Corte di Giustizia UE, 2 marzo 2023, C-477/21, IH contro MÁV-START Vasúti Személyszállító Zrt
< >L’articolo 5 della Direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, letto alla luce dell’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che il riposo giornaliero previsto all’articolo 3 di tale Direttiva non fa parte del periodo di riposo settimanale di cui a detto articolo 5, ma si aggiunge ad esso.
Gli articoli 3 e 5 della Direttiva 2003/88, letti alla luce dell’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che qualora una normativa nazionale preveda un periodo di riposo settimanale che supera la durata di trentacinque ore consecutive, si deve concedere al lavoratore, in aggiunta a tale periodo, il riposo giornaliero quale garantito dall’articolo 3 di detta Direttiva.
L’articolo 3 della Direttiva 2003/88, letto alla luce dell’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che quando a un lavoratore è concesso un periodo di riposo settimanale, esso ha altresì il diritto di beneficiare di un periodo di riposo giornaliero che preceda detto periodo di riposo settimanale.
<1. Premessa - 2. I fatti di causa e il dubbio interpretativo del giudice del rinvio - 3. L’autonomia del riposo giornaliero da quello settimanale - 4. L’interpretazione della Corte di Giustizia - NOTE
La sentenza della Corte di Giustizia resa nella causa C-477/21 specifica, in maniera condivisibile, alcuni profili della Direttiva 2003/88 in materia di orario di lavoro e si unisce alle oltre 80 pronunce dedicate a tale atto normativo dai giudici di Lussemburgo a partire dal 1993, anno in cui è stata adottata la sua prima versione. Una giurisprudenza così rigogliosa testimonia la vivacità di un testo fondamentale per la costruzione della dimensione sociale europea, ma ha offuscato la chiarezza e la certezza delle relative disposizioni, con effetti che si irradiano su tutti i Paesi membri e sulle legislazioni nazionali di recepimento [1]. La Commissione, nel suo ruolo di “custode dei trattati”, ha allora sentito il bisogno di emanare una comunicazione per compendiare l’opera ermeneutica della Corte e insieme offrire il suo punto di vista su alcuni passaggi della Direttiva, al fine di orientare gli Stati e le altre parti interessate nella sua applicazione [2]. La panoramica offerta dalla comunicazione mette in luce come l’attenzione della Corte sui vari contorni legislativi sia tutt’altro che omogenea. Gli sforzi maggiori sono assorbiti dalla definizione di orario di lavoro e di riposo, dalla durata massima settimanale di lavoro e dall’istituto delle ferie [3], sicché tutto quanto rimasto nella penombra o nell’ombra potrebbe contribuire ad ampliare o restringere la portata protettiva della Direttiva. La Corte ad esempio non ha mai preso in esame il concetto di riposo «adeguato» (art. 2, § 9) né lo ha mai quantificato, eppure è agevole sostenere che la norma sia espressione dei principi generali a presidio della salute dei lavoratori [4]. Di conseguenza, la sua operatività non va limitata alle tre categorie di lavoratori richiamate dagli artt. 20 e 21, cioè i lavoratori mobili e offshore e i lavoratori a bordo delle navi da pesca marittima, ma ricomprenderà tutti i casi in cui il periodo di riposo consecutivo di undici ore o il riposo settimanale siano oggetto di deroghe. Dare sostanza all’adeguatezza del riposo e farlo vivere nei casi concreti è coerente con la trama della Direttiva, che fa ricorso ad una operazione aritmetica per ottenere l’orario massimo di lavoro nelle 24 ore. L’attenzione verso i controlimiti del sottraendo, che determina il risultato finale dell’orario [continua ..]
La pronuncia che si annota riguarda il godimento del riposo giornaliero [7] e del riposo settimanale nonché, più nel dettaglio, il rapporto tra questi due periodi di tempo che non rientrano nell’orario di lavoro. La Corte aveva già lambito alcune delle questioni pregiudiziali qui rilevanti in una sentenza del 2017 [8]. In quella occasione, aveva osservato come il periodo minimo di riposo di 24 ore, previsto dall’art. 5 della Direttiva 2003/88, non dovesse intervenire in un momento determinato. L’unico obbligo in capo agli Stati è di garantire ai lavoratori di beneficiare del riposo settimanale «per ogni periodo di 7 giorni» [9], mentre restano liberi di scegliere se dare a tale periodo una rigida collocazione temporale. Di conseguenza, il riposo settimanale può essere concesso in qualsiasi momento nell’ambito di ogni periodo di 7 giorni, attenuandone la regolarità. Questa soluzione, che di certo è attenta alle ragioni creditorie, può risultare utile anche al lavoratore nel caso in cui l’impresa svolga un’attività a ciclo continuo. L’obbligo di riposi fissi potrebbe significare che il prestatore sia privato della possibilità che le 24 ore di non lavoro coincidano con il fine settimana, dove si concentrano le principali attività (culturali, religiose, sportive, …) in cui il cittadino-lavoratore può svolgere la propria personalità, sia come singolo sia nelle differenti formazioni sociali [10]. In definitiva, ciò che viene garantito sul punto dalla Direttiva non è il godimento del periodo minimo di riposo settimanale entro il giorno successivo a sei giorni di lavoro consecutivi, ma che questo sia rispettato per ogni periodo di sette giorni, senza peraltro inficiare il riposo giornaliero o la limitazione della durata massima settimanale [11]. L’interesse che suscita la decisione in esame, che arricchisce una giurisprudenza sul riposo settimanale davvero esigua, è dovuto al consolidamento sul piano del diritto europeo di alcuni principi già riconosciuti dal nostro ordinamento nazionale. Un lavoratore prestava la propria attività di macchinista di locomotiva in Ungheria ed era inserito in una programmazione mensile dell’orario che non specificava i giorni di riposo settimanale ma si limitava a definire quel riposo (di 48 o di almeno 42 [continua ..]
