Tribunale delle imprese di Milano, ordinanza del 13 ottobre 2022 (causa R.G. n. 33816/2021) – Pres. Dott. Claudio Marangoni – Giudice Estensore Dott. Stefano Tarantola
< >L'accertamento giudiziale in ordine alla natura del rapporto di lavoro ed alla sua disciplina contrattuale trova la propria sede naturale nell'ambito di un procedimento di cognizione ordinaria innanzi al Giudice del lavoro e non in quello del procedimento di inibitoria collettiva ex art. 840 sexiesdecies c.p.c., per l’inidoneità dell'attività istruttoria semplificata tipica di quest'ultimo strumento processuale a giungere ad un accertamento con effetto di giudicato.
<1. Il caso concreto e la decisione del Tribunale di Milano - 2. Inibitoria e controversie di lavoro: perché sono compatibili - 3. I limiti sostanziali di compatibilità: la natura “pluri-offensiva” della condotta - 4. I limiti processuali di compatibilità: i rapporti con il rito del lavoro - 5. Segue. L’oggetto della cognizione del giudice - 6. Riflessioni conclusive - NOTE
L’ordinanza che qui si annota riguarda la controversia instaurata dinanzi al Tribunale delle imprese di Milano da alcune organizzazioni sindacali e da un lavoratore volta ad ottenere l’inibitoria collettiva di un comportamento asseritamente illecito tenuto nei loro riguardi da una nota impresa del settore del food delivery. In particolare, i ricorrenti hanno lamentato l’illegittima applicazione, a tutti i collaboratori autonomi dell’azienda con mansioni di rider, del trattamento economico e normativo scaturente dal CCNL Rider, a loro dire non dotato della rappresentatività prevista dalla legge. Ne hanno perciò chiesto la disapplicazione al Tribunale, con conseguente ordine all’azienda di attenersi ad una contrattazione collettiva differente, ossia quella del settore della logistica o del settore terziario. Le domande dei ricorrenti sono state formulate attivando lo speciale strumento processuale previsto dall’art. 840-sexiesdecies c.p.c., ossia l’azione inibitoria collettiva: secondo la prospettazione dei sindacati e del lavoratore, infatti, la condotta osservata dall’azienda resistente era idonea, da un lato, a pregiudicare la posizione soggettiva di tutti i riders in servizio e, dall’altro, a ledere gli interessi collettivi delle organizzazioni sindacali. Si è costituita in giudizio la società resistente, deducendo, tra l’altro, l’assoluta incompatibilità dello strumento processuale prescelto dai ricorrenti con il rito del lavoro e, quindi con le domande a contenuto giuslavoristico formulate. L’azienda ha chiesto inoltre di dichiarare l’inammissibilità del ricorso presentato, sia in ragione della incompatibilità delle regole processuali del rito collettivo con quelle del rito lavoro, sia in ragione della presenza nell’ordinamento di un diverso e speciale strumento per la risoluzione di questo tipo di controversie, ossia l’art. 28 St. lav., il quale, quando esperibile, prevarrebbe sempre su ogni altro mezzo processuale. Il Tribunale, con ordinanza del 13 ottobre 2022, ha dichiarato inammissibile il ricorso dei sindacati e del lavoratore, pur chiarendo che, in base al dettato normativo che regola l’azione inibitoria collettiva, questo strumento processuale è certamente applicabile anche alle controversie di lavoro. Con riguardo alle domande dei sindacati, il giudicante ha rilevato che la lesione [continua ..]
L’ordinanza del Tribunale delle imprese di Milano è il primo provvedimento giudiziario a definire un’azione inibitoria collettiva in ambito giuslavoristico a seguito del recente aggiornamento normativo intervenuto in materia. Com’è noto, con la legge n. 31/2019, entrata in vigore solo nel maggio 2021, il legislatore, abrogando l’originario impianto delle azioni collettive del codice del consumo, ha inserito nel codice di procedura civile un’azione di classe risarcitoria e un’azione inibitoria collettiva a carattere generale, affrancandole del tutto dalla tutela consumeristica che tradizionalmente aveva costituto l’ambito prescelto per l’operatività di tali istituti [1]. Le modifiche apportate dal legislatore potrebbero costituire un’importante novità per il diritto del lavoro [2]. Le controversie giudiziali in questo settore, infatti, presentano una certa predisposizione alla serialità, alla comunanza di questioni di fatto e di diritto, alla condivisione di interessi dei soggetti attivi delle pretese azionate [3]. La tendenziale omogeneità delle posizioni giuridiche soggettive dei prestatori di lavoro genera l’esigenza di una uniforme regolamentazione dei trattamenti, sia economici che normativi, con la conseguenza che l’aggregazione delle pretese può costituire un vantaggio sia in termini di rafforzamento delle tutele, sia in termini di ottimizzazione delle risorse. Invero, il processo del lavoro già consente, a prescindere dal ricorso ai procedimenti collettivi introdotti dalla legge n. 31/2019, l’avvio di controversie connotate da profili di interesse multi-individuale o collettivo. È infatti possibile, anche nel rito lavoristico, la coltivazione contestuale di giudizi intentati da più soggetti portatori di pretese tra loro omogenee, o la risoluzione in via giudiziaria di questioni comuni a più posizioni giuridiche soggettive, nonché la proposizione, anche da parte di enti esponenziali, di azioni giudiziarie volte a tutelare interessi superindividuali, cioè interessi che non appartengono al singolo individuo, bensì ad un gruppo o ad una categoria di cui egli fa parte [4]. Tali strumenti, però, non sempre permettono di essere impiegati in maniera generale e, soprattutto, non sempre riescono a realizzare efficacemente gli obiettivi di effettività [continua ..]
