L'articolo analizza i profili di rilevanza costituzionale dei contratti collettivi aziendali di prossimità, previsti dall'art. 8 del d.l. n. 138/2011 conv. legge n. 148/2011, rispetto all’art. 39 Cost., sia in riferimento al principio di libertà sindacale sia in relazione al tema dell’efficacia generale, rianimati dalla recente sentenza della Corte costituzionale n. 52 del 2023.
The article analyzes the profiles of constitutional relevance of the proximity company collective agreements, provided by the art. 8 of the legislative decree no. 138/2011 conv. law n. 148/2011, with respect to art. 39 of the Constitution, both in reference to the principle of trade union freedom and with respect to the issue of general effectiveness, revived by the recent sentence of the Constitutional Court n. 52 of 2023.
1. Contratti di prossimità e il comma 1 dell’art. 39 Cost. - 2. I contratti di prossimità e il comma 4 dell’art. 39 Cost. - 3. Brevi rilievi conclusivi - NOTE
L’art. 8 del d.l. n. 138/2011 conv. legge n. 148/2011 ha suscitato numerose questioni interpretative riguardo alla compatibilità degli accordi ivi previsti, aziendali e territoriali, comunemente identificati come contratti di prossimità, con l’art. 39 Cost., sia in riferimento alla lesione del principio di libertà sindacale – intesa sia quale libertà del singolo lavoratore di associarsi in formazioni sindacali sia come libertà del sindacato di organizzarsi per svolgere la funzione di rappresentanza dei propri iscritti –, previsto al comma 1, sia rispetto all’efficacia generale – che subordina la possibilità per i sindacati di stipulare contratti collettivi con efficacia erga omnes alla sussistenza di specifici presupposti procedurali e soggettivi –, prevista al comma 4. Com’è noto, il comma 1 dell’art. 8 afferma che “i contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali, finalizzate alla maggior occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività”. Per la validità dell’accordo è, dunque, necessario che questo sia sottoscritto da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale: l’uso della “o” indica la sufficienza di tale rappresentatività sull’uno oppure sull’altro piano alternativamente, mentre l’espressione “da” e non “dalle” permette la stipulazione anche da parte di una soltanto di tali associazioni [1]. Secondo l’art. 8, inoltre, i contratti collettivi aziendali [continua ..]
La disciplina prevista dall’art. 8, comma 1, della legge n. 148/2011, nel prevedere espressamente contratti collettivi aziendali e territoriali con efficacia generale, ha suscitato vari dubbi anche rispetto al meccanismo di conferimento dell’efficacia generalizzata del contratto collettivo prevista dal comma 4 dell’art. 39 Cost. [39]. Fermo restando che i contratti collettivi possono avere efficacia generale solo se stipulati nel rispetto della disciplina dell’art. 39, comma 4, Cost. [40], resta da chiarire se l’art. 39 Cost. riguardi solo i contratti collettivi di categoria o possa riferirsi anche a quelli aziendali e, in particolare, ai contratti di prossimità previsti dall’art. 8. Prima dell’entrata in vigore dell’art. 8 della legge n. 148/2011, l’assenza di una compiuta disciplina legislativa inerente l’efficacia soggettiva dei contratti collettivi aziendali creava potenzialmente dei problemi inerenti all’applicabilità delle clausole contrattate alla totalità dei lavoratori presenti all’interno della struttura produttiva a cui il contratto si riferiva soprattutto allorché si è diffusa la prassi di utilizzare il contratto aziendale non esclusivamente con finalità acquisitiva, ma anche ablativa o gestionale (la c.d. “contrattazione in perdita”). Nessun problema sorge infatti ai fini del valore erga omnes del contratto aziendale laddove si abbia a che fare con contratti acquisitivi, in quanto appunto migliorativi dei trattamenti dei lavoratori, rispettosi del principio del favor verso quest’ultimo ed insuscettibili di causare eventuali dissensi individuali: in tali casi è stato sufficiente riferirsi a principi quali l’idea della vincolatività del contratto per l’intera “comunità aziendale” o la sufficienza della sottoscrizione del contratto da parte del datore di lavoro. I dubbi relativi all’efficacia generale della contrattazione aziendale hanno riguardato la contrattazione gestionale, soprattutto, come abbiamo visto, nel momento in cui interviene un dissenso esplicito da parte del lavoratore o del sindacato cui quest’ultimo è associato. L’art. 8 non detta una disciplina generale, ma regolamenta solo alcune ipotesi determinate. Infatti, il sistema alternativo creato dal suddetto articolo è destinato ad operare solo al ricorrere [continua ..]
Attraverso le varie pronunce della Corte costituzionale emerge come la sua posizione sia stata, da un lato, di rigida e ferma difesa della norma costituzionale [60], da un punto di vista letterale e formale, ma, dall’altra parte, si può riscontrare un atteggiamento più flessibile quando, per salvare alcune normative sottoposte al suo vaglio di legittimità, non ha esitato a ricorrere ad espedienti interpretativi [61]. In altri termini, tutte le volte in cui ha trovato nei vari provvedimenti legislativi uno scopo “ragionevole” ed un testo manipolabile, la Corte ha manifestato una sorta di presunzione di legittimità non esplicita allo scopo di “supplire” al vuoto normativo lasciato dalla mancata attuazione dell’art. 39 Cost., commi 2 ss. Certo è che “la mancata attuazione dell’art. 39 ha condizionato negativamente tutto lo sviluppo successivo del diritto sindacale, ostruendo la via di una qualunque regolazione legislativa che fosse diversa da quella costituzionalmente prevista con un’incidenza paralizzante sulla legislazione sindacale” [62], fino al discusso art. 8, “giustificato” solo per il bene comune tanto che anche la recente sentenza della Corte Cost. n. 52 del 2023, ha trovato modo di non pronunciarsi sulla sua illegittimità costituzionale dichiarando inammissibile la questione posta dalla Corte di appello di Napoli [63] per lasciare le parti sociali libere di operare per come possono fuori dalle griglie dell’art. 39, in via di eccezione di una regola mai attuata. Il problema vero è a monte e risiede nell’art. 39, commi 2-4, Cost. che, come una stella morta di cui continuiamo a vedere la luce a distanza di 75 anni dalla sua previsione [64], non regge più, è anacronistico, avvinto, per contrapposizione, al sistema corporativo del quale è il figlio buono ma che di quel periodo ne porta l’impronta tanto che il timore sindacale di ingerenze da parte dello Sato fu il primo motivo ostativo alla sua attuazione e già nel 1957 la Corte cost. definiva “astratta” la “specie” di contratto collettivo ivi prevista [65]. Le altre ragioni storiche di questa inadempienza costituzionale, voluta dagli stessi sindacati, sono ampiamente note; ci si chiede se oggi quelle stesse ragioni siano ancora valide, se non rientri nel “bene comune”, [continua ..]