Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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Tecniche sanzionatorie e rimedi risarcitori nei rapporti di lavoro (di Emilio Balletti, Professore ordinario di Diritto del lavoro – Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli")


Nel saggio è analizzato il declinare delle tecniche sanzionatorie giuslavoristiche da moduli di tutela a carattere reale verso modelli sanzionatori di natura risarcitoria ed anche di portata solo indennitaria, con standard di protezione inferiore in relazione ai canoni ordinari civilistici del risarcimento del danno. Ciò in termini che importano il tendenziale regredire del diritto del lavoro da un ruolo di avanguardia ad una posizione arretrata rispetto al diritto civile in ordine all’evoluzione delle potenzialità funzionali della responsabilità contrattuale.

Sanctioning techniques and compensatory remedies in employment relationships

The essay analyzes the decline of labor law sanctioning techniques from protection modules of a real nature towards sanctioning models of a compensatory nature, including those indemnity, with lower protection standards in relation to the ordinary civil laws’ standards of compensation for damage. This is in terms that matter the tendential regression of labor law from a vanguard role to a backward position compared to civil law.

SOMMARIO:

1. Il declinare del diritto del lavoro da moduli di tutela reale verso rimedi risarcitori - 2. La portata protettiva delle tecniche sanzionatorie giuslavoristiche rispetto ai canoni ordinari del diritto civile - 3. Il ridimensionamento degli standard di tutela del diritto del lavoro secondo modelli sanzionatori risarcitori - 4. L’espansione di tipologie di tutela (solo) risarcitorie in tema di licenziamenti - 5. L’autonomia del legislatore nell’opzione per moduli di tutela in deroga in peius al diritto civile - 6. Segue: i limiti alla deroga in peius al diritto civile; l’indennità ex comma 1, art. 3, d.lgs. n. 23/2015 - 7. La devoluzione alla “valutazione discrezionale” del giudice della determinazione del quantum delle tutele risarcitorie lavoristiche: criteri guida, congruenza e verificabilità delle decisioni - 8. Considerazioni conclusive - NOTE


1. Il declinare del diritto del lavoro da moduli di tutela reale verso rimedi risarcitori

In un nitido studio del 2008 [1] Francesco Santoni osservava come «il tema delle tecniche di tutela dei diritti dei lavoratori» si caratterizzi «in ragione del­l’evoluzione dei rimedi apprestati dall’ordinamento e dalla giurisprudenza a tu­tela dei diritti della persona … diversificati, ma pur sempre accomunati dal­l’intento di garantire l’effettiva soddisfazione dei diritti e degli interessi lesi». Posto il fine di «far conseguire al soggetto adempiente il bene giuridico del quale il comportamento inadempiente dell’altro contraente lo ha privato» e, quin­di, di preservare l’osservanza della disciplina giuslavoristica e l’effettivo godimento dei diritti da questa previsti, rilevanza preminente vengono ad assumere, infatti, tecniche di tutela aventi natura “reale”, “ripristinatoria” ed anche di “coercizione indiretta” [2]. Mentre valenza solo residuale tende invece ad ascriversi, in tale prospettiva, alla tutela di carattere “risarcitorio”: «poiché obiettivo della tutela giurisdizionale è quello di ristabilire per lo più le condizioni anteriori alla commissione del fatto illecito, laddove il risarcimento consiste, di norma, nell’offrire al soggetto danneggiato una soddisfazione per equivalente attraverso la compensazione pecuniaria del pregiudizio economico patito» [3]. Ma fermo restando che la tutela risarcitoria può a sua volta essere comunque «prospettata in chiave di pena privata o in funzione sanzionatoria», parallelamente od anche a prescindere dalla sua funzione tipica di “ristoro del pregiudizio” [4]. Nel solco di tali guidelines è andato evolvendosi negli anni il diritto del lavoro, a partire dall’entrata in vigore della legge n. 300/1970 e, segnatamente, delle molteplici ipotesi di scuola di tutela “reale”, “risarcitoria integrale” e di “coercizione indiretta” con questa messe in campo (cfr. art. 18 e anche artt. 15, 16, e 28, legge n. 300 cit.). Ciò essenzialmente nel senso di un incremento del livello di protezione rispetto agli standard ordinari di tutela del diritto civile e comunque in virtù del maggior grado di effettività della normativa giuslavoristica perseguito mediante moduli sanzionatori in vario modo alternativi a quelli [continua ..]


