Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
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Il cosiddetto secondo licenziamento: vecchie e nuove problematiche alla luce delle riforme (di Lucia Fiorelli, Dottoressa in giurisprudenza e tirocinante presso gli uffici giudiziari ex art. 73, d.l. n. 79/201)


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Cassazione civile, Sez. Lav., 30 dicembre 2022, n. 38183 – Pres. Raimondi – Rel. Piccone

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In tema di licenziamento illegittimo, ove il datore di lavoro abbia successivamente intimato al lavoratore un nuovo licenziamento per altra causa o motivo, non impugnato, non va applicata la sanzione reintegratoria, ma al lavoratore spetta in ogni caso il risarcimento del danno, nella misura minima di cinque mensilità, per effetto del combinato disposto dei commi 7 (come riformulato dalla sentenza n. 59 del 2021 della Corte costituzionale), 2 e 4 dell’art. 18 della legge n. 300/1970, il quale è dovuto per il solo fatto dell'intimazione di un licenziamento illegittimo, indipendentemente dalla necessità di un intervento reintegratorio.

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SOMMARIO:

1. Licenziamento sopravvenuto a distanza di breve tempo: diritto all’indennità minima inderogabile per l’illegittimità del primo - 2. L’efficacia del c.d. secondo licenziamento rispetto all’unica tutela reintegratoria - 3. Segue. E in relazione al nuovo sistema delle tutele diversificate - 4. Aspetti problematici della tutela in concreto applicabile in caso di doppio licenziamento - NOTE


1. Licenziamento sopravvenuto a distanza di breve tempo: diritto all’indennità minima inderogabile per l’illegittimità del primo

Nella sentenza in commento la Cassazione individua la tutela applicabile al lavoratore licenziato senza giustificato motivo nel caso in cui, a distanza di circa un mese, sia intervenuto un secondo atto di recesso datoriale, nella specie risultato idoneo ad estinguere il rapporto di lavoro. Procedendo per gradi, il primo licenziamento intimato al lavoratore era ritenuto illegittimo dal Tribunale di Catania per insussistenza del giustificato motivo oggettivo, mentre il secondo non era stato impugnato. Il giudice di merito aveva però rigettato, oltre alla domanda del lavoratore per la reintegrazione, anche quella di condanna al pagamento dell’indennità risarcitoria prevista ai sensi dell’art. 18 Stat. lav. La pronuncia veniva confermata dalla Corte d’appello di Catania, che respingeva il reclamo principale rilevando che il lavoratore, nel tempo intercorso tra il primo ed il secondo licenziamento, aveva comunque continuato a svolgere la propria attività lavorativa e a percepire la relativa retribuzione. La Cassazione ha invece ricondotto il primo licenziamento al regime della tutela reintegratoria attenuata, in virtù delle recenti pronunce della Consulta sulla manifesta insussistenza del motivo oggettivo [1]. Senonché, essendo comunque sopravvenuto, a distanza di un solo mese, un ulteriore fatto estintivo ed impeditivo dell’ordine di reintegra, il caso si segnala perché il diritto all’indennità risarcitoria è individuato nella misura minima di cinque mensilità. La Suprema Corte ha quindi affermato che l’indennità risarcitoria minima spetta al lavoratore indipendentemente dalla sussistenza di un danno in concreto, in quanto essa è dovuta per la mera intimazione di un licenziamento illegittimo. Pertanto il fatto che il datore di lavoro abbia scelto di non eseguire il primo licenziamento e che il rapporto di lavoro sia proseguito, perfino con la corresponsione della retribuzione, non esclude il diritto a tale indennità, che semmai potrebbe essere assorbita (almeno in ipotesi diversa dalla prosecuzione del rapporto) da un’indennità superiore, qualora il nuovo fatto estintivo sopravvenga oltre i cinque mesi dal primo recesso illegittimo. Dalle motivazioni della Cassazione emerge chiaramente la conferma dell’ormai stabile orientamento giurisprudenziale che riconosce natura prettamente sanzionatoria [continua ..]


2. L’efficacia del c.d. secondo licenziamento rispetto all’unica tutela reintegratoria

La pronuncia in commento consente, peraltro, di ampliare la riflessione sulla questione che per anni è stata oggetto di dibattiti dottrinali e giurisprudenziali, vale a dire la legittimità e gli effetti prodotti dal c.d. secondo licenziamento, cioè quello intimato nelle more dell’impugnazione del primo. È evidente che anche questa sentenza conferma, implicitamente, l’orientamento giurisprudenziale che riconosce l’ammissibilità della intimazione di un nuovo licenziamento, purché basato su motivi diversi. È innanzitutto opportuno ripercorrere, seppure sinteticamente, le fasi principali dell’articolato dibattito in materia. Infatti, mentre inizialmente la giurisprudenza riconosceva la possibilità di intimare un secondo licenziamento [8], nei primi anni del nuovo secolo si era sviluppato un orientamento che dubitava – secondo alcuni “del tutto inopinatamente” [9]– della fondatezza giuridica di tale “potere” datoriale. Questo indirizzo sopravvenuto basava la sua argomentazione sulle diverse cause di invalidità del licenziamento e, distinguendo tra nullità e annullabilità, riteneva intrinsecamente privo di effetti, per impossibilità di adempiere la sua funzione, il licenziamento successivo ad un recesso meramente annullabile. Ciò in quanto il primo atto di recesso, benché illegittimo, risultava comunque, seppur temporaneamente, idoneo a risolvere il rapporto di lavoro. In particolare la Cassazione aveva sostenuto che “un secondo licenziamento, intimato prima dell’annullamento, è privo di oggetto, attesa l’insussistenza di un rapporto di lavoro” [10]. In base a questa impostazione, pertanto, la validità e prima ancora la efficacia di un secondo atto di recesso finiva per dipendere dal vizio che affliggeva il primo licenziamento, generando una potenziale disparità di trattamento tra lavoratori e, sotto altro profilo, un’inammissibile compressione della libertà d’impresa quanto alla possibilità di difendere entrambi i licenziamenti [11]. Sempre in chiave critica, in dottrina si rilevava pure che il licenziamento illegittimo, indipendentemente dal vizio di invalidità, era comunque assoggettato, sul piano delle tutele sostanziali, al medesimo regime giuridico, venendosi così a determinare, per scelta del [continua ..]


