Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
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Patto di prova e specificazione delle mansioni (di Maria Novella Bettini, Professoressa ordinaria di Diritto del lavoro – Università Mercatorum)


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Cassazione civile, Sez. lav., 20 febbraio 2023, n. 5264 – Pres. Doronzo – Rel. Cinque

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Il patto di prova apposto al contratto di assunzione che non soddisfi il requisito della forma scritta, non contenendo alcuna descrizione delle mansioni oggetto dell'esperimento, neppure con il richiamo alle declaratorie della contrattazione collettiva, è nullo.

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SOMMARIO:

1. Il patto di prova: forma e specificazione delle mansioni - 2. Durata del patto di prova: proroga e rinnovo - 3. Diritti e obblighi delle parti - 4. Scadenza del periodo di prova e recesso - 5. Patto di stabilità - NOTE


1. Il patto di prova: forma e specificazione delle mansioni

La sentenza in epigrafe affronta la particolare questione della specificazione delle mansioni attribuite al lavoratore nel corso del periodo di prova ed offre lo spunto per talune riflessioni sulle caratteristiche del relativo patto e sul perimetro di legittimità del medesimo. Nel contratto di lavoro subordinato, l’assunzione in prova del prestatore, disciplinata dall’art. 2096 c.c., ha subìto una serie di rilevanti interpretazioni da parte della dottrina e della giurisprudenza che ne hanno precisato il significato ed il contenuto pur senza snaturarne la funzione, consistente, come è noto, nell’effettuazione di un periodo di prova allo scopo di sperimentare reciprocamente la convenienza del rapporto lavorativo prima che lo stesso diventi definitivo [1]. Durante il periodo “sperimentale” il prestatore si trova in una situazione di svantaggio non solo perché non sa se il suo contratto di lavoro sarà confermato, ma anche perché non trova applicazione la disciplina limitativa del licenziamento. In ragione di questa particolare debolezza, la lettura preminente del patto di prova appare prevalentemente difensiva ed unilaterale, più che attenta agli interessi dell’impresa. Le soluzioni interpretative sono cioè volte a rafforzare la tutela del lavoratore nei confronti dell’uso distorto dell’istituto da parte datoriale e a ricondurlo nell’ambito di una corretta applicazione della ratio legis che informa la norma codicistica. Solo in tempi recenti aumenta l’attenzione verso un maggiore bilanciamento fra garanzie del lavoratore e interessi dell’impresa, soprattutto con riguardo alla possibile reiterazione del patto di prova quando vi sia la necessità per il datore di lavoro di verificare, oltre alle qualità professionali, anche il comportamento e la personalità del lavoratore in relazione all’adempimento della prestazione, la sua complessiva idoneità alle mansioni affidate ed al contesto aziendale e le reali capacità organizzative, propositive, di direzione e coordinamento (v. infra paragrafo successivo). Tale bilanciamento disegna un istituto equilibrato e dotato delle necessarie garanzie per ambo le parti del rapporto di lavoro e pone la questione se il legislatore, anziché persistere nelle numerose revisioni della disciplina del contratto a termine, non possa più semplicemente [continua ..]


