La riforma di cui al d.lgs. n. 36/2021 riscrive, tra le altre disposizioni, le regole del lavoro sportivo, unificando sotto una disciplina comune professionismo e dilettantismo ed introducendo la figura del volontario. Ai fini della disciplina dei rapporti di lavoro autonomo e subordinato, il legislatore mantiene la presunzione di lavoro subordinato per l'atleta e quella di lavoro autonomo, nella forma delle collaborazioni coordinate e continuative, per i lavoratori sportivi dilettanti. Viene infine estesa al lavoro sportivo, per quanto compatibile, la disciplina previdenziale e viene incentivata la formazione dei giovani atleti anche mediante l'utilizzo del contratto di apprendistato.
The reform pursuant to Legislative Decree no. lgs. no. 36/2021 rewrites, among other provisions, the rules of sports work, unifying professionalism and amateurism under a common discipline and introducing the figure of the volunteer. For the regulation of self-employment and employment relationships, the legislator maintains the presumption of subordinate work for the athlete and the presumption of self-employment, in the form of coordinated and continuous collaborations, for amateur sports workers. Finally, to the extent compatible, the social security discipline is extended to sports work and the training of young athletes is encouraged also through the use of the apprenticeship contract.
1. Lo scopo della riforma - 2. Il rapporto di lavoro sportivo - 2.1. Il rapporto di lavoro subordinato sportivo - 3. Il rapporto di lavoro professionistico - 4. Il rapporto di lavoro dilettantistico - 5. Il rapporto di lavoro dei volontari - 6. L’apprendistato - 7. Conclusioni - NOTE
Con il Titolo V del d.lgs. n. 36/2021 si è proceduto alla riscrittura della disciplina del rapporto di lavoro sportivo che, come noto, rappresenta un rapporto di lavoro speciale rispetto agli ordinari rapporti di lavoro [1]. Ed invero lo stesso legislatore, al comma 1 bis dell’art. 25 [2], ha esplicitato tale specialità, sancendo che: “La disciplina del lavoro sportivo è posta a tutela della dignità dei lavoratori nel rispetto del principio di specificità dello sport”. La Riforma introduce una revisione organica dei rapporti di lavoro nel mondo dello sport, disciplinando, con una faticosa tecnica per così dire a matrioska, la figura del lavoratore sportivo, comprensiva sia del lavoratore professionista che del dilettante, quella del lavoro subordinato sportivo, fino ad occuparsi della prestazione di lavoro del volontario (amatore) [3]. Il legislatore ha quindi scelto di porre fine alla tradizionale distinzione tra lavoratore sportivo professionista e dilettante, che vengono ora riuniti sotto la nozione di “lavoratore sportivo” (art. 25 d.lgs. n. 36/2021), caratterizzata dallo svolgimento di una prestazione di lavoro retribuita; viene poi disciplinata la prestazione sportiva dei volontari, contraddistinta dall’assenza di corrispettivo economico (fatti salvi eventuali rimborsi spese, premi e compensi occasionali) [4]. Uno dei punti qualificanti della riforma, dunque, consiste nel far assurgere, a differenza della precedente legge n. 91/1981 [5], gli sportivi dilettanti a veri e propri lavoratori sportivi che percepiscono un corrispettivo per l’attività svolta [6]. In tale prospettiva il legislatore prevede (art. 38 d.lgs. n. 36/2021) che l’area del professionismo si riferisce alle società che svolgono la propria attività sportiva con finalità lucrativa, nei settori che conseguono la relativa qualificazione dalle Federazioni Sportive Nazionali o delle Discipline sportive associate, mentre l’area del dilettantismo comprende quelle associazioni e società (inclusi gli enti del terzo settore) che svolgono “attività sportiva con prevalente finalità altruistica, senza distinzioni tra attività agonistica, didattica, formativa, fisica o motoria”. Nell’attuale impianto normativo, quindi, il carattere “professionistico” della prestazione sportiva continua [continua ..]