2. La portata protettiva delle tecniche sanzionatorie giuslavoristiche rispetto ai canoni ordinari del diritto civile

Nella rilevanza e peculiarità delle posizioni soggettive e interessi implicati, molti dei quali di carattere personale e di natura primaria, è notoriamente individuato il fondamento dell’articolato apparato di tutele posto a protezione del lavoratore contraente debole sottoposto all’esercizio dei poteri datoriali, nonché il correlato interesse generale all’osservanza e all’effettività della norma lavoristica [7]. È in questo senso che l’impianto delle tutele del diritto del lavoro è andato caratterizzandosi nel tempo in ragione di una più elevata valenza prescrittiva ed effettività della disciplina lavoristica rispetto ai tradizionali canoni civilistici di carattere riparatorio-risarcitorio ex artt. 1218 e 2043 c.c. (e norme collegate). Al cospetto di diritti e interessi fondamentali della persona del lavoratore, quali quello all’occupazione, alla retribuzione, all’integrità psicofisica e alla salute, alla professionalità, alla non discriminazione, ecc., si conviene, infatti, che la responsabilità civile debba primariamente assolvere ad una funzione ripristinatoria dello status quo ante e di riaffermazione del potere sanzionatorio dello Stato, nonché, quindi, anche ad una funzione deterrente. In luogo di una tutela di taglio meramente risarcitorio, è così che è dato spazio alla prefigurazione di moduli sanzionatori volti ad assicurare l’effettività della normativa lavoristica [8], sia pure nei limiti della risaputa connaturata incoercibilità e infungibilità dell’esercizio dei poteri datoriali [9]. E tanto rilevandosi che «ogni qual volta il risarcimento è riconosciuto indipendentemente dalla prova del danno (o quando il danno è escluso) ... il rimedio abbia un’altra funzione ... quella di sanzionare un comportamento illecito e di svolgere, in via preventiva, una vis compulsiva affinché la regola sia rispettata e i diritti dei lavoratori non siano conculcati» [10]. Nella stessa logica di un incremento degli standard di protezione giuslavoristici, sempre quale variazione rispetto ai canoni ordinari della responsabilità civile ex artt. 1218 e 2043 c.c., rileva, al contempo, la possibile non considerazione precipua del danno concretamente procurato in relazione alla struttura delle singole fattispecie [continua ..]


3. Il ridimensionamento degli standard di tutela del diritto del lavoro secondo modelli sanzionatori risarcitori

Nell’epoca recente, tuttavia, le rimarcate caratteristiche di “realità”, effettività e lato sensu di “miglior favore” dei moduli sanzionatori giuslavoristici sono andate repentinamente regredendo, in corrispondenza peraltro al più generale processo di revisione che ha investito l’intero impianto delle tutele del diritto del lavoro. Ciò, anzitutto, quale necessario aggiornamento della disciplina lavoristica, notoriamente edificatasi, almeno a partire dallo Statuto dei lavoratori, in riferimento al modello del lavoratore subordinato “stabile” a tempo indeterminato e ad orario pieno dipendente di un’impresa medio-grande a carattere “fordista”: al cospetto delle radicali trasformazioni manifestatesi nei sistemi di organizzazione e produzione dell’impresa e del lavoro, nonché nelle tipologie di impiego della forza lavoro. Ma anche al dichiarato scopo di «rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione» (art. 1, comma 7, legge delega n. 183/2014): a fronte della cronica gravità della questione occupazionale, cercando cioè di incentivare l’impiego di manodopera mediante un alleggerimento delle tutele del diritto del lavoro e, quindi, così instaurando un rapporto diretto tra ragioni dell’economia e normativa giuslavoristica, peraltro secondo un’impostazione da più parti criticata e avversata, ma che comunque è nei fatti, giacché enunciata e concretamente svolta in sede già di riforma c.d. Fornero (v. art. 1, comma 1, legge n. 92/2012) e, quindi, di rifor­ma del Jobs Act (cfr. ancora art. 1, comma 7, legge delega n. 183/2014 e dd.lgs. nn. 23/2015, 81/2015, 148-151/2015) [12]. Tale processo di revisione del diritto del lavoro è venuto a manifestarsi anche in merito alle tecniche sanzionatorie in tema di licenziamento, nel senso di una sensibile restrizione della valenza operativa della tutela reale ex art. 18, legge n. 300/1970 e comunque di un decremento in generale degli standard di protezione. Prevista ex art. 18 “vecchia formula” in riferimento indistinto ad ogni ipotesi di vizio del licenziamento, e comunque riconosciuta quale regola di portata applicativa generale, in luogo di una mera tutela risarcitoria ex legge n. 604/1966, a meno della dimostrata non ricorrenza dei [continua ..]


