Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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Il lavoro nella transizione ambientale (di G. Maurizio Ballistreri, Professore associato di Diritto del lavoro – Università degli Studi di Messina)


Si è sviluppata una nuova consapevolezza sui temi ambientali, con la diffusione del concetto di “Just transition”. Una tematica che evidenzia l'esigenza di una riflessione da parte della dottrina giuslavoristica, sul rapporto tra luogo della produzione, svolgimento della prestazione di lavoro e tutela ambientale, come sembra avvenire anche da parte delle relazioni industriali in Italia.

Work in the environmental transition

A new awareness of environmental issues has developed, with the diffusion of the concept of “Just transition”. An issue that highlights the need for a reflection by the labor law doctrine, on the relationship between the place of production, the performance of the work performance and environmental protection, as also seems to happen on the part of industrial relations in Italy.

SOMMARIO:

Introduzione - 1. Il bilanciamento tra diritto al lavoro e tutela dell’ambiente - 1.1. La riflessione giuslavoristica - 2. La riforma costituzionale degli artt. 9 e 41. La legge n. 1/2022 - 2.1. Il dibattito sull’art. 41 Cost. e l’utilità sociale - 3. Il post-fordismo e l’ambiente - 4. Lavoro e ambiente - 5. Relazioni sindacali per la compatibilità ambientale - NOTE


Introduzione

L’economia 4.0 [1] ha segnato da tempo il superamento del sistema produttivo taylorista-fordista [2], basato su grandi economie di scala e masse di salariati addetti a lavori ripetitivi e non qualificati, con forti vincoli di solidarietà di classe, di ceto, di gruppo o di comunità – ma non ha consentito il necessario passaggio ad un lavoro rispettoso dell’ambiente, non solo dell’ambiente “di lavoro”, che comunque rappresenta un’emergenza senza fine in Italia, quanto dell’ambiente come natura, con le sue sofferenze e le sue istanze ecologiche ormai ultimative, che nessuno – se non l’uomo stesso – può raccogliere. È stato analizzato opportunamente come l’inquinamento produca conseguenze negative non solo per l’ambiente, ma anche a livello economico, generando lavori insalubri e disoccupazione [3]. I giovani che rifiutano il lavoro, di cui oggi si parla molto, lo fanno non solo per ragioni salariali o di esigenze di vita, ma anche perché si accorgono che i lavori proposti spesso non sono di tipo “sostenibile”. L’uso intensivo delle tecnologie e l’incremento dei ritmi produttivi, nel quadro di un’economia globalizzata – oggi in crisi – fondata sulla competitività, mettono in discussione il rapporto tra uomo e natura. In questo scenario si può osservare che il dramma della pandemia ha avuto un effetto traumatico sul sistema economico italiano e sul suo mercato del lavoro. Esso, però, ha avuto anche risvolti positivi, che invero sarebbe stato meglio se fossero avvenuti autonomamente e per presa di coscienza delle istituzioni e degli stakeholder collettivi, quali lo sviluppo dei trends già in corso e, in specie, la digitalizzazione dei processi produttivi e lavorativi, con la transizione verso un’economia green e sostenibile [4]. E questi trends sono stati valorizzati dall’Unione europea, che vi ha incentrato il progetto di rilancio del Vecchio Continente, attraverso l’ambizioso strumento di ricostruzione post-pandemica denominato Next Generation EU, con importanti risorse stanziate, a cui gli Stati membri attingono attraverso i propri Piani nazionali di ripresa e resilienza (PNRR).


