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e la condanna del committente (Foodora): 1) alla corresponsione delle somme a titolo di differenze retributive dirette ed indirette e delle competenze di fine rapporto; 2) al ripristino del rapporto di lavoro conclusosi alla data del termine finale; 3) al risarcimento del danno per violazione della normativa in materia di privacy e di sicurezza sul lavoro (art. 2087 c.c.). In via subordinata, l’applicazione dell’art. 2, d.lgs. n. 81/2015. Il Tribunale di Torino accertava la sussistenza tra le parti di rapporti di lavoro autonomo regolati da contratti di collaborazione coordinata e continuativa a termine per la consegna di cibo da asporto. In tali atti venivano previste anche le concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro e, tra queste, la possibilità per il lavoratore «di candidarsi o non candidarsi per una specifica corsa a seconda delle proprie disponibilità ed esigenze di vita»; l’utilizzo da parte del lavoratore, per effettuare la consegna, di una propria bicicletta «idonea e dotata di tutti i requisiti richiesti dalla legge per la circolazione»; lo svolgimento della prestazione «in piena autonomia, senza essere soggetto ad alcun vincolo di subordinazione, potere gerarchico o disciplinare», «fatto salvo il necessario coordinamento generale con l’at­tività della stessa committente». Il giudice riscontrava, anche, che Foodora forniva ai collaboratori apposite istruzioni per la gestione del rapporto e lo svolgimento della prestazione lavorativa [4]. Sulla base dei documenti e delle testimonianze acquisite, il Tribunale statuiva che «il rapporto di lavoro intercorso tra le parti era [continua ..]


2. Disciplina senza fattispecie

La Suprema Corte si è pronunciata sul caso Foodora, come già detto, con la sentenza 24 gennaio 2020, n. 1663, rigettando il ricorso proposto dalla società committente con una motivazione a tratti ondivaga e discostandosi, in parte ma senza cassarla, dalla pronuncia della Corte d’Appello. È bene, sin da subito, evidenziare, a parere di chi scrive, l’unico (tremolante) punto fermo che la Cassazione lascia in questa vicenda: vale a dire la riconduzione della prestazione lavorativa dei riders all’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015. A tal proposito, la Suprema Corte afferma che «il legislatore [...] si è limitato a valorizzare taluni indici fattuali ritenuti significativi (personalità, continuità, etero-orga­nizzazione) e sufficienti a giustificare l’applicazione della disciplina dettata per il rapporto di lavoro subordinato, esonerando da ogni ulteriore indagine il giudice che ravvisi la concorrenza di tali elementi nella fattispecie concreta e senza che questi possa trarre, nell’apprezzamento di essi, un diverso convincimento nel giudizio qualificatorio di sintesi» [10]. Così argomentato, la Cassazione ha escluso il compito dell’interprete all’indagine tipologica di tali rapporti, che cadono, secondo tale prospettiva, in una indefinita tipologia, seppure in presenza di una espressa statuizione di legge che detta alcuni elementi tipici, poiché si pongono «in una terra di mezzo dai confini labili» [11]. A ciò, la Corte aggiunge, in dissidio con la Corte d’Appello, che non è «necessario inquadrare la fattispecie litigiosa [...] in un tertium genus, intermedio tra autonomia e subordinazione» [12], dato che l’art. 2, comma 1, disegna «una norma di disciplina» [13] e «non crea una nuova fattispecie» [14]. In relazione a tali ultime affermazioni della Cassazione, si ritiene utile distinguere i due piani del tipo e della fattispecie, che delimitano due strumenti complementari, ma non sovrapponibili, della tecnica legislativa e che, a mio modesto avviso, appare possibile utilizzare anche per l’art. 2, comma 1 [15]. Come noto [16], il legislatore nella costruzione dei diversi istituti utilizza un metodo combinatorio che distingue alcuni atti dagli altri. Il tipo giuridico rappresenta, quindi, il principio costruttivo di un istituto [continua ..]


3. Incompatibilità ontologica per una fattispecie che (non) c’è

Accertata, così, l’esistenza della pencolante fattispecie delle collaborazioni etero-organizzate, occorre soffermarsi sulla qualificazione dell’art. 2, offerta dalla Suprema Corte, come «norma di disciplina» [42]. Va, innanzitutto, detto, a mio modesto avviso, che la qualificazione risulta contraddittoria in se stessa perché la Cassazione vede in questa disposizione una indicazione della disciplina applicabile ad una fattispecie che (almeno dichiaratamente, ma nella sentenza il termine torna più volte nella sua propria accezione) non riconosce [43]. Come noto, la norma afferma che alle collaborazioni etero-organizzate ex art. 2, comma 1, «si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato». Ora, la Suprema Corte chiarisce [44] che «quando l’etero-organizzazione [...] è marcata al punto da rendere il collaboratore comparabile ad un lavoratore dipendente, si impone una protezione equivalente e, quindi, il rimedio dell’applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato». Ed ancora [45]: «la norma non contiene alcun criterio idoneo a selezionare la disciplina applicabile, che non potrebbe essere affidata ex post alla variabile interpretazione dei singoli giudici». La Cassazione supera in questo modo la selezione indicata, come ricordato, dalla Corte d’Appello di Torino circa gli istituti di disciplina applicabile e lo fa, come notato sin da subito da un’autorevole dottrina [46], proprio sulla base del testo della disposizione, che resta muto circa qualsiasi criterio selettivo. È, dunque, applicabile alle collaborazioni etero-organizzate la disciplina integrale del lavoro subordinato e, inoltre, la sua possibile selezione, avvisa la Corte, sarebbe vietata al giudice che andrebbe, altrimenti, oltre l’interpretazione della legge, introducendo un parametro che la stessa non pone [47]. Occorre notare che la Cassazione prospetta una graduazione della etero-or­ganizzazione che rende applicabile integralmente la disciplina del lavoro subordinato al collaboratore. Deve verificarsi, infatti, un grado di comparabilità tale per cui il collaboratore diviene nel rapporto lavoratore dipendente. Ora, se dapprima la norma limitava l’ambito della etero-organizzazione ai tempi e al luogo di lavoro [48], con la novella del 2019 l’incidenza della stessa viene estesa a qualsiasi [continua ..]


