Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
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Corte costituzionale e incentivo all'autoimprenditorialità (di Giovanni Raffaele Valensise, Funzionario 4Manager)


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Corte Costituzionale (22 settembre 2021) 14 ottobre 2021, n. 194 – Pres. Coraggio, Red. Amoroso

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Non è fondata, in riferimento all’art. 3, comma 1, Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 4, del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 22, nella parte in cui prevede che il lavoratore che instaura un rapporto di lavoro subordinato prima della scadenza del periodo per cui è riconosciuta la liquidazione anticipata della NASpI è tenuto a restituire per intero l’anticipazione ottenuta, poiché la restituzione per intero del contributo erogato in via anticipata anche quando, per la limitata durata del rapporto di lavoro subordinato instaurato, non sia stata compromessa la finalità dell’incentivo, per essere proseguita l’attività autonoma o di impresa avviata grazie allo stesso, è coerente con la finalità antielusiva della disposizione, atta ad evitare che il trattamento corrisposto in via anticipata non sia realmente utilizzato per intraprendere e poi proseguire un’attività di lavoro autonomo, di impresa o in forma cooperativa, né emerge una sproporzione manifestamente irragionevole in quanto la disposizione ha un orizzonte temporale di durata limitata.

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SOMMARIO:

1. La questione sottoposta alla Corte - 2. Le motivazioni dell’ordinanza di rimessione - 3. La posizione della Consulta - 4. Considerazioni conclusive - NOTE


1. La questione sottoposta alla Corte

Con la sentenza in commento, la Corte Costituzionale è stata chiamata a risolvere la questione sollevata dal Tribunale di Trento, che dubitava della legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 4, del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 22, in relazione all’art. 3 Cost., «nella parte in cui prevede – nel caso di instaurazione, da parte del beneficiario dell’incentivo all’autoimprenditorialità di un rapporto di lavoro subordinato prima della scadenza del periodo afferente la NASpI liquidata anticipatamente – l’obbligo, a carico del medesimo beneficiario, di restituire per l’intero l’anticipazio­ne ottenuta, anziché una somma corrispondente alla retribuzione percepita, qualora lo svolgimento del rapporto di lavoro subordinato non abbia inciso, specie in ragione della sua esigua durata, in misura apprezzabile sull’effettività e sulla continuità dell’esercizio dell’attività lavorativa o di impresa individuale, il cui avvio è stato favorito dall’erogazione dell’incentivo all’autoimprenditorialità» . Preliminarmente occorre ricordare che l’art. 8, comma 1 consente al disoccupato di ottenere la liquidazione anticipata della NASpI come incentivo all’autoimprendi­torialità [1], ovvero per svolgere un’attività autonoma e di impresa individuale o per la sottoscrizione di una quota di capitale sociale di una cooperativa nella quale il rapporto mutualistico ha ad oggetto la prestazione un’attività lavorativa da parte del socio. La dottrina [2] ha chiarito che la ratio della norma è di incentivare l’iniziativa autonoma individuale, quale forma alternativa rispetto al lavoro dipendente e attenuare la pressione sul mercato del lavoro. Autorevole dottrina [3], ha evidenziato che il rischio coperto dalla NASPI è la perdita del lavoro o guadagno, con disponibilità ma anche obbligo di collaborare per un nuovo lavoro. Nella sentenza in commento, la Corte ha chiarito la natura giuridica dell’in­cen­tivo all’autoprenditorialità richiamando quella giurisprudenza di legittimità [4] secondo la quale l’indennità di mobilità anticipata «perde la sua connotazione di tipica prestazione di sicurezza sociale, configurandosi piuttosto come contributo finanziario, [continua ..]


2. Le motivazioni dell’ordinanza di rimessione

Il Tribunale rimettente dubita della legittimità costituzionale della disposizione in esame in relazione a un ipotizzato contrasto con l’art. 3 Cost. per violazione del principio di razionalità (così nella sentenza ma rectius ragionevolezza) e di proporzionalità. Per quanto riguarda il primo profilo, il giudice a quo ritiene che sia appunto irragionevole «far discendere dalla mera instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato l’obbligo di restituire per intero l’anticipazione ottenuta anche quanto lo svolgimento del rapporto non abbia inciso sull’effettività e sulla continuità dell’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale il cui avvio è stato favorito dall’erogazione dell’incentivo all’autoimprenditorialità». Con riferimento al secondo motivo, ovverosia la presunta violazione del principio di proporzionalità, il rimettente ritiene che tale obbligo restitutorio «appare una misura sproporzionata rispetto all’obiettivo di evitare che l’incentivo all’autoim­prenditorialità» diventi lo strumento per perseguire delle finalità diverse da quelle disciplinate dal legislatore. Il giudice arriva a qualificare come sanzione la perdita di questo incentivo e sottolinea che nella disposizione manca un procedimento applicativo con contraddittorio anticipato e un sindacato giurisdizionale per quanto riguarda la proporzionalità.