L’azione inibitoria collettiva, ai sensi dell’art. 840-sexiesdecies c.p.c., è volta ad ottenere «l’ordine di cessazione o il divieto di reiterazione» di atti o comportamenti sia omissivi che commissivi «posti in essere in pregiudizio di una pluralità di individui o enti». Nonostante l’espressa qualificazione dell’azione come collettiva, in realtà essa si manifesta come un mezzo processuale ibrido, connotato da una duplice natura: da un lato, infatti, presenta un carattere individuale, poiché risulta espressamente esercitabile da «chiunque abbia interesse alla pronuncia» e dunque anche dai singoli; dall’altro, possiede una evidente anima collettiva, poiché, oltre a poter essere attivato dagli enti esponenziali che abbiano tra i propri obiettivi statutari la tutela degli interessi lesi dalle condotte pregiudizievoli, risulta sempre rivolto, anche nella versione individuale, ad ottenere l’inibitoria di comportamenti o atti «posti in essere in pregiudizio di una pluralità di individui» [7]. Anche quando agisce uti singuli l’interessato deve quindi dimostrare che la condotta non impinge solo con la sua posizione soggettiva, bensì possiede una offensività plurima: è necessario che si tratti sempre di un atto o comportamento pluri-offensivo, in grado di ledere gli interessi di più individui, anche quando l’azione volta ad inibirlo è esercitata da un soggetto singolo. Quello della pluri-offensività della condotta è elemento costitutivo del modello legale delle azioni collettive, tant’è che, in termini differenti, lo si ritrova anche nel caso dell’azione di classe ex artt. 840-bis ss. c.p.c.: la posizione fatta valere dal singolo ricorrente nella class action, infatti, deve promanare da atti o comportamenti dotati di lesività diffusa, in grado cioè di pregiudicare non solo il suo interesse bensì quello di più soggetti. Diversa, dunque, è la natura delle situazioni dedotte in giudizio: diritti risarcitori o restitutori nel caso dell’azione di classe, pretese inibitorie nel caso del procedimento di cui all’art. 840-sexiesdecies [8]. Identica, invece, è la ratio degli strumenti processuali in esame: consentire la trattazione e la definizione, in un’unica sede, di domande giudiziali [continua ..]
Quella connessa alla natura delle posizioni attive tutelate non è l’unica valutazione necessaria per rispondere al quesito posto in precedenza. Il legislatore del 2019, infatti, ha introdotto nel corpo del codice di rito due procedimenti caratterizzati da regole e tecniche processuali specifiche, rispetto alle quali potrebbe porsi un problema di coesistenza con le norme che presiedono al processo del lavoro [11]. L’azione di classe e quella inibitoria sono entrambe devolute alla cognizione della sezione specializzata in materia di impresa e seguono, la prima, il procedimento del rito sommario di cui agli artt. 702-bis ss. c.p.c. e, la seconda, il procedimento camerale di cui agli artt. 737 ss. c.p.c. Si tratta di regole profondamente diverse da quelle che il legislatore del 1973 ha dedicato allo speciale rito del lavoro, e cioè un rito che, nell’opinione condivisa in dottrina, trova la sua primigenia ragione d’esistenza nella necessità di fornire al lavoratore una tutela effettiva e differenziata rispetto a quella ordinaria [12]. Ammettere l’esperibilità di azioni risarcitorie o inibitorie collettive secondo un procedimento diverso da quello prefigurato dal legislatore, e quindi devoluto alla cognizione di un giudice non specializzato, potrebbe risultare in contrasto con il principio di effettività della tutela, il quale protegge il diritto del singolo a che il giudizio instaurato trovi il suo sbocco in un provvedimento idoneo ad assicurare la piena e completa soddisfazione dell’interesse protetto [13]. In dottrina è stata proposta la possibilità di far convivere i due riti, innestando in quello del lavoro alcune tipicità dei procedimenti collettivi: in realtà, però, l’art. 840-sexiesdecies, comma 3, c.p.c. è inequivocabile nel riferire la competenza giurisdizionale per le azioni inibitorie «esclusivamente» alla sezione specializzata in materia di impresa, ed anche le norme sul rito (ossia quello camerale ex artt. 737 ss. c.p.c.) partecipano a delineare i tratti di uno strumento processuale tipico e quindi tendenzialmente inderogabile. Non v’è dubbio che, nel nostro sistema di tutela giurisdizionale, l’atipicità delle azioni sia considerabile come un valore, poiché corollario del principio fondamentale di effettività della tutela, effettività che è [continua ..]
