Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


L'accesso degli stranieri alle prestazioni sociali: una nuova questione di costituzionalità in materia di assegno sociale (di Lucia Viola, Assegnista di ricerca in Diritto del lavoro – Università del Salento)


>

Cassazione civile, Sez. Lav., ordinanza 8 marzo 2023, n. 6979 – Pres. U. Berrino – Rel. L. Cavallaro

< >

L'art. 80, comma 19, della legge n. 388/2000 – nella parte in cui, per i cittadini extracomunitari, condiziona la corresponsione dell'assegno sociale al possesso della ex carta di soggiorno – appare suscettibile di porre dubbi sia in relazione alla Costituzione che alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (e al diritto derivato dell’Unione). Ravvisandosi dunque una ipotesi di c.d. doppia pregiudizialità, si ritiene di dover privilegiare, in prima battuta, la questione di legittimità del succitato articolo in relazione agli artt. 3 e 38, comma 1, Cost., nonché in relazione agli artt. 11 e 117 Cost., con riferimento all’art. 34 CDFUE e all’art. 12 della Direttiva 2011/98/UE.

<
SOMMARIO:

1. Premessa - 2. L’accesso degli stranieri alle prestazioni sociali: il ruolo della giurisprudenza - 3. Alcuni provvedimenti della Corte costituzionale. Cenni - 4. L’ordinanza n. 6979: l’iter logico-argomentativo della Corte di Cassazione - NOTE


1. Premessa

L’ordinanza in epigrafe involge la questione delle prestazioni sociali a favore dei cittadini extracomunitari [1], con particolare riguardo alla problematica dell’ac­cesso di questi alle prestazioni non contributive [2]. L’ordinanza, infatti, trae origine dalla vicenda di una cittadina di Paese extra-UE, regolarmente soggiornante in Italia, alla quale era stata negata dall’Inps la corresponsione dell’assegno sociale. Tale assegno – istituito dall’art. 3, comma 6, della legge n. 335/1995 [3] – è un trattamento [4] il cui riconoscimento prescinde totalmente dal versamento dei contributi. Di questa prestazione, infatti, possono beneficiare i soggetti residenti in Italia, con età pari almeno a 67 anni, che si trovano in condizioni economiche disagiate (cioè, coloro che possiedono redditi di importo inferiore ai limiti previsti dalla legge) [5]. Per beneficiare della provvidenza è inoltre necessario che il richiedente abbia soggiornato legalmente, e in via continuativa, in Italia per almeno 10 anni [6]. Se vengono rispettati i suddetti requisiti, la misura in discorso viene riconosciuta ai cittadini italiani e ai cittadini di altro Stato UE. La prestazione è anche riconosciuta, ricorrendo tutte le condizioni sopra indicate, ai cittadini extracomunitari purché muniti di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Difatti, l’art. 80, comma 19 della legge n. 388/2000 (legge finanziaria 2001; d’ora in poi art. 80), in deroga alle previsioni contenute nel d.lgs. n. 286/1998, ha riconosciuto il diritto alla fruizione dell’assegno sociale e delle provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali ai soli stranieri titolari di carta di soggiorno (oggi permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo), negando quindi l’accesso a dette prestazioni agli extracomunitari titolari di altra tipologia di permesso di soggiorno [7]. Ed è proprio in relazione a quest’ultimo requisito, che la Corte di Cassazione, con l’ordinanza oggetto del presente commento, solleva la questione di legittimità costituzionale. Lo fa, peraltro, a soli quattro anni di distanza rispetto alla sentenza n. 50/2019, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato una precedente questione di legittimità costituzionale [continua ..]


2. L’accesso degli stranieri alle prestazioni sociali: il ruolo della giurisprudenza

L’ordinanza in commento, s’inserisce in una dinamica, in atto, caratterizzata da una “ondata giurisprudenziale [che] ha messo in moto un fitto dialogo tra Corte e giudici e tra questi e i giudici di Lussemburgo” [8] mirante ad ottenere una parità di trattamento, tra cittadini UE e cittadini extracomunitari, nella fruizione delle prestazioni sociali. Infatti, la contrazione della sfera soggettiva di tutela in materia di assegno sociale e di provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in materia di servizi sociali, ad opera del legislatore del 2000, ha indotto già da tempo i giudici (di merito e di legittimità) a sollevare molteplici questioni di costituzionalità relative proprio all’art. 80. A seguito di queste ordinanze di rimessione, la Corte costituzionale ha dichiarato in diverse occasioni la parziale illegittimità della norma in parola [9], indicando altresì i limiti entro cui è “possibile – in relazione alle singole prestazioni sociali – trattare in maniera diversa il cittadino extracomunitario rispetto al cittadino italiano” [10]. L’art. 80, perciò, ha subìto, proprio in conseguenza alle suddette pronunce di parziale illegittimità (in relazione a singole prestazioni), una progressiva erosione del suo campo di applicazione, ma non è mai stato dichiarato in toto incostituzionale. Con riferimento alle prestazioni per le quali la Consulta non ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 80, i giudici di merito hanno talvolta ritenuto di disapplicare detto articolo nella definizione delle singole controversie giunte alla loro attenzione. Ciò sulla scorta di un complesso normativo dell’UE ritenuto, da diversi giudici nazionali, direttamente applicabile [11], specialmente in relazione ad alcune prestazioni sociali. La strada della disapplicazione della norma interna per contrasto con una norma comunitaria a diretta applicazione, ad opera dei giudici di merito, non è stata però seguita in modo unitario. Alla luce del quadro qui brevemente delineato, appare quindi utile operare una disamina, senza pretesa di esaustività, delle più rilevanti sentenze in materia della Consulta, ponendo maggiore attenzione a quelle pronunce che la Cassazione richiama nell’iter argomentativo dell’ordinanza in commento.