1. Il bilanciamento tra diritto al lavoro e tutela dell’ambiente

La legge costituzionale n. 1/2022 ha riconosciuto la tutela dell’eco-sistema nella nostra Carta fondamentale, agli artt. 9 e 41, intervenendo per la prima volta sui principi fondamentali [5], con una chiara prospettiva comparata euro-unitaria, in ordine all’inserimento tra i valori costituzionalmente tutelati, per effetto dell’intervento sull’art. 9, quelli dell’ambiente, pure nel quadro dei rapporti economici, novellando l’art. 41 Cost. La novella costituzionale è arrivata dopo una serie di interventi della Corte costituzionale sul c.d. “caso-Ilva”: la sentenza 23 marzo 2018, n. 58, con cui ha affrontato (a Costituzione invariata) il tema dei vincoli ambientali all’iniziativa economica e prima con le pronunzie 9 maggio 2013, n. 85 e 13 luglio 2017, n. 182, sulla legittimità di uno dei numerosi c.d. “decreti Ilva” (il d.l. n. 98/2016, convertito dalla legge n. 151/2016), nonché della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che ha condannato lo Stato italiano per i fatti riguardanti il caso Ilva, riconosciuto colpevole della violazione degli articoli 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 13 (diritto a un ricorso effettivo) [6]. In particolare, nella “Vicenda-Ilva”, si deve osservare che con l’approvazione del d.l. n. 207/2012, convertito con modificazioni nella legge 24 dicembre 2012, n. 231 [7], e la pronunzia della Consulta 9 maggio 2013, n. 85 [8], si evidenziano le ragioni di principio a favore del necessario bilanciamento [9] tra il diritto alla salute e il diritto al lavoro, ma quest’ultimo inteso nella sua concreta connessione al diritto alla produzione. In altri termini, il bilanciamento tra diritto alla salute e diritto alla produzione non può essere realizzato, senza tenere in conto le ricadute sociali delle limitazioni che tale bilanciamento produce sul diritto all’occu­pazione. Secondo la Corte l’aspetto teleologico del d.l. n. 207/2012 risiede “nella realizzazione di un ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, in particolare alla salute (art. 32 Cost.), da cui deriva il diritto all’am­biente salubre, e al lavoro (art. 4 Cost.), da cui deriva l’interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali ed il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso. [continua ..]


1.1. La riflessione giuslavoristica

È di tutta evidenza, che tale nuovo assetto della tematica evidenzia l’esigenza di una riflessione da parte della dottrina giuslavoristica, per i riflessi sul rapporto tra luogo della produzione, svolgimento della prestazione di lavoro e tutela ambientale [10], anche in ordine ai mutamenti climatici e all’evoluzione delle tecnologie di protezione ambientale [11]. Sotto il profilo storico-evolutivo la scienza lavoristica ha sviluppato significative analisi sul terreno dei rapporti tra ambiente di lavoro e contesto ambientale, specie per l’applicazione delle norme in materia di salubrità dei luoghi di lavoro e di sicurezza [12]. Più di recente il tema è stato affrontato nell’ambito del dibattito sulla sostenibilità ambientale della produzione [13], superando gli spazi analitici ristretti del passato, per divenire terreno di impegno dottrinale complessivo in ambito giuslavoristico [14], anche per la ricerca di una nuova strumentazione per governare la questione del­l’ambiente. Il tema, quindi, appare l’esigenza di un modello di sviluppo sempre più sostenibile sul versante ambientale, sulla falsariga dei principi della responsabilità sociale dell’impresa, senza peraltro fare concessioni né a tendenze come quella della decrescita felice né ad un anti-industrialismo di principio. E occorre qui ricordare come recenti ed originali ricerche della dottrina giuslavoristica tendano ad aggiornare lo stesso paradigma del diritto del lavoro, integrando la sostenibilità ambientale tra i valori che la regolazione giuslavoristica è chiamata a perseguire, percorrendo così il tratto di strada che dal lavoro sicuro (obiettivo peraltro tut­t’altro che raggiunto) conduce al lavoro sostenibile. Questo percorso di ricerca si snoda lungo la direttrice indicata dalla combinazione tra l’art. 2087 c.c. e il d.lgs. n. 81/2008, secondo la quale l’obbligo di sicurezza sarebbe finalizzato a soddisfare, oltre all’interesse dei lavoratori, anche interessi ed obiettivi più generali, accreditando una dimensione pubblicistica dell’apparato prevenzionistico in materia di salute e sicurezza [15].


2. La riforma costituzionale degli artt. 9 e 41. La legge n. 1/2022

La richiamata riforma costituzionale è intervenuta aggiungendo un nuovo terzo comma all’art. 9 Cost., secondo cui la Repubblica “Tutela l’ambiente, la biodiversita’ e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali” e novellando l’art. 41, secondo e terzo comma, Cost.: “Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”. Sono di tutta evidenza i riflessi in ambito lavoristico conseguenti alla modifica dell’art. 41 Cost., poiché la libertà d’impresa non è più soltanto assoggettata ai limiti dell’utilità sociale e delle previsioni costituzionali in materia lavoristica, ma anche a quelli del vincolo ambientale.