Il riposo giornaliero e il riposo settimanale sono riconosciuti come diritti del lavoratore dall’art. 31, § 2 della Carta di Nizza e trovano la loro disciplina all’interno del Capo II della Direttiva 2003/88, accanto alla pausa, alle ferie e alla delimitazione della durata massima settimanale di lavoro. Entrambi condividono la finalità di tutelare la salute e la sicurezza della persona che lavora, uno come garanzia di una quotidiana alternanza tra lavoro e non lavoro, l’altro come promessa a che la collocazione dell’attività assicuri un tempo libero “qualificato” di almeno 24 ore [14]. Il riposo settimanale affonda le proprie radici nelle religioni abramitiche, e l’intimo collegamento dell’istituto con una tradizione millenaria spiega come mai già le più risalenti fonti normative gli dedicassero una disciplina specifica [15]. La genesi del riposo giornaliero è invece correlata a quello che è stato definito l’atto fondativo del diritto del lavoro in tutti i Paesi europei, cioè la delimitazione della durata massima del tempo di lavoro [16]. Nel XIX secolo, dopo il fallimento dei primi tentativi di limitare per legge la giornata lavorativa all’interno delle fabbriche, iniziò a diffondersi l’idea di contenere almeno gli orari di donne e bambini, considerati deboli e incapaci di difendersi nel contratto. L’interferenza di una fonte eteronoma nella libertà negoziale era giustificata dalla necessità di garantire la capacità riproduttiva delle donne e la futura idoneità produttiva della società. Questi vincoli, figli di una suddivisione dei compiti non neutra rispetto al genere, hanno rappresentato un fondamentale punto di riferimento per standardizzare il tempo di lavoro anche per coloro che non ne erano destinatari e così raggiungere, in via mediata e graduale, l’obbiettivo originario di salvaguardare la salute e la sicurezza di tutti i lavoratori. Accanto a considerazioni legate alla protezione del corpo e della mente, la limitazione in via generale della durata della prestazione si è poi arricchita di altre motivazioni, come quella di far godere di un tempo libero per rompere la monotonia del lavoro, di ridurre la fatica per aumentare la produttività e di far beneficiare il lavoratore-consumatore dei frutti del progresso economico al quale, lui o lei, [continua ..]
La Corte di Giustizia, nel presupposto che gli Stati membri sono tenuti a garantire l’effetto utile della Direttiva 88/2003, e in particolare che i lavoratori beneficino effettivamente dei periodi minimi di riposo [26], “costituzionalizza” sul piano europeo il principio già noto all’ordinamento interno della non sovrapponibilità del riposo giornaliero e settimanale. Secondo i giudici di Lussemburgo, la geografia del testo normativo rende plastica l’autonomia dei diritti attraverso la predisposizione di due articoli separati (artt. 3 e 5), a cui corrisponde la diversità degli obiettivi perseguiti. Col riposo giornaliero si vuole «permettere al lavoratore di sottrarsi al suo ambiente di lavoro per un determinato numero di ore», che devono essere «consecutive» e «seguire direttamente un periodo di lavoro», mentre col riposo settimanale si vuole «permettere il riposo del lavoratore nell’arco di ogni periodo di sette giorni» [27]. Di conseguenza, sostenere l’assorbimento del riposo giornaliero nel settimanale significherebbe svuotare il contenuto del primo, e il lavoratore sarebbe privato del suo diritto anche nel caso in cui, come quello in esame, la durata del riposo settimanale previsto dalla legislazione dello Stato sia più favorevole al prestatore [28]. L’art. 5 della Direttiva non dà quindi vita a un periodo di riposo settimanale globale di 35 ore, ma a un cumulo dei due riposi minimi di 11 e 24 ore, che restano indipendenti. La diversa qualificazione dei tempi di riposo non corrisponde alla loro percezione sul piano naturalistico, che sarà del tutto unitaria per il prestatore, ma è strumentale alla logica giuridica, per far sì che il diritto del lavoro persegua le sue ragioni protettive. L’istituto del riposo giornaliero ha uno sguardo rivolto soprattutto al passato: ciò che conta per il suo godimento è la relazione con l’attività lavorativa appena resa, le energie fisiche e intellettuali consumate, a prescindere dalla circostanza che poi segua o meno un altro periodo di lavoro. Quando vi sia contiguità tra riposi, nel silenzio del dato testuale, la Corte specifica che il loro ordine comincia dal giornaliero e trasmuta poi nel settimanale [29]. Qui in verità i giudici avrebbero potuto lasciare maggiore libertà applicativa agli [continua ..]