2. Durata del patto di prova: proroga e rinnovo

Sebbene la profonda evoluzione subita dal mondo lavorativo, soprattutto con le moderne variazioni inerenti al tempo e al luogo della prestazione, avrebbe potuto indurre a ripensare i confini temporali del patto di prova, il limite di durata dell’esperimento, sulla base di una valutazione a priori del carattere sfavorevole (per il lavoratore) del patto stesso, è da tempo fissato, con carattere perentorio, dalla legge e cioè: sei mesi per tutti i lavoratori [24] (art. 10, legge n. 604/1966; art. 7, d.lgs. n. 104/2022, c.d. Decreto Trasparenza) e tre mesi per gli impiegati non aventi funzioni direttive (art. 4, r.d.l. n. 1825/1924) [25]. Più specificamente, in base all’art. 7, comma1, d.lgs. n. 104/2022: “Nei casi in cui è previsto il periodo di prova, questo non può essere superiore a sei mesi, salva la durata inferiore prevista dalle disposizioni dei contratti collettivi” [26]. Il legislatore ha poi stabilito che, “in caso di sopravvenienza di eventi, quali malattia [27], infortunio, congedo di maternità o paternità obbligatori, il periodo di prova è prolungato in misura corrispondente alla durata dell’assenza” (art. 7, comma 3, d.lgs. n. 104/2022). Tali eventi di sospensione tutelata della prestazione determinano l’automatico prolungamento del periodo dedotto in contratto in misura corrispondente alla durata dell’assenza. Come precisato dal Ministero del lavoro, l’indicazione di tali assenze, coerentemente con quanto previsto nella direttiva UE 2019/1152, relativa alle condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea e come si evince dal tenore letterale della disposizione, non ha carattere tassativo e dunque rientrano nel campo di applicazione della norma tutti gli altri casi di assenza previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva, fra cui anche i congedi e i permessi di cui alla legge n. 104/1992 (Ministero del lavoro, Circ. 20 settembre 2022, n. 19) [28]. Dal momento che la prova deve avere ad oggetto la verifica dell’astratta idoneità del soggetto a svolgere quel tipo di attività e non certo la capacità professionale “immediata” [29], il periodo dell’esperimento potrà essere diverso, in termini di durata, a seconda di quella che sarà la qualifica da conseguire e non potrà superare né essere prorogato [continua ..]


3. Diritti e obblighi delle parti

Durante il periodo di prova il contratto di lavoro è definitivamente costituito, le parti godono appieno dei diritti [38] e degli obblighi tipici del rapporto di lavoro [39] ivi compresi il diritto alle ferie e all’indennità di fine rapporto [40]; decorre inoltre l’anzianità di servizio e al lavoratore spettano le mensilità aggiuntive; a seguito del recesso, poi, competono al lavoratore i ratei dei trattamenti maturati in proporzione al lavoro prestato. Vi è dunque una parificazione economica e normativa [41] tra lavoratori in prova e quelli non in prova [42]. Di conseguenza, durante il periodo di prova, il lavoratore ha diritto a: trattamento di fine rapporto (TFR); ferie retribuite[43]; quote di mensilità differite (es. tredicesima ed eventuale quattordicesima); decorso dell’anzianità di servizio. Più specificamente, il datore di lavoro ha l’obbligo di consentire l’esperimento che forma oggetto del patto di prova (art. 2096, comma 2, c.c.). In attuazione di tale obbligo, deve permettere al lavoratore di dimostrare le sue capacità professionali e la sua affidabilità personale e non può, pertanto, (salvo l’ipotesi di una giusta causa) interrompere la prova prima che sia trascorso un periodo tale da consentire l’effettività della prova stessa o una durata minima eventualmente garantita [44]. A sua volta, il lavoratore ha l’obbligo di effettuare l’esperimento che forma oggetto del patto di prova ed è, pertanto, tenuto a dare concreta esecuzione al patto medesimo, osservando le clausole generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. e adempiendo agli obblighi tipici di ogni rapporto di lavoro, tra cui quelli di diligenza e fedeltà (artt. 2104 e 2105 c.c.).