2.1. Il dibattito sull’art. 41 Cost. e l’utilità sociale

La riforma costituzionale è intervenuta, quindi, sull’art. 41, che, come è noto, riveste una funzione fondamentale nel titolo III [16], indicando l’inscindibilità delle esigenze della produzione e quelle dell’ambiente, riferite quindi all’utilità sociale [17]. Ciò trova conferma dalla giurisprudenza, segnatamente quella costituzionale, in cui viene messa chiaramente in risalto la necessità di individuare un punto di equilibrio tra esigenze economico-produttive e tutela della salute e dell’ambiente [18]. Si guardi proprio alla sentenza n.85/2013, relativa alla vicenda dell’ILVA di Taranto e, quindi, come la Corte ha sottolineato anche successivamente  [19] – i valori costituzionali devono essere “ponderati nella misura strettamente necessaria ad evitare il completo sacrificio di uno di essi nell’ottica di un tendenziale principio di integrazione”  [20]. La prospettiva appare, quindi, la limitazione dell’iniziativa economica per una tutela generalizzata di tutti i cittadini e non, secondo una dottrina più risalente, solo ai lavoratori dipendenti, a cui garantire libertà e dignità, in ossequio all’art. 3, comma 2, e alla concreta previsione dell’art. 36 Cost. Alle elaborazioni dottrinali e alla giurisprudenza costituzionale – che sostengono l’allargamento della nozione di utilità sociale oltre il perimetro del lavoro subordinato – si deve la tutela della salute psico-fisica da possibili inquinamenti derivanti dall’intrapresa economica, evidenziando, però, un intervento riformatore senza funzione di tipo precettivo, segnato soltanto da finalità dichiarative di un principio largamente diffuso in ambito euro-unitario.


3. Il post-fordismo e l’ambiente

La parabola della crescita senza limiti dell’industrializzazione, fondata sulla fabbrica e sulle macchine [21], si è sviluppata in poco più di un secolo. Se si considerano i paesi sviluppati, l’arco cronologico va all’incirca dal 1850 al 1970 e dai primi del ’900 si caratterizzò per la diffusione del sistema taylorista-fordista. L’affermazione del capitalismo industriale, nel cui ambito si sviluppa il movimento operaio [22], produce contemporaneamente la questione ambientale moderna e la sua obliterazione con l’accettazione dei costi relativi, e la conseguente incidenza sulle persone, in primo luogo sui lavoratori, e sull’ambiente [23]. Negli anni ’70 del Novecento il processo di industrializzazione subisce un freno con fenomeni di deindustrializzazione, dalla fenomenologia molto complessa (crisi delle aree di vecchia industrializzazione, diffusione territoriale della piccola e media impresa, delocalizzazione in paesi poveri con la pratica del dumping sociale). Ed è in questa fase di ristrutturazione del sistema industriale, che nasce il movimento di opinione ambientalista e variamente antindustrialista. Si affacciano e si moltiplicano le istanze postmaterialistiche, acutamente analizzate da R. Inglehart [24]. E mentre si appresta a vincere la sfida con il sistema collettivistico, il capitalismo abbandona la promessa di uno sviluppo universalistico e di una democrazia dei consumi; preso atto che esistono limiti ambientali alla crescita e limiti sociali allo sviluppo, viene messa in atto una strategia di aggiramento e di adattamento al mutato contesto.


