Il contributo intende offrire una prima analisi delle nuove misure di inclusione sociale e lavorativa introdotto dal cd. Decreto lavoro e destinate a sostituire il reddito di cittadinanza.
The contribution intends to offer a first analysis of the new social and work inclusion measures introduced by the so called Job decree, that have been introduced to replace the basic income.
1. In principio fu il Reddito di Cittadinanza - 2. La pars destruens: appunti sulla legge di bilancio per il 2023 - 3. La pars costruens: il decreto n. 48/2023, dal Reddito di Cittadinanza all’Assegno di inclusione - 3.1. I beneficiari - 3.2. Segue. La prestazione - 3.3. Segue. La condizionalità - 3.4. Segue. Decadenze e sanzioni - 4. Il Supporto per la formazione e il lavoro - 5. Prime brevi considerazioni conclusive - NOTE
L’introduzione e la regolamentazione del Reddito di Cittadinanza di cui al d.l. n. 4 del 2019 ha rappresentato il tentativo di offrire una lettura evolutiva del dettato costituzionale finalizzato a coniugare l’anima laburista della Carta fondamentale con l’esigenza di offrire nuovi strumenti di contrasto alla povertà e alla marginalità sociale che si estendano oltra l’area dei soggetti occupati. Nel disegno tratteggiato dai Padri costituenti, infatti, il “lavoro” – fondamento stesso della Repubblica e diritto-dovere essenziale di ciascun cittadino [1] – è la chiave d’accesso a strumenti di garanzia e tutela reddituale, funzionali alla realizzazione di forme di uguaglianza sostanziale che consentano la piena partecipazione alla vita sociale e politica del Paese, residuando, in favore di quanti sono inabili al lavoro, la mera garanzia del minimo vitale. Tale impostazione, tuttavia, non ha impedito che l’ordinamento, a fronte dell’evoluzione sociale e del sistema produttivo, nonché dell’emersione di nuovi bisogni, operasse una evoluzione in senso maggiormente universalistico finalizzata al contrasto di diffusi fenomeni di marginalità ed esclusione sociale [2]. Il percorso, peraltro, non ha avuto quale esito la rilettura del welfare italiano in chiave beveridgiana, ma una (ulteriore) ibridazione del modello che, pur collocando le provvidenze a contrasto della povertà nell’alveo della tutela assistenziale in senso lato, ne ha rafforzato – tanto in chiave selettiva, quanto di meritevolezza dell’intervento, entrambe connesse alla scarsità di risorse disponibili – il collegamento con oneri di attivazione e occupazione dei potenziali destinatari. Il risultato, appunto, è stata la regolamentazione di un Reddito di Cittadinanza nella forma di reddito minimo garantito [3], una prestazione cioè che ha tentato di rappresentare al contempo un mezzo di tutela della dignità della persona, anche svincolato dalla sua condizione di lavoratore, e uno strumento finalizzato a rendente effettivo il diritto al lavoro quale presupposto della libertà e della realizzazione del cittadino, anche per il tramite di un trasferimento monetario (temporaneo). Il baricentro di tale equilibrismo è stato indicato dal legislatore del 2019 nella condizionalità dell’intervento [continua ..]