4. L’espansione di tipologie di tutela (solo) risarcitorie in tema di licenziamenti

Una tutela di natura risarcitoria viene dunque ad affermarsi quale modulo sanzionatorio ormai in larga parte prevalente in tema di licenziamenti, al di là delle sue articolazioni in relazione alle diverse ipotesi di vizi del licenziamento e degli stessi distinguo prospettati in ragione del dimensionamento e distribuzione degli organici aziendali (cfr., rispettivamente, art. 18, legge n. 300 e art. 8, legge n. 604/1966, nonché artt. 3 e 9, d.lgs. n. 23/2015), della natura individuale o collettiva dei licenziamenti (cfr. art. 18, legge n. 300 e art. 5, comma 3, legge n. 223/1991, nonché artt. 3 e 10, d.lgs. n. 23), ed anche della stessa data di assunzione (in relazione ai lavoratori con contratto a tutele crescenti ex d.lgs. n. 23). Caratteristica ricorrente dei differenti regimi risarcitori è tuttavia quella di essere prefigurati, non secondo i canoni ordinari civilistici dell’equivalenza o comunque della proporzione al “pregiudizio subito”, ma sulla scorta di altri criteri e, comunque, senza una corrispondenza diretta al danno patito dal lavoratore per il licenziamento contra legem. Ciò avviene in sostanziale continuità con il risarcimento del danno stabilito nel caso di reintegrazione nel posto di lavoro ex art. 18, legge n. 300 “vecchia formula”. Ma con la rilevante novità che, mentre ai sensi della disciplina previgente la deroga ai canoni civilistici era in senso essenzialmente “più favorevole” per il lavoratore – in ragione della presunzione del danno nella misura delle retribuzioni non percepite dal licenziamento all’effettiva reintegra, con il limite minimo di cinque mensilità, senza nemmeno l’indicazione espressa della detrazione del c.d. aliunde perceptum-, a registrarsi è, invece, oggi, il generale assestamento delle tutele in tema di licenziamento su standard di protezione inferiori rispetto all’ordinaria tutela in tema di risarcimento del danno ex artt. 1218 e 2043 c.c. (e norme collegate). Quale termine di determinazione del risarcimento da liquidarsi permane il riferimento alla retribuzione mensile (globale di fatto, oppure quella utile ai fini del t.f.r.: cfr., rispettivamente, art. 18, legge. n. 300 e art. 8, legge n. 604, nonché d.lgs. n. 23/2015). Eccetto però i casi residuali di reintegrazione “forte”, con una tutela risarcitoria piena pari alle retribuzioni non percepite [continua ..]


