Il saggio analizza la nuova disciplina processuale del licenziamento introdotta dalla riforma “Cartabia” e il rapporto tra regole ordinarie e discipline speciali anche alla luce dell’abrogazione del rito “Fornero”, di cui l'A. mette in luce alcuni aspetti positivi quali la celere pronuncia sulla domanda di reintegrazione.
The essay analyzes the new procedural discipline of dismissal introduced by the “Cartabia” reform and the relationship between ordinary rules and special disciplines also in the light of the abrogation of the “Fornero” rite. The A. highlights some positive aspects of the old rite such as the rapid decision on the application of reintegration.
1. Effettività, rito del lavoro e procedimenti speciali - 2. La scelta del rito ordinario con corsia preferenziale nell’art. 441-bis c.p.c. e l’abrogazione del rito “Fornero” - 3. L’art. 441-ter c.p.c. sul licenziamento del socio di cooperativa - 4. L’art. 441-quater c.p.c. e il licenziamento discriminatorio: il rapporto con i riti speciali - NOTE
Sono ormai trascorsi cinquant’anni dall’entrata in vigore della legge n. 533/1973 recante la disciplina delle controversie individuali di lavoro e in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie. È un lasso di tempo sufficientemente ampio per formulare bilanci e apprezzare, sotto il profilo dinamico, i caratteri genetici del processo del lavoro. Plasmato sull’esigenza di garantire l’effettività della tutela, esso ha avuto certamente un’ottima riuscita [1]. Non vi è altro settore dell’ordinamento in cui il legame tra diritto sostanziale e processo sia così stringente [2]; qualunque analisi che non sposi entrambe le prospettive e le saldi, indagandone interrelazioni e implicazioni reciproche, ha il rischio di costituire uno sterile esercizio retorico. Non è proficuo il solo angolo visuale di law in the code. Occorre guardare al law in action, che coglie l’attuazione del diritto non solo attraverso il processo, ma anche col prisma dell’autonomia privata, per apprezzare se i rimedi siano effettivi e, dunque, idonei a rispondere appieno al bisogno di tutela secondo un monito sempre più presente nella giurisprudenza eurounitaria [3]. Ciò è viepiù evidente con riferimento alle vicende patologiche estreme, in cui giungono all’attenzione del giudice fatti da cui può dipendere la perdurante esistenza di un contratto di lavoro subordinato, con tutte le implicazioni non solo economiche, ma anche personali, che in esso sono coinvolte. Nel rapporto di lavoro vengono in rilievo diritti fondamentali che attengono alla persona, la cui lesione non ammette normalmente l’equivalente monetario, ma presuppone (in modo più accentuato nell’originaria idea statutaria) la tutela ripristinatoria della posizione soggettiva violata; e ciò, in quanto l’adempimento degli obblighi contrattuali è strumento di realizzazione della personalità del lavoratore e, quindi, il presidio più alto della sua dignità. Del resto, dal punto di vista costituzionale, il lavoro è il perno della legge fondamentale, essendo valore costitutivo dello Stato (art. 1), strumento di realizzazione dei diritti inviolabili della persona e di adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà sociale (art. 2), veicolo attraverso cui si invera il principio di eguaglianza (art. 3), diritto il cui [continua ..]
La Commissione Foglia [16] operò ormai oltre un ventennio fa presso il Ministero della giustizia e, precisamente, dall’ottobre 2000 all’aprile 2001. I lavori sono compendiati in una relazione finale, accompagnata da una bozza di proposta legislativa, il cui art. 8 recita: “le controversie, sommarie o ordinarie, relative ai licenziamenti devono essere trattate dal giudice con priorità, con la sola eccezione dei procedimenti cautelari e di quelli previsti dall’art. 28 L. 300/70”. La legge Fornero ha fatto proprio il canone della priorità, ma lo ha saldato a quello della specialità, atteso che il modello prescelto è (o meglio sarà ancora per poco) bifasico, con una fase sommaria che si conclude con ordinanza e una fase a cognizione piena all’esito della quale il giudice decide con sentenza. Sotto il primo profilo all’art. 1, commi 65 e 66, della legge n. 92/2012 venne previsto che alla trattazione delle controversie con rito Fornero dovessero essere riservati particolari giorni nel calendario delle udienze, affidando ai capi degli uffici la vigilanza su tale previsione. L’assenza di misure sanzionatorie ha però condotto in molti Tribunali – per carenze di organico – alla disapplicazione della prescrizione organizzativa, cosicché l’idea della eccezionale priorità in molti casi si è disciolta nell’ordinaria inefficienza e la stessa fase sommaria (in assenza della possibilità per le parti di rinunciare alla spesso tautologica opposizione davanti allo stesso giudice persona fisica) ha perso i caratteri latamente “cautelari” che le erano propri nella mens legis, per trasfigurarsi in modo molto prosaico in un pletorico e defatigante quarto grado di giudizio. Il rito Fornero, pur con i suoi difetti, non fu una riforma sbagliata [17]: ha garantito in molti casi una risposta immediata della giustizia, limitando l’onere economico per le imprese colpite da un ordine di reintegrazione ed eliminato le storture del vecchio art. 18 nel contesto del rito ordinario, capace di generare rimedi ingiusti, quanto di più distanti dal canone della certezza del diritto [18], prima stella polare di ogni testo legislativo. Bastavano probabilmente alcuni correttivi, per perfezionare il modello; eppure, come spesso accade quando le ragioni di “efficientamento” del sistema alimentano [continua ..]