L’ambito dei soggetti che possono essere definiti lavoratori sportivi è elencato al primo periodo del primo comma dell’art. 25 del d.lgs. n. 36/2021 che li individua nell’atleta, nell’allenatore, nell’istruttore, nel direttore tecnico, nel direttore sportivo, nel preparatore atletico, nel direttore di gara [8]. Il secondo periodo dello stesso primo comma dell’art. 25 prevede inoltre che: “È lavoratore sportivo anche ogni tesserato, ai sensi dell’art. 15, che svolge verso un corrispettivo le mansioni rientranti, sulla base dei regolamenti dei singoli enti affilianti, tra quelle necessarie per lo svolgimento di attività sportiva, con esclusione delle mansioni di carattere amministrativo gestionale”. Pertanto, se al primo periodo sono previste le ipotesi tassative tipiche di lavoratore sportivo, il secondo periodo prevede una riserva in capo ai regolamenti sportivi che possono individuare i relativi lavoratori in coloro che svolgono mansioni necessarie allo svolgimento delle attività sportive. Lo stesso art. 25 del d.lgs. n. 36/2021, al comma 2, prevede poi che l’attività di lavoro sportivo possa costituire oggetto, secondo le regole generali, di un rapporto di lavoro subordinato ai sensi dell’art. 2094 c.c. o di un rapporto di lavoro autonomo ai sensi dell’art. 2222 c.c., ovvero di un rapporto di lavoro autonomo continuativo ai sensi dell’art. 409, comma 1, n. 3, c.p.c.; il riferimento esplicito alle collaborazioni coordinate e continuative previste dall’art. 409, comma 1, n. 3, c.p.c. è dovuto, a nostro avviso, alla specifica rilevanza che assume tale forma di lavoro nell’ambito del lavoro sportivo. Al comma 3 dello stesso art. 25 [9] si fa riferimento alla certificazione dei contratti di lavoro sportivo; in tale sede gli accordi collettivi stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale sono chiamati ad integrare i codici di buone pratiche previsti dal comma 4 dell’art. 78 del d.lgs. n. 276/2003. Nel caso di inerzia dell’autonomia collettiva, lo stesso comma 3 dell’art. 25 citato prevede che le commissioni di certificazione terranno conto degli indici individuati, entro 9 mesi dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 36/2021, dal Presidente del Consiglio o dall’autorità politica da questi delegata in materia di sport. A tal [continua ..]
L’art. 26, rubricato “Disciplina del rapporto di lavoro subordinato sportivo”, al comma 1 elenca specificamente la disciplina giuslavoristica non applicabile al medesimo, escludendo le norme statutarie sul controllo a distanza, sugli accertamenti sanitari, sulla reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi dell’art. 18 Stat. Lav., le norme sulla limitazione del licenziamento individuale alla legge n. 604/1966 e alla legge n. 108/1990, fatti salvi i licenziamenti discriminatori, la disciplina di cui al c.d. Rito Fornero della legge n. 92/2012 (art. 1, commi da 47 a 69), la disciplina dei licenziamenti ex d.lgs. n. 23/2015, la disciplina dei licenziamenti collettivi ai sensi dell’art. 24 della legge n. 223/1991, la disciplina delle mansioni di cui all’art. 2103 c.c. [11]. L’art. 26 prosegue poi ribadendo la possibilità di apporre un termine finale al rapporto non superiore a 5 anni (comma 2), prevedendo la possibilità di inserire una clausola compromissoria in caso di controversie (comma 5) [12], escludendo la possibilità di prevedere patti di non concorrenza (comma 6). Il legislatore della riforma non coglie però l’occasione di chiarire il tema controverso del trattamento di fine rapporto, riproponendo laconicamente, al comma 4 dell’art. 26, il dettato del precedente art. 4, comma 7, della legge n. 91/1981, ma estendendo comunque la sua applicabilità anche la lavoro dilettantistico. Ed invero, la norma sancisce la possibilità per le Federazioni sportive di prevedere la costituzione di un fondo gestito dai rappresentanti delle società e dei lavoratori sportivi per la corresponsione del trattamento di fine rapporto ai sensi dell’art. 2123 c.c., tuttavia non viene specificato se i fondi di previdenza volontaria siano sostituivi del trattamento di fine rapporto, ovvero se quest’ultimo spetti anche agli sportivi [13]. L’art. 2123 c.c. si limita, infatti, a prevedere la deducibilità dal trattamento di fine rapporto di quanto versato dal datore di lavoro ai fondi di previdenza, dando quindi per scontata la corresponsione del TFR in caso di assenza di un fondo. Tale interpretazione della norma inciderebbe pesantemente nella determinazione individuale dei compensi, visto che una parte della retribuzione dovrebbe essere corrisposta alla fine del rapporto, come avviene negli “ordinari” rapporti di lavoro.