4. Scadenza del periodo di prova e recesso

Al termine della prova, se le parti ritengono favorevole l’esito della reciproca verifica, l’assunzione diviene definitiva ed il periodo prestato si computa nell’an­zianità di servizio [45]. In tal caso, affinché il rapporto di lavoro si consideri definitivo, non è necessario che il datore di lavoro renda esplicita la sua volontà di confermare il lavoratore assunto in prova, essendo sufficiente che la prestazione lavorativa prosegua – anche per breve tempo – dopo la scadenza della prova medesima. Lo svolgimento di attività lavorativa dopo la scadenza del periodo di prova comporta pertanto l’automatica conversione del rapporto di lavoro in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato [46]. Il recesso anticipato, ossia durante il periodo di prova, è giustificato solo se avviene per giusta causa (art. 2119 c.c.) o per impossibilità della prestazione (artt. 1463 e 1464 c.c.) [47]. Altrimenti deve ritenersi ingiustificato e produttivo di conseguenze diversificate a seconda della parte che recede. Nel corso del periodo di prova o al termine della stessa, le parti sono libere di recedere dal contratto senza alcun obbligo di motivazione (art. 2118 c.c.) [48] – con l’eccezione del licenziamento dei disabili in cui viene richiesta una motivazione [49] al fine di consentire al giudice il controllo sui reali motivi del recesso per evitare che le particolari condizioni psico-fisiche del dipendente si risolvano in una valutazione aprioristica del datore di lavoro [50] – e senza essere tenute a dare il preavviso o a versare la relativa indennità sostitutiva (art. 2118 c.c.) [51]. Il datore di lavoro può intimare il recesso al lavoratore in prova anche in forma orale. L’obbligo di comunicazione scritta del licenziamento sorge, infatti, solo dal momento in cui l’assunzione del lavoratore diviene definitiva e, in ogni caso, decorsi i sei mesi dall’inizio del rapporto di lavoro, che costituiscono la durata massima del periodo di prova [52]. La discrezionalità di recedere del datore di lavoro sussiste anche quando la prova sia stata effettivamente superata in modo positivo ma unicamente sotto il profilo professionale. Ciò, in quanto il datore di lavoro è libero di recedere anche solo sulla base di una valutazione del comportamento complessivo del lavoratore, [continua ..]


5. Patto di stabilità

Le parti del contratto di lavoro possono impegnarsi a non recedere dal rapporto per un certo periodo di tempo inserendo un patto di stabilità (o clausola di durata minima garantita) [64]. L’accordo, inoltre, può essere pattuito in sede di costituzione del rapporto di lavoro ovvero durante lo svolgimento dello stesso [65]. Qualora le parti abbiano siglato un patto di stabilità per consentire l’effettività dell’esperimento, il recesso può avvenire solo dopo la scadenza del termine stabilito. La clausola di durata minima garantita può essere apposta nell’interesse del lavoratore o anche nell’interesse del solo datore di lavoro oppure di entrambi [66]. La clausola pattuita a favore del solo datore di lavoro (che limita la facoltà del lavoratore di recedere dal contratto) costituisce uno degli strumenti giuridici utilizzabili per fidelizzare il personale e trattenere i talenti evitando che risorse ormai specializzate siano assunte da aziende concorrenti. Tale clausola, pertanto, è utilizzata quando, all’inizio del rapporto di lavoro, la formazione del dipendente comporta per il datore di lavoro un investimento economico notevole. Si pensi all’assun­zione di un pilota da parte di una compagnia aerea che si assume i costi dell’ad­destramento per il conseguimento dell’abilitazione a condurre l’aeromobile. In tal caso, il dipendente si impegna, dietro specifico compenso o in ragione della possibilità di frequentare corsi di alta specializzazione a carico dell’azienda, a non dimettersi per un determinato periodo, salvo che sussista una giusta causa, e in caso di dimissioni anticipate si può prevedere che il lavoratore sia tenuto a corrispondere al datore di lavoro una determinata somma di denaro a titolo di penale (artt. 1382 e 1384 c.c.). Sovente tale penale viene fissata per importi decrescenti in relazione alla durata del rapporto stesso [67], oppure si stabilisce un risarcimento del danno commisurato ai costi che il datore ha sostenuto per l’addestramento del dipendente [68]. Il datore di lavoro non può chiedere insieme la prestazione principale e il pagamento della penale. La clausola di stabilità [69] non richiede un particolare requisito di forma (anche se sembra opportuno utilizzare la forma scritta) [70]. In presenza di un patto di stabilità, dal [continua ..]


NOTE