L'articolo, dopo aver ripercorso i vari momenti dell'evoluzione del rapporto tra sindacato e Stato, si propone di analizzare il ruolo del sindacato nell'attuale Stato democratico. Il sindacato, oltre alla regolazione collettiva di minimi di trattamento salariale ed extra salariale, in quanto corpo intermedio, anello tra società e Stato, contribuisce a consolidare la democrazia.
The article, after having retraced the various moments in the evolution of the relationship between trade unions and the State, aims to analyze the role of trade unions in the current democratic State. In addition to the collective regulation of minimum wage and extra-wage treatment, the trade union, as an intermediate body, a link between society and State, contributes to consolidating democracy.
1. Il contrastato sviluppo dei rapporti tra sindacato e Stato - 2. Tutela del lavoro e garanzia dei diritti sociali - 3. Sindacato come elemento essenziale dello Stato democratico - NOTE
Il presente elaborato trae ispirazione da un’osservazione del prof. Perone in un convegno del 23 giugno 2022 presso Universitas Mercatorum di Roma dove ha affermato “non c’è sindacato senza democrazia e non c’è democrazia senza sindacato” [1]. A ben vedere, il delicato momento attraversato nel nostro Paese dalla evoluzione della scena politica e della realtà sociale induce ad un approfondimento del ruolo del sindacato nello Stato democratico, problema che oggi coinvolge aspetti essenziali della vita dell’ordinamento e della società stessa. Si è indotti a chiedersi se l’assetto dei rapporti venutosi a creare tra Stato e sindacato, e in particolare la posizione ricoperta al giorno d’oggi dal secondo, rispondano ancora al disegno costituzionale e come il sindacato oggi possa restare coerente con la sua natura e con la sua fondamentale vocazione e divenire, allo stesso tempo, promotore e garante dello Stato democratico in cui opera. È noto che l’assetto dei rapporti tra sindacato e ordinamento ha attraversato fasi diverse [2], in parallelo con quelle che hanno contraddistinto il processo di emersione a livello giuridico del movimento operaio quale conseguenza diretta della prima rivoluzione industriale. Anche in Italia alla qualificazione giuridica del sindacato, pur se in ritardo rispetto ad altri paesi europei dove la rivoluzione industriale aveva già compiuto significativi progressi, si perviene attraverso un faticoso itinerario che palesa la difficoltà dell’ordinamento ad accettare la presenza e l’attività della coalizione operaia. Ad una fase iniziale di assoluta inibizione del fenomeno sindacale, connotata dal divieto delle coalizioni “sotto qualsiasi denominazione” e dalla repressione penale, segue, con la rimozione del preesistente divieto intervenuta all’atto dell’entrata in vigore del codice penale del 1889, un’altra fase di tolleranza che, tuttavia, relega il sindacato e la sua azione di autotutela nell’area dell’indifferente giuridico, in ragione di una disciplina della soggettività giuridica, che, nell’impostazione individualistica del codice civile dell’epoca, non contempla gli enti collettivi. Con l’affermarsi all’interno della classe dirigente liberale di esponenti propensi ad un atteggiamento di apertura al dialogo con [continua ..]
Un diverso modello di rapporto tra Stato e sindacato è registrabile dall’entrata in vigore della Costituzione repubblicana. Va sottolineato che, fin dai primordi, il principio protettivo dei lavoratori, identificativo e coessenziale al diritto del lavoro, è stato indirizzato alla correzione di manifesta fragilità della posizione contrattuale tipica rispetto al datore di lavoro [16]. La focalizzazione del principio protettivo sulla posizione di debolezza contrattuale del prestatore rispetto al datore di lavoro, ha tradizionalmente contrassegnato il diritto del lavoro sin dai primi interventi legislativi dello Stato in chiave frammentaria [17] ed ha proseguito allorché l’intervento legislativo statale ha acquisito sistematicità col passaggio dalla legislazione del lavoro speciale alla incorporazione del diritto del lavoro nel codice civile. La tutela è stata perseguita attraverso la correzione dell’asimmetria del rapporto tra le parti dei contratti individuali di lavoro, grazie a tutele compensative del soggetto esposto per la sua fragilità agli effetti negativi della sovrabbondanza dell’offerta di lavoro in ordine ai livelli di remunerazione e rischi di disoccupazione. Fin dalle origini l’intervento dello Stato si è orientato sulla correzione della posizione di debolezza della condizione del prestatore di lavoro, contraente debole nella relazione contrattuale col datore di lavoro. La tutela è stata realizzata attraverso l’inderogabilità di leggi protettive incidenti direttamente sulla disciplina dei rapporti individuali di lavoro, ma altresì mediante l’utilizzazione degli strumenti collettivi di autonomia privata sovrapponibili a quelli dell’autonomia individuale. La prospettiva si amplia a seguito dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, quando l’autonomia privata, nel regime di libertà sindacale sancita nell’art. 39 Cost., comma 1, recupera un fondamentale spazio di tutela seguendo la tradizionale impostazione di perfezionamento del sistema di tutele minimali del lavoratore disposte legislativamente, colmando spazi che la legge difficilmente può coprire. L’iniziativa sindacale insieme alla inderogabilità della legislazione protettiva recupera il suo ruolo a livello collettivo e opera accanto alla legislazione per l’attuazione dei principi [continua ..]
Da quanto sopra osservato, discende una configurazione del sindacato come elemento essenziale dello Stato democratico e si comprende l’importanza di tale configurazione da parte dell’ordinamento come parte integrante della struttura dello Stato democratico. I tratti essenziali della democrazia sociale implicano non solo finalità più larga di quella del tradizionale Stato liberale, ma anche il fatto che a perseguire dette finalità concorrono forze sociali. Lo Stato sociale si qualifica per tale non solo per i suoi fini ma altresì per i modi in cui intende realizzarli, strumento all’uopo di primaria rilevanza è appunto il sindacato per le ragioni di cui sopra. La considerazione acquista particolare rilievo nel momento in cui l’attuale scena nazionale è contrassegnata dalla scissione tra cultura, società e politica – come rilevato dall’acuta osservazione di De Rita [58] – e dalla emersione, in concorrenza con la tradizionale iniziativa sindacale, di una nuova forma di organizzazione dei ceti subalterni (ora peraltro potenziata dalla convergenza di strati di ceto medio in crisi e in decadenza) nella quale emerge, a seguito dell’accrescimento della distanza tra ceti dominanti e ceti subalterni, una massa incoerente e indeterminata di soggetti che nutrono la loro aggregazione dal rancore provato nei confronti di chi occupa gradini più elevati nella scala sociale, una massa di soggetti che presentano rivendicazioni individuali ma non sono in grado di contribuire ad un disegno collettivo e difetta loro la capacità di elaborare una sintesi razionale delle loro pulsioni sulla quale stabilire il confronto e l’eventuale dialogo con le istituzioni pubbliche. Questa massa nasce da esigenze reali di parità ma le sue istanze di partecipazione si risolvono in postulazioni di benefici al di fuori di un programma organico al cui centro sia collocato il lavoro. Una tale situazione indebolisce la democrazia cui difetti l’apporto di organizzazioni di lavoro integrate volte alla proposizione di un positivo programma di crescita degli organizzati (“borderline” e “outsiders”) nel quadro dello sviluppo della società nazionale. Appare, pertanto, fondamentale ridefinire il ruolo del sindacato nell’attuale sistema di relazioni industriali [59] e il suo rapporto dialettico con i pubblici [continua ..]