Dopo aver previsto il quadro normativo del lavoro sportivo in generale, il legislatore procede a definire la fattispecie e la disciplina del lavoro sportivo nei settori professionistici e, va rimarcato sin d’ora, che tale disciplina si riferisce al solo lavoro sportivo prestato dagli atleti (art. 27, comma 2). La disposizione in questione pone una presunzione di subordinazione qualora il lavoro prestato dagli atleti si presenti come attività principale, ovvero prevalente, e continuativa. La previsione del comma 2 dell’art. 27 sopra citato differisce dal dettato della previgente disciplina di cui all’art. 3 della legge n. 91/1981 che poneva pur sempre una presunzione assoluta di subordinazione per il rapporto di lavoro sportivo degli atleti, ma con una definizione del tutto irriducibile a quella attuale [14]. L’attuale disposizione, invece, fa riferimento ad indici diversi che denotano la natura subordinata del rapporto e che sono gli indici relativi al carattere di attività principale, ovvero prevalente, nonché continuativa dell’attività dell’atleta. È vero che, sempre la stessa disposizione al comma 7, prevede che “Nel contratto individuale deve essere prevista la clausola contenente l’obbligo dello sportivo rispetto alle istruzioni tecniche e delle prescrizioni impartite per il conseguimento degli scopi agonistici”, ma la nozione di subordinazione del rapporto di lavoro non è comunque incentrata sull’elemento dell’eterodirezione della prestazione di lavoro previsto dall’art. 2094 c.c., bensì sugli elementi della continuità della prestazione e del carattere principale o comunque prevalente della stessa. La stessa disposizione di cui all’art. 27, al comma 3, riprendendo il testo del precedente art. 3 della legge n. 91/1981, prevede che la prestazione di lavoro dell’atleta professionista possa essere oggetto di un contratto di lavoro autonomo e detta gli elementi in presenza dei quali tale prestazione possa definirsi autonoma [15]. Ne consegue che la natura subordinata del rapporto di lavoro, così come definito nei suoi caratteri costitutivi e cioè il carattere principale/prevalente della prestazione e la sua continuatività, va letta in controluce anche alla stregua del comma 3, che definisce i caratteri del rapporto di lavoro autonomo. E ciò nel senso che se la [continua ..]
