Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
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Brevi cenni sui primi orientamenti della giurisprudenza penale in tema di reddito di cittadinanza (di Adriano Morrone, Professore a contratto di Sicurezza del lavoro – Università degli Studi di Roma “Luiss Guido Carli”.)


Cassazione penale, Sez. III, 25 ottobre 2019, n. 5290 – Pres. Sarno-Rel. Andronio

Ai sensi dell’art. 7, decreto legge n. 4/2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26/2019, il sequestro preventivo della carta reddito di cittadinanza, nel caso di false indicazioni od omissioni di informazioni dovute, anche parziali, da parte del richiedente, può essere disposto anche indipendentemente dall’accertamento dell’effettiva sussistenza delle condizioni per I’ammissione aI beneficio.

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SOMMARIO:

1. Reddito di cittadinanza e sanzione penale - 2. L’intervento della Corte di Cassazione - 3. I dubbi di legittimità costituzionale delle nuove figure di reato - NOTE


1. Reddito di cittadinanza e sanzione penale

Con la sentenza 25 ottobre 2019, n. 5290, depositata il 10 febbraio 2020, la III Sezione penale della Corte di Cassazione ha sancito il principio di diritto secondo cui “ai sensi dell’art. 7 del d.l. n. 4 del 2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 2019, il sequestro preventivo della carta reddito di cittadinanza, nel caso di false indicazioni od omissioni di informazioni dovute, anche parziali, da parte del richiedente il reddito di cittadinanza, può essere disposto anche indipendentemente dall’accerta­mento dell’effettiva sussistenza delle condizioni per l’ammissione al beneficio” [1]. Pur essendo incentrata sulla corretta applicazione della misura cautelare, la pronuncia dei giudici della legittimità si sofferma sui profili sostanziali delle fattispecie incriminatrici introdotte dal legislatore a presidio della corretta erogazione del reddito di cittadinanza, individuandone la ratio e fornendo elementi utili per il corretto inquadramento delle medesime. Appartenente alla famiglia dei redditi minimi garantiti, il reddito di cittadinanza è rivolto ai nuclei familiari poveri e, a fronte di un tratto universale solo apparente, si connota come strumento condizionato e selettivo che richiede ai beneficiari di farsi parte attiva nel mercato del lavoro [2]. Infatti, presupposti per il riconoscimento del beneficio economico sono, oltre alla residenza/cittadinanza, la condizione di povertà desumibile da specifici requisiti patrimoniali/reddituali (in primis l’indicatore di situazione economica equivalente inferiore a 9.360 euro) e la disponibilità del beneficiario verso il lavoro, manifestata attraverso la sottoscrizione con il centro per l’impiego di un patto per il lavoro, per la formazione o per l’inclusione sociale. Ebbene, proprio per assicurare la selettività della misura di inclusione sociale, il legislatore ha introdotto le figure delittuose sulle quali si è soffermata la Suprema Corte. Figure riconducibili al tema degli abusi, tipico del reddito di cittadinanza e particolarmente sensibile in una fase di scarsità di risorse economiche pubbliche, “laddove l’utilizzo indebito di una prestazione assistenziale a tratto universale viene favorito, per un verso, dalla dimensione del fenomeno del lavoro sommerso, per l’altro, dal nuovo atteggiarsi della famiglia che, se recupera identità dalla [continua ..]


2. L’intervento della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato che entrambe le fattispecie si configurano come reati di condotta e di pericolo [5], in quanto dirette a tutelare l’amministrazione contro dichiarazioni mendaci e omissioni circa l’effettiva situazione patrimoniale e reddituale da parte di soggetti che intendono accedere o già hanno acceduto al reddito di cittadinanza. Ne consegue che, ai fini dell’integrazione delle due figure di reato, non assume rilievo il verificarsi del danno patrimoniale a carico dell’ente previdenziale erogatore della prestazione e i delitti hanno natura istantanea giacché nel primo caso il reato si consuma al momento della presentazione della domanda tesa ad ottenere il beneficio assistenziale, mentre nel secondo caso la consumazione si avrà con la scadenza del termine previsto dalla legge per la comunicazione obbligatoria. Va, peraltro, considerato che la fattispecie ex comma 1 del citato art. 7 si configura come reato complesso, ricomprendendo nella sua struttura il delitto di falso. Con l’introduzione di autonome figure di reato, appartenenti alla categoria dei reati di pericolo, il legislatore ha operato un’anticipazione di tutela ad un momento anteriore al verificarsi del danno patrimoniale a carico dell’ente previdenziale, sanzionando quelle condotte illecite prodromiche all’indebita percezione del sostegno economico e sorrette, nell’ipotesi di cui al comma 1 del citato art. 7, dall’elemento psicologico del dolo specifico, il quale ricomprende la coscienza e volontà dell’azione fraudolenta o dell’omissione finalisticamente orientate a conseguire indebitamente il beneficio del reddito (o pensione) di cittadinanza. Ed anzi, ad avviso della Suprema Corte la punibilità del reato di condotta si spinge ben oltre il pericolo di un profitto ingiusto, rapportandosi al dovere di lealtà del citta­dino verso le istituzioni dalle quali riceve un beneficio economico. Per tale via i giudici giungono a concludere che le fattispecie in argomento trovano applicazione indipendentemente dall’accertamento dell’effettiva sussistenza delle condizioni per l’am­missione al beneficio. Più precisamente, i delitti vengono integrati da falsità od omissioni nelle dichiarazioni o comunicazioni per l’attestazione della situazione patrimoniale che dà titolo al reddito di cittadinanza, anche se il [continua ..]


3. I dubbi di legittimità costituzionale delle nuove figure di reato

A prima vista sembrerebbero, quindi, fugati i dubbi di legittimità costituzionale scaturenti da una prima lettura dell’art. 7, decreto legge n. 4/2019, visto che l’interpre­tazione data dalla Corte di Cassazione della disciplina in tema di gratuito patrocinio, ora estesa al reddito di cittadinanza, è stata ritenuta non in contrasto con la Costituzione – e, in particolare, con gli artt. 2, 3, 24 e 27 – perché attinge al generale dovere di lealtà dei cittadini verso l’amministrazione, che consente l’anticipazione della tutela penale attraverso l’utilizzazione dello strumento del reato di pericolo [7]. In realtà i dubbi permangono perché la ricostruzione delle figure di reato in esame, operata dalla Suprema Corte, individua sostanzialmente come bene giuridico tutelato l’ottemperanza al dovere di lealtà del cittadino verso l’amministrazione che eroga la provvidenza in suo favore. Al contrario, la fattispecie ex comma 1 dell’art. 7 ha natura plurioffensiva in quanto alla tutela della veridicità delle informazioni rese alla pubblica amministrazione tipica dei reati di falso si affianca il buon andamento dell’amministrazione stessa nella forma della corretta erogazione delle risorse pubbliche, mentre il delitto ex comma 2 è un reato di pericolo di natura monoffensiva, essendo identificabile il bene giuridico tutelato esclusivamente nel buon andamento della pubblica amministrazione sempre sotto il profilo della corretta erogazione delle risorse pubbliche. Se tali affermazioni sono corrette non si può ignorare il fatto che il bene giuridico sotteso alla disciplina sanzionatoria in tema di reddito di cittadinanza coincida sostanzialmente con quello tutelato dal reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche contemplato dall’art. 316 ter c.p., il quale punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni “chiunque mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee”. Si tratta di un illecito penale le cui condotte possono essere sovrapposte a quelle [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2020