4. Lavoro e ambiente

L’assunzione della questione ambientale nella nostra Carta costituzionale, collocata nel cuore della parte economica, all’art. 41, deve imporre una riflessione anche alla dottrina giuslavoristica sul tema della sostenibilità [25], non ignorando “il diritto vivente e il ruolo fondamentale, non solo integrativo, della giurisprudenza” [26], sviluppando il filone dottrinale che sostiene la necessità per il diritto del lavoro di abbandonare la tendenza a trascurare le questioni ambientali [27]. È stato rilevato che “Se lo sviluppo sostenibile rappresenta una nuova frontiera per ripensare il diritto del lavoro in termini più aderenti al rispetto del valori sociali ed ambientali, deve riconoscersi che lo sviluppo economico, nelle modalità sinora perseguite e nel suo rapporto con la sfera socio-ecologica, è ancora largamente insostenibile: basti pensare alla costante crescita della povertà e delle diseguaglianze, al degrado sociale e ambientale prodotto dalla globalizzazione economica, alle conseguenze del riscaldamento globale sulla vita delle persone e sull’am­biente” [28]. Allo scopo di fugare l’erronea dicotomia lavoro-ambiente, occorre affrontare la questione relativa alla minaccia che il capitalismo industriale arreca alla sostenibilità della nostra esistenza sulla Terra [29]. Ha scritto a tal proposito Alain Supiot: “Incapace di cogliere i limiti delle risorse naturali, la rivoluzione industriale ha favorito il loro sovrasfruttamento, spingendo il nostro pianeta in quella che alcuni oggi chiamano l’era dell’“antropocene”, ossia un’epoca segnata dall’impatto determinante dell’attività umana sull’ecosistema terrestre” [30]. Un’analisi che indica l’esigenza di collocare il lavoro nella sua intrinseca dimensione umana e non nella prospettiva di una sua mercificazione che lo svalorizza, fondamentale per ridimensionare la nostra scala valoriale e per pianificare il lavoro adattandolo ai nostri bisogni più autentici. Perché, in fondo, è proprio l’arti­ficialità della esistenza umana che induce l’alienazione dalla dimensione naturale. Non è dunque possibile analizzare il rapporto tra lavoro e ambiente al di fuori del sistema di produzione in cui si sviluppa, poiché non esiste una possibile [continua ..]


5. Relazioni sindacali per la compatibilità ambientale

Più di recente si deve registrare un diverso atteggiamento verso il tema dell’am­biente, sia da parte tanto delle imprese che del sindacato: la transizione ecologica dell’economia sembra essere entrata definitivamente nell’agenda delle relazioni sindacali, anche se i risultati del dialogo tra impresa e lavoro non siano ancora soddisfacenti [36]. Certo, imprese e sindacati hanno compiuto su questo terreno molti passi avanti. Nel 1992 la Fondazione di Dublino pubblicò il primo rapporto su relazioni industriali e ambiente [37], evidenziando come il tema della protezione dell’ambiente non era nel novero delle priorità per le imprese, ritenuto un costo aggiuntivo, né per i sindacati, che ne temevano le conseguenze sul piano della tutela dei livelli di occupazione. Se, infatti, nel breve periodo la tutela dell’ambiente può rappresentare un costo sia per l’impresa che per il lavoro, (si pensi, da un lato, agli oneri legati alla riconversione green delle aziende e, dall’altro, alla perdita di posti di lavoro anche per via del superamento di alcune professionalità), è sul lungo periodo che dimostra evidenti vantaggi per le parti del rapporto: si pensi alla conservazione delle risorse necessarie alla produzione, allo sviluppo di nuove professionalità, al mantenimento dei livelli occupazionali, ai cosiddetti “lavori verdi”. Gli studiosi utilizzano l’espressione “lavori verdi” per indicare quelle occupazioni che rispondono a una finalità di tutela e promozione della qualità dell’am­biente. L’Organizzazione internazionale del lavoro e il Programma Ambientale delle Nazioni Unite (UNEP), in particolare, parlano di occupazioni verdi per definire “le posizioni in agricoltura, manifattura, edilizia, installazione, e manutenzione, così come le attività scientifiche e tecniche, amministrative e legate ai servizi, che contribuiscono sostanzialmente a preservare o ristabilire la qualità ambientale. Nello specifico, anche se non esclusivamente, sono compresi i lavori che aiutano a proteggere e ripristinare gli ecosistemi e la biodiversità; a ridurre il consumo di energia, risorse e acqua, attraverso strategie ad alta efficienza o di risparmio; a rendere l’economia meno dipendente dal carbonio; a minimizzare o insieme a evitare la creazione di ogni forma di rifiuto e [continua ..]


NOTE