L’art. 28 del d.lgs. n. 36/2021 disciplina, invece, il rapporto di lavoro sportivo dilettantistico, prevedendo la sua natura autonoma, nella forma della collaborazione coordinata e continuativa [23], quando la durata della prestazione di lavoro non superi le 18 ore settimanali (esclusa la partecipazione alle manifestazioni sportive) e la prestazione di lavoro dedotta in contratto risulti coordinata sotto il profilo tecnico sportivo in osservanza dei regolamenti delle Federazioni sportive nazionali, delle Discipline sportive associale e degli Enti di promozione sportiva. Per il rapporto di lavoro dilettantistico, dunque, il legislatore adotta la tecnica della presunzione legale dell’autonomia, ritenendo autonomi quei rapporti di durata limitata nell’arco della settimana (massimo 18 ore esclusa la partecipazione ad eventi sportivi) e quei rapporti caratterizzati da un coordinamento dettato dai regolamenti sportivi [24]. In primo luogo la disposizione non chiarisce un aspetto fondamentale e cioè se tale limite temporale operi nei confronti di ciascun committente oppure nei confronti di più committenti. Anche se la lettera della legge potrebbe essere interpretata nel senso che operi nei confronti di ciascun committente, la sua ratio non può essere che quella di presumere l’autonomia di quei rapporti che impegnano complessivamente lo sportivo per un numero limitato di ore alla settimana, ciò che conduce a ritenere che il limite di 18 ore sia riferito al totale del tempo lavorato in favore di uno o più committenti. Deve essere poi evidenziata la diversa tecnica normativa utilizzata dal legislatore il quale, con riferimento all’atleta professionista presume la subordinazione, mentre con riferimento all’area del dilettantismo viene prevista l’opposta presunzione di autonomia, nella forma specifica, però, del lavoro autonomo continuativo. In tale prospettiva si deve rilevare come nell’area del dilettantismo è quindi sempre possibile rivendicare e provare una subordinazione, per così dire ordinaria ai sensi dell’art. 2094 c.c., vincendo tuttavia la presunzione di autonomia del lavoro svolto in quell’area, presunzione di autonomia nella forma della collaborazione coordinata e continuativa al ricorrere dei requisiti indicati dalla disposizione di legge [25]. Ora, è proprio con riferimento a tale presunzione di collaborazione [continua ..]
L’art. 29 del d.lgs. n. 36/2021 detta la disciplina delle prestazioni sportive dei volontari, e cioè di coloro che “mettono a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere lo sport, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ma esclusivamente con finalità amatoriali. Le prestazioni amatoriali sono comprensive dello svolgimento diretto dell’attività sportiva, nonché della formazione, della didattica e della preparazione degli atleti”. Ai sensi del comma 3 dell’art. 29, le prestazioni sportive di volontariato sono incompatibili con qualsiasi rapporto di lavoro autonomo o subordinato, o con qualsiasi altro rapporto di lavoro sportivo. A tal riguardo va ricordato come nel diritto del lavoro ordinario, il lavoro subordinato gratuito non è riconducibile al tipo legale lavoro subordinato ex art. 2094 c.c. [29], potendo essere ricondotto esclusivamente alla disposizione di cui all’art. 1322 c.c., a condizione che l’interesse perseguito dalle parti sia meritevole di tutela e sia di ragno costituzionale. La figura dell’“amatore” sportivo si fonderebbe sostanzialmente su quella del “volontario” disciplinata dal Codice del Terzo Settore [30] e la sua prestazione di lavoro è oggetto di una presunzione di gratuità, specialmente quando, come in questo caso, è svolta nell’ambito di un ente riconducibile al terzo settore [31]. Si deve notare, però, come per l’amatore sportivo siano previsti rimborsi più limitati rispetto al volontario del terzo settore, perché circoscritti al territorio esterno all’ambito comunale della sua residenza. Ed invero, in favore del volontario sportivo, continueranno a poter essere rimborsate solo “le spese documentate relative al vitto, all’alloggio, al viaggio e al trasporto sostenute in occasione di prestazioni effettuate fuori dal territorio comunale di residenza del percipiente”. Probabilmente, per evitare disparità di trattamento tra i volontari sportivi e quelli del terzo settore, sarebbe stato più opportuno operare un rinvio tout court alla disciplina del terzo settore, anche al fine di recepire in toto le altre previsioni in materia di registro dei volontari e di autocertificazione delle spese [32].
