Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
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È possibile applicare d'ufficio l'art. 2, d.lgs. n. 81/2015 quando la domanda viene proposta solo ai sensi dell'art. 2094 c.c.? (di Paolo Iervolino, Dottorando di Ricerca in Diritto del lavoro – Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”.)


Tribunale di Roma, Sez. lav., sentenza 19 novembre 2019, n. 10269

Se il lavoratore richiede in via giudiziale solo l’accertamento del vincolo di subordinazione ex art. 2094 c.c., anche in assenza di una specifica causa petendi, è possibile applicare d’ufficio le tutele di cui all’art. 2, d.lgs. n. 81/2015.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Il Tribunale di Roma - 3. Collaborazioni organizzate dal committente - 4. Corrispondenza tra chiesto e pronunciato - 5. È nata una nuova causa petendi ricompresa nel petitum della subordinazione, meritevole comunque di tutela - NOTE


1. Premessa

Diceva Alek Wek che “Bisogna sempre puntare alla luna. Mal che vada, si è comunque arrivati in mezzo alle stelle”. Insomma, si deve sempre puntare al massimo perché mal che vada raggiungere le stelle non è comunque un fallimento. Un principio applicabile tanto nella vita, quanto nel diritto dopo che la Corte di Cassazione con la sentenza n. 1663/2020 sul caso riders ha voluto “incoraggiare interpretazioni non restrittive” della nozione di lavoro etero-organizzato ex art. 2 d.lgs. n. 81/2015. Anticipando di qualche mese l’incoraggiamento della Suprema Corte, è in un certo senso quello che è successo al ricorrente del caso in esame, il quale, chiedendo esclusivamente l’accertamento del vincolo di subordinazione, si è visto invece riconoscere le tutele per mezzo dell’art. 2, d.lgs. n. 81/2015 così positivizzate già dalla nota Corte d’Appello di Torino in materia di riders (e confermate recentemente in sede di legittimità con la citata sentenza n. 1663/2020). Ma fino a che punto può spingersi un giudice del lavoro con i suoi poteri? Perché, stando alla sentenza, il ricorrente non aveva richiesto l’applicazione del­l’art. 2, d.lgs. n. 81/2015 mentre, per il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato “il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa; e non può pronunciare d’ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle parti” (art. 112 c.p.c.). Si tenterà, dunque, di valutare (e di comprendere) con il presente contributo l’iter logico argomentativo utilizzato dal giudice con la sentenza in esame e di capire se sia o meno nata una nuova causa petendi su cui poter fondare i ricorsi, dato che, come sembra, nella peggiore delle ipotesi, “nel più” della subordinazione “è sempre ricompreso il meno” dell’etero-organizzazione.


2. Il Tribunale di Roma

Sebbene le conclusioni del ricorrente fossero molto generiche appare evidente come questi abbia richiesto in via primaria esclusivamente di “accertare che il sig. […] ha lavorato con vincolo di subordinazione per la […], per il periodo intercorrente tra l’inizio del mese di ottobre 2017 e la fine del mese di marzo 2018 con le mansioni di operaio edile specializzato”. Ancor più evidente è che il ricorrente non chiedesse in subordine l’applicazione dell’art. 2, d.lgs. n. 81/2015, ma “per gli effetti condannare […] al pagamento in favore del sig. […] della somma complessiva di Euro 4.630,74 avente titolo nelle retribuzioni non corrisposte, nei ratei di mensilità aggiuntive e nel T.F.R. ugualmente non corrisposti, nonché nel rimborso delle spese anticipate in favore della società per l’acquisto di strumenti da lavoro per l’importo di Euro 244,10”. Di contro, la Società resistente si limitava a difendersi sostenendo “nel merito l’insussistenza del dedotto rapporto di lavoro subordinato rilevando di avere intrattenuto con il ricorrente un rapporto di sub appalto per lo svolgimento di opere idrauliche ed impiantistiche nell’ambito di alcune committente ricevute per la ristrutturazione di immobili”. Concludeva invece il giudice riguardo la domanda di accertamento della subordinazione che “In assenza di dimostrazione del rimborso di tali somme da parte della società si ritiene conforme a diritto qualificare la prestazione resa dal ricorrente come autonoma ma etero-organizzata con conseguente applicazione dell’art. 2 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81” condannando la società convenuta al pagamento di una somma di euro 4.386,64 a titolo di trattamento economico riconosciuto da febbraio a marzo, ratei delle mensilità aggiuntive e TFR. Il ricorrente era etero-organizzato e non subordinato poiché “Nel caso di specie le testimonianze raccolte hanno chiaramente messo in evidenza una serie di indici che in modo univoco portano ad escludere un’organizzazione autonoma dell’attivi­tà lavorativa svolta dal ricorrente in favore della società convenuta. Egli infatti, lavorava con continuità, era inserito nell’organizzazione imprenditoriale del sig. […] che lo pagava a cadenze fisse con somme predeterminate ed organizzava la sua [continua ..]