5. L’autonomia del legislatore nell’opzione per moduli di tutela in deroga in peius al diritto civile

Più di una voce di dissenso è emersa in relazione al prospettato declinare delle tecniche sanzionatorie lavorisitiche: in riferimento, anzitutto, alla contrazione del­l’area di applicazione della tutela reintegratoria ex art. 18 ad ipotesi sempre più limitate [23], ma anche in ordine alla stessa congruenza dei moduli risarcitori in tal senso delineati. Ciò fino alla proposizione di apposita questione di legittimità costituzionale in ordine all’indennità ex artt. 2, 3 e 4, d.lgs. n. 23/2015, opinandosene la non conformità «al diritto del lavoro, valore fondante della Carta» giacché «avrebbe dovuto essere ben più consistente ed adeguata» in quanto «la piccola somma risarcitoria prevista» non ha «carattere compensativo né dissuasivo» e «non costituisce adeguato ristoro per i lavoratori ... ingiustamente licenziati» [24]: con pronunzia di accoglimento parziale da parte di Corte cost. n. 194/2018 nei termini di cui si è già detto sopra. Mentre invece non è stata data ancora risposta dalla Consulta riguardo un’ulte­riore autonoma questione di costituzionalità sollevata sempre in relazione all’in­dennità risarcitoria in parola in riferimento ai licenziamenti collettivi ex art. 10, d.lgs. n. 23/2015 (e norme collegate), opinandosene l’irragionevolezza e la non conformità, sotto vari profili, a più parametri costituzionali (id est, artt. 3, 4, 10, 24, 35, 38, 41, 76, 111 e 117 Cost.), perché di natura solo indennitaria non proporzionata al danno causato dall’illegittima perdita del posto di lavoro, oltreché priva di efficacia deterrente, in riferimento ai lavoratori con contratto a tutele crescenti, in virtù del loro trattamento deteriore, nell’ambito di una medesima procedura di licenziamento collettivo, rispetto ad altri lavoratori invece rientranti nel campo di applicazione dell’art. 18, legge n. 300 [25]. E con la congruenza della tutela risarcitoria in tema di licenziamenti collettivi ex d.lgs. n. 23/2015 che, al contempo, risulta rimessa al vaglio pure della Corte di Giustizia Europea, in relazione al disposto degli artt. 20, 21, 30 e 47 CDFUE e dell’art. 24 della Carta Sociale Europea, perché limitata «ad un rimedio meramente indennitario caratterizzato da un plafond [continua ..]


6. Segue: i limiti alla deroga in peius al diritto civile; l’indennità ex comma 1, art. 3, d.lgs. n. 23/2015

Pur in assodata mancanza di una copertura costituzionale sia per una tutela “reintegratoria”, sia per una stessa tutela risarcitoria riparatoria-compensativa del­l’intero pregiudizio patito [33], va comunque assicurata una congruenza di fondo della medesima tutela risarcitoria in favore del lavoratore illegittimamente licenziato, che valga quale sintesi equilibrata e razionale dei diritti e dei molteplici interessi contrapposti da contemperare al riguardo. Ciò sempre in linea alle prescrizioni in materia della consolidata giurisprudenza costituzionale. Ove, posta l’esigenza di una limitazione del potere di recesso datoriale, ex art. 4 Cost., è infatti stabilito dalla Consulta che la sua attuazione permanga «affidata alla discrezionalità del legislatore ordinario, quanto alla scelta dei tempi e dei modi, in rapporto ovviamente alla situazione economica generale»[34], in «bilanciamento dei valori sottesi agli artt. 4 e 41 Cost.», pure precisando che «il legislatore ben può, nell’esercizio della sua discrezionalità, prevedere un meccanismo di tutela anche solo risarcitorio-monetario (sentenza n. 303/2011), purché un tale meccanismo si articoli nel rispetto del principio di ragionevolezza ... (e) purché sia garantita l’adeguatezza del risarcimento» [35] e con l’indicazione espressa che il risarcimento, «ancorché non necessariamente riparatorio dell’intero pregiudizio subito dal danneggiato, deve essere necessariamente equilibrato ... tale da realizzare un adeguato contemperamento degli interessi in conflitto», essendo in ogni caso da «garantire una calibrata modulazione del risarcimento dovuto ... all’interno di un sistema equilibrato di tutele, bilanciato con i valori dell’impresa» [36]. La previsione di una tutela risarcitoria anche di livello inferiore rispetto agli ordinari canoni civilistici risarcitori, pertanto, è in linea di principio da ritenersi sì consentita, ma sempre che rilevi un valido fondamento razionale a sua giustificazione e comunque soltanto a fronte di una sintesi equilibrata dei contrapposti interessi del “lavoro” e della “impresa” (artt. 4 e 41 Cost.). Quando, in merito al contratto di lavoro a tutele crescenti, a giustificazione della tutela risarcitoria “ridotta” ex artt. 3, 4, 9 e 10, [continua ..]