L’originaria insofferenza per la dimensione universalistica dell’impianto del Reddito di Cittadinanza disciplinato dal d.l. n. 4/2019 è emersa con forza ancora maggiore, quando, all’esito delle elezioni politiche svoltesi nell’autunno 2022, si è formato un Governo sostenuto da una maggioranza di destra. La nuova compagine politica – di cui, peraltro, è parte determinante uno dei partiti, la Lega, che ha contribuito, insieme al Movimento 5 Stelle, all’introduzione del Reddito di Cittadinanza come conosciuto sino allora – in effetti, si era presentata al confronto elettorale con un esplicito intento di superamento del Reddito di Cittadinanza, ritenuto uno strumento foriero di comportamenti opportunistici, quando non addirittura frodatori [7], e, comunque, non idoneo a garantire una transizione occupazionale, fungendo da meccanismo di politica attiva del lavoro [8]. Con l’insediamento del Governo, dunque, si è dato corso a una revisione dello strumento, finalizzata a ricondurre il Reddito di Cittadinanza nell’alveo delle misure assistenziali destinate a chi, incolpevolmente, non può accedere a una occupazione, riducendone la funzione di misura di transizione occupazionale e di politica attiva. Questo percorso, peraltro, ha seguito – e segue – un cammino apparentemente contorto. In una prima fase, infatti, anche allo scopo di reperire risorse per le nuove misure che sostituiranno il Reddito di Cittadinanza, il legislatore ha operato per via di “demolizione” dell’esistente, sia attraverso l’introduzione di una disciplina transitoria che conduce all’“eutanasia” dello strumento così com’è, che per il tramite della riduzione di durata della prestazione e della revisione (e dell’inasprimento) dei requisiti di condizionalità necessari per il riconoscimento del Reddito di Cittadinanza. L’intervento ha preso corpo nella legge di bilancio per il 2023 – legge 29 dicembre 2022, n. 197 – che, ai commi 313-321 dell’art. 1, ha rimodulato la disciplina del Reddito di Cittadinanza per l’anno 2023, in vista della sua soppressione a decorrere dal 2024 e di una differente completa revisione degli interventi di contrasto della povertà e per l’inclusione attiva [9]. La legge di bilancio, dunque, fermi i requisiti per richiedere il [continua ..]
Il percorso che porta a una mutazione funzionale del Reddito di Cittadinanza – originariamente pensato come misura a cavallo tra politica attiva per l’occupazione e strumento di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale, tra l’art. 4 e l’art. 38, comma 1, Cost. [19] – giunge a compimento con il Decreto lavoro, d.l. n. 48/2023, appena convertito in legge 3 luglio 2023, n. 85. Prima di svolgere qualche considerazione in merito al nuovo assetto delle tutele, peraltro, sembra utile ricordare che in via transitoria, il Decreto lavoro conferma la permanenza temporanea del Reddito e della Pensione di Cittadinanza per tutto il 2023, nonché la durata massima dell’intervento, fissata, dalla legge di bilancio in 7 mesi [20]. A parziale deroga di tale disposizione, e fermo il limite del 31 dicembre, tuttavia, il d.l. n. 48/2023 esonera dall’applicazione di tale limite di durata i percettori di Pensione di Cittadinanza e quanti, prima della scadenza dei sette mesi, sono assunti incarico dai Servizi sociali in quanto soggetti non attivabili [21]. Ciò posto, l’intervento del Governo, dividendo la misura in due distinti strumenti rappresentati dall’Assegno di inclusione e il Supporto per la formazione e il lavoro, rende palese e chiara la volontà di prevedere due canali: l’uno finalizzato al contrasto della povertà, l’altro a una “nuova” forma di politica attiva di accompagnamento (molto temporaneo e contenuto) verso l’occupazione. Sicché, le misure declinate dal Decreto lavoro intendono fornire una risposta di maggior chiarezza alle perplessità che la configurazione del Reddito di Cittadinanza come strumento unitario polifunzionale aveva sollevato. Da più parti, infatti, si è evidenziato come l’approccio “olistico” adottato dal d.l. n. 4/2019, complice le croniche carenze dei servizi pubblici di collocamento, finiva con lo svalutare l’efficacia specie della finalità occupazionale del Reddito di Cittadinanza. Diversamente, la configurazione dicotomica introdotta dal d.l. n. 48/2023 recupera la dimensione prettamente assistenziale dello strumento di contrasto alla povertà, pur non rinunciando, tuttavia, ad affiancarla a requisiti di “meritevolezza” rappresentati da oneri di attivazione dei soggetti beneficiari, per lo più destinati a [continua ..]