3. La posizione della Consulta

Dopo avere superato le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa erariale [5], la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale sia per quanto riguarda la presunta violazione del principio di ragionevolezza e di proporzionalità. In merito al primo aspetto, la Corte sottolinea che la previsione dell’obbligo restitutorio serve ad evitare che il disoccupato abusi del suo diritto ad ottenere l’in­centivo all’autoimprenditorialità senza poi intraprendere effettivamente l’attività di lavoro autonomo o di impresa. L’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato costituisce per il legislatore una presunzione assoluta circa il fatto che il beneficiario non abbia effettivamente svolto le suddette attività. Sotto altro profilo, poi, la Corte non condivide la tesi sostenuta dal giudice a quo circa la natura di “sanzione” dell’obbligo restitutorio. Al contrario, la dottrina [6] ha chiarito che questo obbligo è l’effetto dell’avve­ramento di una condizione negativa e cioè dell’insufficienza del presupposto per l’erogazione della prestazione anticipata, ovverosia l’inizio e la prosecuzione di un’attività imprenditoriale autonoma. Per quanto riguarda, invece, il possibile contrato con il profilo del principio di proporzionalità, i Giudici costituzionali ritengono che non possa configurarsi una lesione dell’art. 3, in quanto l’obbligo restitutorio opera soltanto nel periodo in cui è riconosciuta la liquidazione anticipata della NASpI. Nelle proprie conclusioni, dunque, la Consulta finisce con il legittimare il bilanciamento operato dal Legislatore tra l’interesse del beneficiario all’autoimpren­ditorialità e quello a rientrare nel mercato del lavoro. Peraltro, nel dichiarare la non fondatezza della questione, la Corte rileva che l’art. 8 non consente il cumulo dell’incentivo all’autoimprenditorialità e il reddito derivante da lavoro dipendente nel momento in cui l’esercizio di quest’ultimo non abbia inciso di fatto sull’effettività o sulla continuità dell’attività per la quale è stato ottenuto l’anticipo della NASpI. E pur tuttavia, la Corte ritiene di non dover intervenire come chiesto dal giudice remittente, ritenendo che [continua ..]


4. Considerazioni conclusive

La norma oggetto dell’impugnazione come si è visto sopra vieta in sostanza il cumulo tra l’incentivo all’autoimprenditorialità e il reddito percepito in forza di un rapporto di lavoro subordinato. In primo luogo, questa norma si pone in discontinuità con l’art. 4 del d.m. 29 marzo 2013, n. 73380 che non prevedeva l’obbligo di restituire tutta l’in­den­nità anticipata – AspI – nel caso in cui il lavoratore avesse instaurato un rapporto di lavoro subordinato prima della scadenza del periodo in cui avesse diritto a tale indennità. In secondo luogo, la disposizione si pone in contrasto con la finalità del decreto legislativo n. 22/2015 che è quella di «fornire ai lavoratori licenziati un efficace sostegno alla ricollocazione nel tessuto produttivo e nella ricerca di nuova occupazione» [9]. Infine, è utile richiamare la sentenza della Corte Costituzionale n. 241 dell’11 novembre2016 che non ha accolto la censura di incostituzionalità dell’art. 72, comma 2, della legge n. 388/2000 che consentiva il cumulo della pensione di anzianità con il reddito da lavoro autonomo nel limite del 70%. Nella motivazione, la corte richiama numerosi precedenti in cui ha affermato che «la sussistenza di un’altra fonte di reddito può giustificare una diminuzione del trattamento pensionistico [10], in quanto la “funzione previdenziale della pensione non si esplica, o almeno viene notevolmente ridotta, quando il lavoratore si trovi ancora in godimento di un trattamento di attività [11]». Ne consegue che «tali restrizioni, che si pongono di per sé in contrasto con la tutela che la Carta fondamentale accorda al diritto al lavoro [12], prestano il fianco a censure di incostituzionalità quando implichino una sostanziale decurtazione del complessivo trattamento pensionistico, senza stabilire il limite minimo dell’emolumento dell’attività esplicata, oltre il quale la decurtazione diviene operante [13]-[14]». Infatti «la regolamentazione tra pensioni e redditi da lavoro interferisce con molteplici valori di rango costituzionale, come il diritto al lavoro (art. 4 Cost.), il diritto a una prestazione previdenziale proporzionata all’effettivo stato di bisogno (art. 38, comma 2, Cost.), la solidarietà tra le diverse [continua ..]


NOTE