Il nuovo art. 441-ter c.p.c., fissa sul piano normativo alcuni principi affermatisi in giurisprudenza circa la disciplina del socio lavoratore di cooperativa [32], facendo chiarezza circa le conseguenze della cessazione del rapporto associativo e di quello di lavoro, sdoppiati dalla legge n. 142/2001; tale questione ha costituito per lungo tempo un tema assai problematico in giurisprudenza [33]. Le norme che vengono in rilievo sono l’art. 2, comma 1 della legge n. 142/2001 secondo cui “ai soci lavoratori con rapporto di lavoro subordinato si applica la L. 300/70 con esclusione dell’articolo 18 ogni volta che venga a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo” e l’art. 5, comma 2 per il quale “il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l’esclusione del socio deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformità con gli artt. 2526 e 2527 c.c. Le controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica sono di competenza del tribunale ordinario”. La prima previsione concerne la disciplina sostanziale della cessazione e non è toccata, se non incidentalmente, dalla novella, per quanto si dirà, sul piano dell’attrazione processuale. Infatti l’art. 441-ter c.p.c. chiarisce che “le controversie aventi a oggetto l’impugnazione di licenziamenti dei soci delle cooperative sono assoggettate agli artt. 409 ss. c.p.c. e, in tali casi, il giudice decide anche sulle questioni relative al rapporto associativo eventualmente proposte”. In sintesi la novella attribuisce al giudice del lavoro il contemporaneo scrutinio della domanda di annullamento della delibera di esclusione proposta congiuntamente a quella volta ad accertare l’illegittimità del licenziamento. L’art. 5, comma 2, della legge n. 142/2001 – ossia la previsione della simultanea estinzione del rapporto di lavoro per effetto dell’esclusione o del recesso del socio – aveva dato luogo invece dato luogo a un articolato dibattito giurisprudenziale, fin quando la Suprema Corte, a sezioni unite, con sentenza del 20 novembre 2017, n. 27436 [34] ha fissato alcune coordinate non prive di rilievo sistematico. La prima attiene al rapporto tra la domanda di annullamento della delibera di esclusione e di annullamento del licenziamento. Se le stesse sono proposte congiuntamente esiste tra esse un rapporto di [continua ..]
Il nuovo art. 441-quater c.p.c. prevede anzitutto che le azioni di nullità dei licenziamenti discriminatori possano essere introdotte con ricorso ai sensi dell’art. 414 c.p.c. oppure, laddove vi siano i presupposti, con i riti speciali. Si tratta di una disposizione, anche in questo caso pletorica, posto che la giurisprudenza aveva già affermato tale principio [38]. I riti cui la norma rinvia, pur non menzionati, sono quelli previsti dall’art. 38, d.lgs. n. 198/2006 e dall’art. 28, d.lgs. n. 150/2011 ossia, rispettivamente l’azione contro le discriminazioni di genere in ambito lavorativo e il rito antidiscriminatorio. Per effetto dell’art. 35, comma 1, d.lgs. n. 149/2022, quest’ultimo è stato ricondotto al rito semplificato di cognizione ex art. 281-decies c.p.c., Non si tratta più di un rito speciale “sia perché collocato fuori dal libro IV del codice di rito, sia perché pur sempre ammissibile nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica” [39]. Rimangono però alcuni tratti “specialità” che derivano dal diritto dell’Unione [40]: la competenza territoriale del luogo di domicilio dell’attore, i peculiari poteri del giudice, e la “non-convertibilità” del procedimento in rito “non semplificato”. Il processo antidiscriminatorio, anche quando non ricorrano i presupposti della “pronta soluzione” o della “istruttoria non complessa” indicati 281-decies c.p.c., non può essere convertito nel rito di cui agli artt. 163 ss. c.p.c. L’istruttoria, per quanto complessa, deve sempre svolgersi secondo i termini di cui al nuovo art. 281-duodecies c.p.c. e mai secondo i termini ordinari di cui all’art. 171-ter c.p.c. Rimane invece un “rito speciale” l’azione antidiscriminatoria avverso la discriminazione di genere in ambito lavorativo prevista dall’art. 37, comma 4 (azione della Consigliera di Parità) e dall’art. 38 (azione individuale) del d.lgs. n. 198/2006 [41] quest’ultima modulata, sin da epoca risalente (venne introdotta con l’art. 15, legge 9 dicembre 1977, n. 903) sullo schema del ricorso per comportamento antisindacale ex art. 28 dello Statuto dei lavoratori, tanto da essere nota nella vulgata come l’art. 28 delle donne. Occorre allora comprendere le ragioni in [continua ..]