Tanto sopra osservato a tratto generale, l’Assegno di inclusione – che dal 2024, come detto, costituirà l’unica forma di reddito minimo – si pone anzitutto come misura a tutela del nucleo familiare. Si tratta di una caratteristica che assimila la nuova provvidenza al Reddito di Cittadinanza e che impone la verifica della ricorrenza delle condizioni di accesso in capo all’intero nucleo familiare, nel quale deve – quale “condizione soglia” di accesso – essere presente almeno un soggetto disabile, un minorenne o un ultrasessantenne, cui, secondo le previsioni contenute nella legge di conversione, si aggiungono i soggetti in condizione di svantaggio e inseriti in programmi di cura e assistenza dei servizi socio-sanitari territoriali certificati dalla pubblica amministrazione. È questo, dunque, l’ambito in cui verificare i requisiti reddituali e patrimoniali che non mutano rispetto a quelli già considerati dal d.l. n. 4/2019: l’Assegno di inclusione è infatti condizionato a una soglia patrimoniale, misurata sull’ISEE (non superiore a 9.360 euro); e una reddituale familiare (che deve essere inferiore a 6.000 – 7.560, nel caso di nuclei familiari composti integralmente ultra 67enni o da soggetti in condizioni di disabilità grave o di non autosufficienza – euro annui, moltiplicati per il corrispondente parametro della scala di equivalenza, di cui, peraltro, il d.l. n. 48/2023 opera una rimodulazione) [25]. Nel caso della presenza di soggetti occupabili nel nucleo familiare – su cui gravano obblighi di attivazione – viene parzialmente “sterilizzato” l’incremento di ricchezza derivante da un’occupazione di natura subordinata da misure di politica attiva per le quali è prevista la corresponsione di indennità di partecipazione: si riconosce infatti la cumulabilità dell’Assegno di inclusione con tali redditi, nel limite, però, nel limite di 3.000 euro lordi annui e fermi gli obblighi di comunicazione gravanti sul percettore [26]. Parimenti confermate sono anche le soglie di patrimonio immobiliare (30.000 euro derivanti da immobili diversi dalla casa di abitazione), mobiliare (6.000 euro incrementati in ragione della composizione del nucleo familiare) e l’assenza di beni durevoli “di lusso”, intesi quali autoveicoli e di motoveicoli di cilindrata [continua ..]
La misura dell’Assegno di inclusione è determinata secondo parametri che sono analoghi a quelli già utilizzati per il Reddito di Cittadinanza [35]. In particolare, il trattamento economico consiste in una integrazione del reddito familiare – esente da imposta – sino alla soglia reddituale di 6.000 euro annui e fermo un importo minimo pari a 480 euro mensili, cui si aggiunge una ulteriore quota pari al massimo a 3.360 euro in caso di residenza in abitazioni in locazione [36]. Per quanto riguarda, poi, i nuclei familiari composti interamente da soggetti di età pari o superiore a 67 [37] o da soggetti in condizione di disabilità grave e non autosufficienza, l’integrazione è innalzata sino a una soglia di reddito familiare di 7.560 euro; in tale ipotesi, tuttavia, l’eventuale integrazione per la residenza in abitazioni in locazione è ridotta a 1.800 euro annui. L’integrazione reddituale è corretta dalla nuova scala di equivalenza adottata dal d.l. n. 48/2023, nella quale i coefficienti indicati per i componenti del nucleo familiare sono incrementati nel numero (da due, per il Reddito di Cittadinanza, a cinque) al fine di consentire una maggiore “personalizzazione” della prestazione, evidente in relazione alla differenziazione di tali coefficienti in ragione delle caratteristiche dei soggetti via via considerati [38]. In merito agli importi dell’Assegno sociale, come già avveniva in relazione al Reddito di Cittadinanza, deve segnalarsi la mancata previsione della loro indicizzazione al costo della vita. La legge, infatti, individua importi in cifra assoluta e non prevede alcun meccanismo di perequazione. Si tratta di una mancanza grave, particolarmente evidente in un contesto macroeconomico in cui l’andamento dell’inflazione è assai rilevante in ordine al valore del beneficio che, con ogni evidenza, è destinato a depauperarsi in modo significativo con il trascorrere del tempo [39]. L’Assegno – che decorre dal mese successivo alla sottoscrizione dei patti per l’inclusione sociale e lavorativa (e non più dalla domanda) – è riconosciuto per un periodo continuativo di 18 mesi, eventualmente rinnovabili per ulteriori 12 mesi e, previa sospensione di un mese, per altri 12 mesi. In sostanza, dunque, non muta la durata dell’erogazione rispetto a quanto [continua ..]