3. Alcuni provvedimenti della Corte costituzionale. Cenni

In primis, ricordiamo una nota sentenza del 2010 (Corte cost., 28 maggio 2010, n. 187) con la quale la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 80, in relazione all’assegno di invalidità, perché in contrasto con gli artt. 2, 3, 32 e 38 Cost. nonché con l’art. 117 Cost. e con l’art. 14 CEDU. A partire da tale sentenza, si è affermato un indirizzo giurisprudenziale che ha utilizzato l’art. 14 CEDU come parametro interposto [12]. Proprio nell’ambito di questo indirizzo si pongono le precedenti ordinanze di rimessione (precedenti rispetto a quella del 2023, qui in commento), in materia di assegno sociale, che hanno condotto poi alla già citata sentenza n. 50/2019. Nelle ordinanze, due giudici di merito [13] denunciavano la violazione degli art. 3, 10, 38 e 117, comma 1, Cost. e dell’art. 14 CEDU. La Corte costituzionale, in una inaspettata quanto criticata pronuncia [14], respinge i dubbi di costituzionalità contenuti nelle anzidette ordinanze. Per quanto qui interessa, la Consulta chiarisce che rientra nella discrezionalità del legislatore la scelta di riservare alcune prestazioni ai soli cittadini italiani e agli stranieri in possesso del permesso UE di lungo periodo. Tale discrezionalità incontra come limite quello della garanzia del nucleo intangibile dei diritti fondamentali della persona umana. Secondo la Corte, però, l’assegno sociale sarebbe una provvidenza diversa rispetto alle altre prestazioni sociali (quale l’assegno di invalidità) in quanto non risponderebbe a bisogni primari della persona pertanto esulerebbe dal nucleo intangibile dei diritti fondamentali [15]. Sulla scorta di tali considerazioni, la Corte dichiara non discriminatorio né manifestatamente irragionevole il requisito del possesso della (ex) carta di soggiorno da parte degli extracomunitari per la fruizione dell’assegno sociale. La Corte chiarisce anche (benché la questione non fosse oggetto di specifica censura da parte dei giudici remittenti) che “un obbligo costituzionale di attribuire l’assegno sociale allo straniero privo della (ex) carta di soggiorno non deriva neppure dall’art. 12 della Direttiva 2011/98/UE […] che, ai fini della equiparazione dei cittadini stranieri extracomunitari ai cittadini italiani, richiama il Regolamento (CE) n. 883/2004 […] che impone [continua ..]


4. L’ordinanza n. 6979: l’iter logico-argomentativo della Corte di Cassazione

Come accennato in premessa, la Corte di Cassazione, nell’ordinanza in epigrafe, ritiene rilevante e non manifestatamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 80, nella parte in cui limita la fruizione dell’assegno sociale solo ai cittadini extracomunitari possessori di permesso di soggiorno UE di lungo periodo. Solleva, dunque, una nuova questione di legittimità costituzionale, nonostante la Consulta si sia già espressa – come già segnalato – in materia di assegno sociale, con la sentenza n. 50/2019. Di tale sentenza, chiaramente, la Cassazione dà conto nell’ordinanza in discorso. Il giudice remittente, infatti, muovendo da una argomentazione usata dalla Corte costituzionale nella pronuncia n. 50, evidenzia come la stessa vada riletta alla luce di successivi chiarimenti forniti della Corte di Giustizia alla Corte costituzionale stessa, nell’ambito del già citato rinvio pregiudiziale promosso da quest’ultima con ordinanza n. 182/2020. Nello specifico, la sentenza n. 50/2019 affermava che l’art. 12 della Direttiva 2011/98/UE – la quale richiama il Regolamento (CE) n. 883/2004 relativo ai sistemi di sicurezza sociale – impone una equiparazione tra cittadini europei e lavoratori extracomunitari. Evidenziava, poi, come nella questione di legittimità costituzionale non venga “in considerazione la posizione di lavoratori”. La Corte di Giustizia, però, nella pronuncia del 2 settembre 2021, C-350/20, ha avuto modo di chiarire l’ambito di applicazione dell’art. 12, operando due specificazioni. Una, relativa all’ambito di applicazione soggettivo, l’altra, inerente all’am­bito di applicazione per materia. Infatti, sotto il profilo soggettivo, viene affermato che l’art. 12 si applica sia agli extracomunitari titolari di un permesso unico di lavoro che a quelli titolari di un permesso di soggiorno per fini diversi dall’attività lavorativa che sono autorizzati a lavorare nello stato membro ospitante. Pertanto, ai fini della definizione dell’ambito (soggettivo) di applicazione dell’articolo in parola, non appare dirimente, né rilevante, la “posizione di lavoratori” in senso stretto. Per quanto concerne le materie, la Corte di Giustizia ha ribadito che la parità di trattamento prevista dall’art. 12, par. 1, lett. e) [continua ..]


NOTE