Un’ulteriore interessante innovazione della Riforma di cui al d.lgs. n. 36/2021 è l’introduzione della figura dell’apprendista sportivo, potendo le società o associazioni sportive stipulare contratti di apprendistato per conseguire qualifiche, diplomi e specializzazioni professionali. La previsione è contenuta nell’art. 30, rubricato “Formazione dei giovani atleti”, con il quale il legislatore consente di ricorrere all’apprendistato al fine di valorizzare la formazione dei giovani atleti sia dal punto di vista sportivo che culturale e favorire le occasioni di lavoro anche dopo la carriera sportiva [33]. Il datore di lavoro sportivo, pertanto, potrà ricorrere all’apprendistato di primo livello (di cui all’art. 43 del d.lgs. 81/2015, per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria e superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore) e all’apprendistato di terzo livello (art. 45, d.lgs. n. 81/2015, per corsi di alta formazione e di ricerca). Infine, con la legge di bilancio 2022 (legge n. 234/2021) è stata estesa al mondo dello sport la possibilità di ricorrere anche all’apprendistato professionalizzante (art. 44, d.lgs. n. 81/2015), tipologia contrattuale inizialmente esclusa dal mondo dello sport. Si tratta, come noto, dell’apprendistato più utilizzato, perché volto a conseguire una qualificazione professionale prevista dai contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Rispetto alla disciplina ordinaria di cui all’art. 44 del d.lgs. n. 81/2015, che fissa il limite di età tra i 18 e i 29 anni, nel mondo dello sport il limite massimo è invece di 23 anni. La differenza principale tra l’apprendistato “sportivo” e quello “ordinario” sta nel fatto che la disciplina sportiva prevede il contratto di apprendistato come un contratto di lavoro a termine, mentre quella ordinaria lo disegna come un contratto a tempo indeterminato, fatta salva la possibilità di recedere alla scadenza del periodo formativo. Il contratto di apprendistato sportivo si risolverà, quindi, automaticamente alla scadenza indicata nel contratto e allo stesso non trovano applicazione i commi 3 (recesso per mancato raggiungimento degli obiettivi formativi), 4 (recesso al [continua ..]
Il legislatore della Riforma tenta – anche se permangono diverse ombre nella complessiva regolamentazione dell’impianto normativo – di modulare, per i vari rapporti di lavoro che vengono posti in essere nel “contenitore” del lavoro sportivo, la specialità degli stessi rispetto alla disciplina generale del rapporto di lavoro (autonomo e subordinato), procedendo con una tecnica normativa che da una disciplina generale, ma pur sempre speciale (il lavoro sportivo), arriva a cogliere la specificità di altri rapporti di lavoro definendone la fattispecie e la disciplina relativa. È proprio una delle ultime disposizioni (art. 37) che conforta la ricostruzione appena illustrata della legge di riforma, laddove il legislatore sente il bisogno di ribadire che, con riferimento all’attività di carattere amministrativo-gestionale, questa non rientra nella nozione di lavoro sportivo e quindi l’eventuale contratto di collaborazione coordinata e continuativa è assoggettata alla disciplina ordinaria del diritto del lavoro e cioè all’art. 409, comma 1, n. 3, c.p.c. Se da un lato è da apprezzare lo sforzo legislativo di ricondurre il lavoro dei dilettanti all’interno dei rapporti di lavoro tra lo sportivo e società o associazioni sportive, dall’altro risulta assente un’auspicata ulteriore distinzione nell’ambito dello stesso dilettantismo, essendo in questo modo accomunate società che partecipano a campionati sportivi di primario livello (ad esempio la serie A2 di pallacanestro) e realtà sportive prevalentemente amatoriali e ludiche (i piccoli circoli sportivi). In tale prospettiva è stata introdotta la figura dello sportivo amatoriale, che porta però con sé il problema del difficile accertamento della genuinità del volontariato nell’ambito dell’attività sportiva, al quale consegue l’onerosità o meno del contratto.