Come si è anticipato, l’Assegno di inclusione, rispetto al Reddito di Cittadinanza, perde gran parte della finalità di politica attiva per il lavoro. Vero è che, almeno formalmente, condiziona l’accesso alla nuova misura all’attivazione dei beneficiari occupabili, chiamati a partecipare a progetti di inclusione sociale e lavorativa; tuttavia, in considerazione del fatto che l’Assegno è destinato a nuclei familiari in cui sono presenti soggetti deboli o minori (i cui genitori fruiscono di una esimente per carichi di cura, almeno sino ai tre anni), gli obblighi di attivazione in capo ai rimanenti componenti del nucleo familiari sono piuttosto contenuti. Le misure di inclusione, dunque, devono immaginarsi più orientate all’inclusione sociale piuttosto che all’inserimento lavorativo, come del resto dimostra l’introduzione di una prestazione ad hoc a questo destinata (il Supporto per la formazione e il lavoro); nonché il fatto che gli oneri di attivazione dei destinatari prendono avvio con le attività di inclusione per il tramite di una «valutazione multidimensionale dei bisogni del nucleo familiare» effettuata dai servizi sociali (art. 4, comma 5, d.l. n. 48), finalizzata alla definizione (e sottoscrizione) di un patto per l’inclusione. Indirettamente, tale procedura consente anche di individuare i soggetti occupabili componenti il nucleo familiare – di età compresa tra i 18 e i 59 anni, e non gravati da “occupazioni di cura” – e, in quanto tali, da inviare ai servizi per l’impiego per la sottoscrizione anche del patto di servizio. Tanto premesso, il meccanismo di condizionalità che governa l’Assegno di inclusione è ispirato in gran parte da quello relativo al Reddito di Cittadinanza, con l’importante aggiunta, peraltro, delle risorse che hanno rafforzato i servizi per l’impiego, derivanti, in particolare, dall’implementazione del programma Garanzia Occupabilità Lavoratori (GOL) [40]. L’intero processo è governato da piattaforme informatiche dedicate e integrate (in particolare la Piattaforma digitale per l’inclusione sociale e lavorativa che sostituisce le infrastrutture di cui all’art. 6, d.l. n. 4/2019), nel Sistema Informativo Unitario delle Politiche del lavoro e nel Sistema Informativo per l’Inclusione Sociale e [continua ..]
Come già avveniva per il Reddito di Cittadinanza, anche l’Assegno di inclusione è assistito da un imponente apparato sanzionatorio, destinato alla repressione dei comportamenti di free riding, oltreché di quelli apertamente fraudolenti. Restando a tale ultimo profilo, la nuova disciplina supera in parte i dubbi di costituzionalità sollevati in merito alle sanzioni penali correlate al Reddito di Cittadinanza che, ferma le responsabilità penale individuale, finivano con il sanzionare con la decadenza dal beneficio l’intero nucleo familiare [47]. La nuova disciplina contenuta all’art. 8, d.l. n. 48/2023, invece, nel prevedere la revoca dell’Assegno a carico di coloro che si rendono colpevoli dei (nuovi) delitti, che commette chi rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute; ovvero chi omette la comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini del mantenimento dei benefici [48]; si rivolge unicamente al “beneficiario”. Può quindi escludersi che la decadenza coinvolga l’intero nucleo familiare, al quale, invece, si rivolgono le ipotesi, anch’esse di decadenza, previste dal comma 6 dello stesso art. 8, anche laddove l’inadempienza sia imputabile a uno solo dei relativi componenti. Nel dettaglio, quindi, l’Assegno è revocato nei casi in cui non si dia corso agli obblighi di attivazione o ci si sottragga alle offerte di lavoro e formative medio tempore proposte dai servizi sociali e dai servizi per l’impiego. Si ripropone, qui, il problema che appare superato in relazione alla disciplina penalistica: la colpa di uno dei componenti del nucleo familiare si riverbera – seppur solo pro futuro – sull’intera famiglia che viene a essere investita di una “funzione di controllo” del comportamento dei propri componenti. In merito all’apparato sanzionatorio deve segnalarsi infine che è confermata l’applicazione della c.d. maxisanzione per il lavoro nero nei confronti dei datori di lavoro che occupano irregolarmente i beneficiari dell’Assegno di inclusione [49].