3. Collaborazioni organizzate dal committente

Senza addentrarsi all’interno delle varie interpretazioni delle collaborazioni organizzate dal committente [1], basti rilevare in questa sede che secondo un’autorevole dottrina [2] le principali teorie ruotano attorno alle tre ipotesi ricostruttive: 1) l’art. 2, d.lgs. n. 81/2015 riveste natura di norma ampliativa della fattispecie di subordinazione [3]; 2) l’art. 2, d.lgs. n. 81/2015 è una norma “apparente” che non modifica in alcun modo il campo di applicazione delle tutele [4]; 3) l’art. 2, d.lgs. n. 81/2015 estende le tutele del lavoro subordinato a una nuova categoria di collaborazioni autonome [5]. Tuttavia, sebbene la dottrina giuslavoristica si fosse interrogata nel corso degli ultimi anni sul significato da attribuire alla norma, la giurisprudenza ha preferito in questi anni sottovalutare completamente la portata delle nuove collaborazioni organizzate dal committente e, di conseguenza, anche gli stessi avvocati non hanno individuato nell’art. 2, d.lgs. n. 81/2015 una nuova causa petendi più antielusiva del precedente contratto a progetto [6]. Questo fin quando però alcuni riders hanno deciso nel 2017 di chiedere in via primaria, l’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con la nota azienda Foodora ed in via subordinata, l’applicazione della norma di cui all’art. 2, d.lgs. n. 81/2015. Mentre in primo grado i ciclofattorini hanno visto rigettare entrambe le domande, nel secondo grado hanno visto accogliere la domanda richiesta in via subordinata. La Corte d’Appello [7] ha così affermato che l’applicazione della disciplina del rap­porto di lavoro subordinato, nelle collaborazioni etero-organizzate, non avviene mediante la conversione legale del rapporto di collaborazione etero-organizzato, ma mediante una estensione [8] della predetta disciplina al rapporto autonomo [9].


4. Corrispondenza tra chiesto e pronunciato

Un principio cardine del nostro ordinamento è la “corrispondenza tra chiesto e pronunciato”, che trova, nell’art. 112 c.p.c., la sua consacrazione e, nell’art. 163 c.p.c. (per quel che rileva nel nostro caso, art. 414 c.p.c.), il suo presupposto. L’atto di citazione è infatti il veicolo processuale attraverso cui si esplica la richiesta di produzione di effetti giuridici tutelati dal nostro ordinamento [10] ed il dovere di protezione del giudice sorge solo in conseguenza di tale deduzione giudiziale. In questo senso, lo spazio di autonomia del giudice, da un lato, è circoscritto dal­l’art. 112 c.p.c., che gli impone di pronunciarsi su tutta la domanda, ma non oltre i limiti di essa, e dall’altro, dall’art. 113 c.p.c., che gli consente di poter fare riferimento a tutte le norme del diritto e non solo a quelle richiamate dalla parte. Secondo il principio “Iura novit curia” di cui all’art. 113 c.p.c., pertanto, il giudice può utilizzare le norme di diritto che ritiene applicabili al caso concreto, se capaci di tutelare il diritto dedotto in giudizio ed assicurare il petitum richiesto dalla parte [11]. Ovviamente però, come preannunciato, il potere del giudice non è sconfinato, poiché il principio di “corrispondenza tra chiesto e pronunciato” circoscrive la decisione all’interno del petitum richiesto in via principale ed in via subordinata da colui che agisce in giudizio: “La violazione del principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, fissato dall’art. 112 c.p.c., sussiste quando il giudice attribuisca, o neghi, ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno virtualmente, nella domanda, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda; tale violazione, invece, non ricorre quando il giudice non interferisca nel potere dispositivo delle parti e non alteri nessuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione” [12]. Il giudice è dunque vincolato rispetto ai fatti allegati, mentre è invece libero rispetto alle norme da poter utilizzare, con il solo limite di non dover sconfinare al di fuori della domanda. Un’adeguata valutazione della [continua ..]


5. È nata una nuova causa petendi ricompresa nel petitum della subordinazione, meritevole comunque di tutela

Come si è tentato in precedenza di dimostrare, nel caso analizzato non sussiste alcun tipo di violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, poiché il giudice si è limitato a ritenere, nell’ambito dei suoi autonomi poteri di qualificazione, che non ricorresse una fattispecie di lavoro subordinato, ma che nel petitum fosse comunque ricompresa una fattispecie di lavoro autonomo meritevole delle stesse garanzie sostanziali di cui all’art. 2, d.lgs. n. 81/2015. Un riconoscimento d’ufficio, quello operato dal giudice, possibile, dunque, senza che fosse necessaria una specifica causa petendi sul punto da parte del ricorrente, dato che per dimostrare il vincolo di subordinazione bisogna comunque “passare” – permettendo peraltro a controparte di difendersi – per l’etero-organizzazione. La qualificazione giuridica dei fatti e della domanda giudiziale (ovvero l’inter­pretazione della stessa) operata dal giudice non ha così comportato la violazione del principio di “corrispondenza tra chiesto e pronunciato” poiché non ha alterato gli elementi identificativi dell’azione del ricorrente, il quale richiedeva l’applicazione delle tutele di cui all’art. 2094 c.c. Il giudice allora – non ritenendo sussistenti tutti gli elementi identificativi della subordinazione capaci di far convertire il rapporto di lavoro – ha dichiarato la natura etero-organizzata della collaborazione. Le collaborazioni organizzate dal committente sono infatti delle collaborazioni (non) coordinate e continuative con un quid pluris meritevole dell’applicazione delle tutele del lavoro subordinato, poiché si manifestano attraverso una unilaterale etero-organizzazione del committente. Queste nuove collaborazioni però non sono nella sostanza subordinate, dato che nel concreto difettano sempre di alcuni elementi tipici della etero-direzione. In altre parole, il legislatore ha compreso che, come “una rondine non fa primavera”, una etero-organizzazione non fa subordinazione (e conversione), ma può quantomeno determinare – a differenza del passato – un’estensione delle sue tutele. La “disciplina del rapporto di lavoro subordinato” diviene così il giusto compromesso da applicare a quelle collaborazioni, sicuramente meno autonome rispetto a quelle stabilite ora dal nuovo art. [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2020