7. La devoluzione alla “valutazione discrezionale” del giudice della determinazione del quantum delle tutele risarcitorie lavoristiche: criteri guida, congruenza e verificabilità delle decisioni

Pur rimessa ormai, in via largamente prevalente, la determinazione dell’in­dennità risarcitoria per il licenziamento illegittimo alla “valutazione discrezionale del giudice”, non risulta, tuttavia, un’elaborazione interpretativa compiuta al riguardo sul piano applicativo, il più delle volte mancando, anzi, la stessa rappresentazione dei termini di esplicazione di tale valutazione discrezionale da parte dei giudici. Il richiamo agli indicati criteri guida dell’anzianità di servizio, del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica e del comportamento e condizioni delle parti è, infatti, in giurisprudenza, spesso solo generico, senza che sia esplicitata la valenza loro ascritta e tantomeno quello che ne è stato l’apprezzamento discrezionale nella quantificazione della medesima indennità. Ciò in forma senz’altro insoddisfacente, giacché la determinazione discrezionale dell’indennità non può risolversi in arbitrio, essendo il giudice ancor più tenuto a dar conto del suo percorso logico e valutativo, anzi, proprio quando è chiamato a decidere secondo discrezionalità, affinché della sua pronunzia sia verificabile la razionalità e la conformità ai parametri di giudizio ai quali deve attenersi. Giudice che, infatti, nella circostanza, si conviene che «deve esternare il percorso effettuato per pervenire a una tale valutazione mediante una motivazione che ne attesti la natura razionale, fondata su dati specifici e non su un asserto arbitrario» [37] e che, quindi, nel caso di quantificazione discrezionale del danno da risarcire sulla scorta di una molteplicità di fattori, «è chiamato a dare conto, in motivazione, del peso specifico attribuito ad ognuno di essi, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato del rispetto dei principi» ai quali va informata la sua decisione [38]. Tanto più alla luce della prescrizione espressa di un «onere di specifica motivazione a tale riguardo» ai sensi del comma 5, art. 18, legge n. 300: disposizione, questa, alla quale è fatto segnato richiamo dalla Corte Costituzionale anche per il contratto a tutele crescenti ex d.lgs. n. 23/2015, precisando che, nel caso, «tale [continua ..]


8. Considerazioni conclusive

Senz’altro sostanziale è, dunque, il mutamento di scenario delineatosi in tema di tecniche sanzionatorie lavoristiche, in virtù del passaggio, nel volgere di pochi anni, da una consolidata «generale tendenza dell’ordinamento verso il rafforzamento di tutele sattisfattive solo a certe condizioni surrogate dalla tutela risarcitoria» [43], in ogni caso con il prevalere di elevati livelli di protezione, alla progressivamente sempre più marcata propensione del diritto del lavoro verso moduli rimediali di natura solo “risarcitoria” di portata protettiva il più delle volte inferiore rispetto ai canoni ordinari civilistici. Un tale declinare delle tutele giuslavoristiche si è visto non essere stricto iure revocabile in discussione nell’an: in mancanza di vincoli costituzionali, secondo l’interpretazione consolidata della Consulta, rispetto all’adozione in sé di rimedi risarcitori, in luogo di moduli sanzionatori di natura “reale”, né riguardo l’entità delle medesime tutele risarcitorie, e comunque anche in ragione dell’au­tonomia riservata al riguardo al legislatore. Senza che in questo senso, però, risulti aperto il campo anche ad un possibile indefinito degradare ad libitum delle tecniche sanzionatorie, trattandosi comunque di verificare sia il quomodo sia il quantum dell’evoluzione delle (sia pur ridotte) tutele giuslavoristiche. Ciò, anzitutto, in considerazione dell’imprescindi­bile grado di protezione comunque da assicurare ai valori e interessi fondamentali della persona del lavoratore (e anche dell’impresa [44]) implicati, nonché ferma restando la necessaria giustificazione che deve ad ogni modo rilevare a fondamento di qualsiasi modulo sanzionatorio di portata protettiva inferiore agli standard civilistici, sempre nei limiti del rispetto dei dettami costituzionali. Esclusa in questa sede ogni considerazione di “merito” in ordine alla condivisibilità dell’opzione in sé da parte del legislatore lavorista verso tecniche sanzionatorie risarcitorie, anche perché come detto rientrante nella sua autonomia, un’innega­bile riserva appare tuttavia da serbare riguardo la ricorrente rimessione in tal senso alla “valutazione discrezionale” del giudice della quantificazione della tutela risarcitoria, sia pure [continua ..]


NOTE