Il Decreto lavoro, come già detto, ha ricondotto l’Assegno di inclusione alle originarie finalità assistenziali, comprimendo, invece, la natura del precedente Reddito di Cittadinanza quale misura di politica attiva del lavoro. In questa operazione, peraltro, il legislatore ha inteso delegare questa seconda funzione a una nuova e differente prestazione denominata Supporto per la formazione e il lavoro, che dovrebbe entrare in vigore dal 1° settembre 2023, quale misura di accompagnamento verso l’impego di soggetti occupabili per il tramite di progetti di formazione, qualificazione, orientamento o anche attraverso il servizio civile universale o progetti utili alla collettività. L’art. 12, d.l. n. 48/2023, che regola la prestazione, individua i beneficiari nei nuclei familiari che possiedono gli stessi requisiti reddituali e patrimoniali previsti per i percettori dell’Assegno di inclusione. Analoghe sono anche le condizioni relative alla residenza e al soggiorno, ai carichi penali e al possesso di beni durevoli. Ciò che, invece, distingue i destinatari del Supporto da quelli dell’Assegno di inclusione è la presenza o meno nel nucleo familiare di soggetti non occupabili: la presenza di ultrasessantenni, minori o disabili in situazione di gravità non autosufficienti, determina il dirottamento verso quest’ultima prestazione. Viceversa, ove il nucleo familiare sia composto integralmente da componenti occupabili, la sola misura riconoscibile è rappresentata, appunto, dal Supporto per la formazione e il lavoro. Quanto alla procedura e agli obblighi gravanti sui potenziali percettori, proprio perché finalizzata all’inserimento nel mercato del lavoro, la prestazione in esame impone al richiedente l’iscrizione al SIISL e la sottoscrizione del patto di attivazione digitale e del patto di servizio personalizzato di cui all’art. 20, d.lgs. n. 150/2015 [50]. Il patto di servizio “governa” quindi il percorso formativo del destinatario del Supporto per la formazione e il lavoro [51], e del cui svolgimento il percettore deve rendere conto periodicamente ai servizi per l’impiego competenti. La prestazione erogabile consiste in un importo di 350 euro mensili – non rivalutabili – per un periodo massimo di 12 mesi. L’esiguità della somma, specie se rapportata alla misura dell’Assegno di inclusione, e [continua ..]
Volendo tracciare qualche prima osservazione conclusiva, è possibile ritenere che, nonostante il recupero di tante previsioni già contenute nella disciplina del Reddito di Cittadinanza, i nuovi strumenti rispondano a una filosofia di fondo differente, tesa a valorizzare e distinguere tra chi si trova in una condizione di inabilità al lavoro – da intendersi in senso lato – e chi, invece, può essere avviato verso un’occupazione proficua. Tale distinzione pare voler recuperare il dettato costituzionale, valorizzando, appunto, il valore del lavoro quale strumento di realizzazione del cittadino, relegando l’Assegno di inclusione a una misura prettamente assistenziale, destinata a chi incolpevolmente non può attivarsi per il dovere al lavoro. Se questa sembra l’impostazione ideologica alla base dell’intervento, tuttavia, non può non rilevarsi come la realizzazione del progetto lasci aperti molteplici nodi e criticità, solo in parte connessi alla diffusa sfiducia in ordine alla capacità dei servizi per l’impiego di rispondere alle esigenze formative e occupazionali del mercato del lavoro. Traspare, infatti, dal disposto legislativo una dimensione punitiva nei confronti di coloro che pur occupabili sono esclusi dal mercato del lavoro. E ciò è particolarmente evidente nella declinazione del nuovo Supporto per la formazione e il lavoro, parametrato su un importo che appare del tutto insufficiente non solo ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa, ma, probabilmente, alle esigenze minime alimentari. La scelta, insomma, di distinguere occupabili e non occupabili, in assenza di una vera riforma e potenziamento dei servizi per l’impiego, sembra condurre ad un effetto uguale e contrario (ma ugualmente distorsivo) a quanto già era avvenuto con il Reddito di Cittadinanza (con la previsione di risorse in eccesso, anche in assenza di attivazione alcuna da parte dei soggetti destinatari); la nuova norma, ottiene il risultato di ridurre fortemente la platea dei potenziali destinatari della prestazione, introducendo una sorta di presunzione di colpevolezza dei soggetti (potenzialmente) occupabili, nonostante la loro disponibilità all’attivazione.