Oltre al limite dei rapporti con il rito speciale del lavoro e con gli altri strumenti inibitori previsti dall’ordinamento vi è un ulteriore aspetto che partecipa a perimetrare l’ambito di applicazione dell’azione inibitoria nelle cause di lavoro: il grado di estensione dei poteri di cognizione del giudice. Si è già detto, sul piano sostanziale, che l’azione inibitoria collettiva ha ad oggetto una condotta necessariamente pluri-offensiva, ossia in grado di pregiudicare le posizioni giuridiche di una pluralità di soggetti: non v’è dubbio, dunque, che il giudice sia legittimato a vagliare la liceità o la legittimità del comportamento denunciato e la sua idoneità a ledere gli interessi del gruppo o comunità cui appartiene il ricorrente. Ma cosa avviene se, insieme con l’inibitoria della condotta ritenuta illegittima, questi chieda al giudice di accertare anche la sussistenza del diritto che costituisce presupposto per la valutazione della condotta, in quanto controverso tra le parti? Si tratta, a ben guardare, di un’ipotesi che nel rito speciale del lavoro si verifica sovente. Si pensi al caso del lavoratore autonomo che, ricevuto l’atto di recesso del committente e impugnatolo giudizialmente, chieda al giudice del lavoro, preliminarmente, di accertare la natura subordinata del suo rapporto e, conseguentemente, di qualificare il recesso come licenziamento, applicando il relativo apparato sanzionatorio. Ci si chiede se una simile domanda possa essere formulata, ricorrendone i presupposti sopra richiamati, anche utilizzando un’azione inibitoria collettiva in luogo di un ricorso “ordinario” al giudice del lavoro. La risposta, in assenza di una chiara direttiva del legislatore, pare doversi ricavare dalla giurisprudenza che, già durante la vigenza del modello consumeristico dell’azione inibitoria, aveva valutato, da un lato, l’estensione della cognizione del giudice e, dall’altro, i connessi effetti di giudicato del provvedimento che la definisce. Secondo la Cassazione, la tutela inibitoria collettiva prescinde dalle situazioni giuridiche individuali, cioè non giudica direttamente della sussistenza del diritto che autorizza il ricorrente ad opporsi ad un determinato atto o comportamento, ma si limita, incidentalmente, a verificarne i presupposti al fine di concentrarsi sul vero oggetto della [continua ..]
L’ordinanza del Tribunale di Milano offre un contributo importante all’affermazione della compatibilità tra azione inibitoria collettiva e controversie di lavoro, confermando alcuni dei princìpi che si è tentato di esporre in precedenza. Sul piano sostanziale, il provvedimento conferma che tra i diritti omogenei tutelabili dalle azioni collettive non possono essere aprioristicamente esclusi «quelli connessi a rapporti di lavoro»: ciò in ragione dell’«ampiezza della previsione legislativa» che, come si è detto in precedenza, delinea una fattispecie processuale a carattere generale e non più, come in passato, a carattere settoriale. Sul piano processuale, poi, l’ordinanza conferma che la presenza del rito speciale del lavoro non esclude di per sé l’esperibilità di azioni collettive in questa materia. Secondo il Tribunale, «l’espressa previsione normativa che esige di procedere nelle forme del rito camerale […] esclude in radice la possibilità di applicazione degli istituti del processo del lavoro nell’azione ex art. 840-sexiesdecies c.p.c.»: processo del lavoro e processo collettivo non si sovrappongono e, quindi, possono convivere, ognuno con le proprie regole. Ciò impone una perimetrazione precisa delle ipotesi in cui risulterà attrattivo il rito del lavoro e delle ipotesi in cui sarà invece possibile il ricorso all’inibitoria: perimetrazione che, secondo il Tribunale di Milano, esclude il ricorso allo strumento collettivo, in primis, quando esistano mezzi inibitori speciali tipici (come nel caso dell’azioni per condotta antisindacale), e, inoltre, quando sia in discussione la qualificazione del rapporto di lavoro o siano comunque richiesti accertamenti articolati e complessi. In questi casi, secondo l’ordinanza, l’ammissibilità di un’azione inibitoria collettiva è esclusa dall’«inidoneità dell’attività istruttoria semplificata – propria de procedimento di inibitoria collettiva nelle previste forme di cui all’art. 737 segg cpc – a giungere ad un accertamento con effetto di giudicato non solo con riguardo al rapporto in capo al ricorrente […], ma anche in ordine ai diritti individuali omogenei in capo ad altri lavoratori». Una richiesta di accertamento della natura [continua ..]