3. Segue. E in relazione al nuovo sistema delle tutele diversificate

Senonché, gli interventi normativi degli ultimi anni hanno profondamente mutato la disciplina della tutela del licenziamento illegittimo, tanto da mettere in discussione la inidoneità dell’atto di recesso ad estinguere sempre il rapporto giuridico [16]. È noto, infatti, che prima con la legge n. 92/2012, a novella dell’art. 18 Stat. lav., e poi con il d.lgs. n. 23/2015, che ha introdotto una disciplina “parallela” per i c.d. neoassunti, il legislatore ha spacchettato le tutele contro i licenziamenti illegittimi, apprestando una tutela meramente economica, di natura indennitaria, per quelli (non gravemente) ingiustificati, vale a dire annullabili secondo il previgente regime. L’obiettivo, dunque, era quello di apportare una significativa riduzione all’ambito applicativo della tutela reintegratoria. È apparso pertanto legittimo domandarsi [17] se il precedente approdo della Cassazione sia ancora percorribile alla luce delle modifiche normative. In particolare ci si è chiesto se si possa ancora affermare la inidoneità del primo atto di recesso a far cessare il rapporto di lavoro nelle ipotesi di licenziamento illegittimo per le quali il legislatore ha previsto esclusivamente una tutela indennitaria [18]. E si è consequenzialmente sostenuto che tale inidoneità persisterebbe solo nelle ipotesi in cui risulti applicabile la c.d. tutela reintegratoria [19]. Per converso, nei casi in cui è prevista l’applicazione delle altre forme di tutela si dovrebbe ritenere che il recesso datoriale sia comunque idoneo ad estinguere il rapporto, sicché l’intimazione di un nuovo licenziamento sarebbe del tutto priva di efficacia, venendo meno per definizione (e previsione normativa) la persistenza del vincolo sinallagmatico. Queste conclusioni hanno un sicuro impatto a livello teorico, giacché affermare l’idoneità o meno del licenziamento illegittimo ad estinguere il rapporto giuridico in base alla tutela applicabile, e quindi adesso in relazione al vizio dell’atto di recesso, di fatto significa confutare un argomento addotto a sostegno dell’attuale orientamento di legittimità, potenzialmente riaprendo il dibattito in materia. Anche se, al riguardo, va ribadita la necessità di tenere conto della specialità del diritto del lavoro e, quindi, di evitare di ricondurre in maniera forzata il [continua ..]


4. Aspetti problematici della tutela in concreto applicabile in caso di doppio licenziamento

In questo quadro, va anche evidenziato un ulteriore aspetto problematico, che emerge sul piano dei concreti effetti applicativi. Infatti, rispetto allo “schema” del c.d. doppio licenziamento, l’introduzione di un sistema diversificato di tutele attribuisce rilevanza a fattori ulteriori e circostanze diverse da quelle prese in considerazione nel sistema previgente, incentrato su un’u­nica tutela risarcitoria “a montante progressivo”. Ciò che ne consegue è un sistema affatto lineare, basato su variabili incontrollabili a priori e, pertanto, foriero di irragionevoli diversità di trattamento. Un primo ambito di diversificazione deriva proprio dal tipo di vizio che affligge il licenziamento e, quindi, dall’applicazione della tutela indennitaria o reintegratoria. Invero, nei casi di primo licenziamento semplicemente ingiustificato, il secondo licenziamento è per definizione inefficace, essendosi il rapporto (giuridicamente) già estinto; sicché il lavoratore avrà diritto ad un’indennità, che può variare da 12 a 24 o da 6 a 36 mensilità in base alla disciplina applicabile, con determinazione rimessa alla discrezionalità del giudice secondo i noti criteri di quantificazione. Al contrario, nella diversa ipotesi in cui al primo licenziamento si applica la tutela reintegratoria, a fronte di un secondo recesso intimato nelle more dell’impu­gnazione del primo, il lavoratore non può conseguire l’ordine di reintegrazione per l’illegittimità del licenziamento originario. Il diritto alla reintegra dipende esclusivamente, ed aleatoriamente, dall’esito del giudizio relativo al secondo licenziamento, mentre la tutela certa è solo quella indennitaria, come visto nel minimo garantito di cinque mensilità. Senonché, quest’ultima è a sua volta condizionata da altri fattori, che possono renderla significativamente meno attrattiva di quella garantita contro un primo licenziamento affetto da semplice ingiustificatezza. Innanzitutto, è rilevante il tempo intercorso tra il primo ed il secondo licenziamento. Infatti, anche qualora il secondo venga intimato dopo più di cinque mesi dal primo, è assai raro che esso sopraggiunga a una distanza di tempo tale da permettere di conseguire una indennità risarcitoria paragonabile, almeno nel massimo edittale, a [continua ..]


NOTE