4. Limiti alla derogabilità contrattual-collettiva

L’applicazione della disciplina integrale del lavoro subordinato alle collaborazioni etero-organizzate e la conseguente riconduzione delle stesse nel tipo legale dell’art. 2094 c.c., seppur con le difficili eccezioni dianzi prospettate, potrebbe essere messa in crisi dall’art. 2, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 81/2015. Tale norma dispone, infatti, che quanto previsto dal comma 1, non trovi applicazione per «le collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore». Si genera, così, una falla tra l’inderogabilità della disciplina applicabile al lavoro subordinato e la sua disponibilità ad opera della contrattazione collettiva che intervenga a regolare i rapporti di collaborazione etero-organizzata. Tuttavia, occorre notare che la disposizione del comma 2 costituisce l’eccezione alla regola, che, come sancito dalla Cassazione, prevede un’estensione integrale della disciplina della subordinazione alle collaborazioni in cui l’etero-organizzazione renda il collaboratore comparabile al lavoratore subordinato. Ora, l’ambito in cui può operare l’autonomia collettiva diviene, così, circoscritta alla disciplina applicabile, poiché è soltanto questo il campo d’azione della deroga posta dalla norma («la disposizione di cui al comma 1 non trova applicazione»). Per dir meglio: la deroga che il legislatore accorda ai contratti collettivi circa il regime di applicabilità della disciplina del lavoro subordinato, può trovar luogo quando la contrattazione collettiva definisca, sulla base della disciplina del lavoro subordinato, i trattamenti economici e normativi da applicare al collaboratore etero-organizzato [63]. Il contratto collettivo non può, così, operare sulla fattispecie della collaborazione etero-organizzata come definita, seppur “laconicamente”, dal legislatore nell’art. 2, comma 1, poiché altrimenti si produrrebbe una violazione del principio di indisponibilità del tipo, rectius della fattispecie legale [64]. Di guisa che anche laddove intervenisse la contrattazione collettiva, rimarrebbe [continua ..]


5. Il “vaso di Pandora”: la discrezionalità del giudice di merito

La pronuncia della Suprema Corte sul caso Foodora ha offerto, come si è cercato di ripercorrere considerandone alcuni dei tratti più salienti, alcune soluzioni, ma ha lasciato aperte ancora numerose questioni. È evidente, infatti, che il quesito di maggiore difficoltà rimane quello legato alla disciplina del lavoro subordinato da applicare alle collaborazioni etero-organizzate e, in questo senso, alcune discrasie presenti nella sentenza non appaio risolutrici. Si prospetta, così, un nuovo arduo compito che viene affidato al prudente apprezzamento [71] del giudice di merito, che, anche in questo caso [72], rimane sprovvisto di chiari criteri. Par certo che la prima indagine che dovrà essere svolta permanga quella sul tipo legale cui ricondurre il rapporto: vale a dire l’accertamento della co­incidenza tra collaborazione etero-organizzata realizzata dalle parti e il ricorrere dei requisiti propri del lavoro subordinato ovvero del lavoro autonomo. Su questo aspet­to, si può affermare che le collaborazioni poste in essere dai riders di Foodora appaiono appartenere maggiormente al tipo ex art. 2094 c.c. che a quello ex art. 2222 c.c. [73] Tuttavia, tale indagine non può prescindere dall’oscura nozione di etero-orga­nizzazione e, soprattutto, dai limiti della stessa. Appare, infatti, almeno per chi scrive [74], difficile enucleare dalle istruzioni di svolgimento del rapporto date ai riders [75] una sicura linea di demarcazione dal potere direttivo e, dunque, la nitidezza, in tali prestazioni, dei tratti e del coordinamento e del potere organizzativo. Ecco, allora, che qui si dimostra irrilevante la determinazione circa la disciplina della subordinazione, integrale o parziale, da applicare. Ciò non toglie che possano presentarsi situazioni in cui sia possibile riscontare elementi di maggiore autonomia ovvero di incompatibilità ontologica con la subordinazione e, perciò, il punto saliente diventerà proprio quello sulla disciplina. Ora, ammettendo che il giudizio di comparabilità prospettato dalla Cassazione abbia esito parziale/negativo, il giudice di merito dovrà compiere la scelta sulla misura della disciplina della subordinazione da applicare e selezionare, così, quali istituti escludere per il collaboratore etero-organizzato. Da un lato, forse [76], si potrebbe partire da quelli connessi [continua ..]


NOTE