L’indisponibilità negoziale dell’obbligazione contributiva caratterizza il nostro sistema previdenziale. Tuttavia negli ultimi tempi il legislatore non soltanto ha eccezionalmente autorizzato l’autonomia privata a derogare all’indisponibilità della contribuzione in fattispecie particolari, ma ha anche disposto direttamente egli stesso dell’obbligo contributivo con strumenti diversi. Il saggio ricostruisce sistematicamente l’evoluzione della regola generale dell’indisponibilità dell’obbligazione contributiva, concentrando l’attenzione soprattutto sulle deroghe (sempre più frequenti) poste dal legislatore a tale regola e sugli effetti conseguenti.
The negotiation undisposability of the contribution obligation characterizes our social security system. However, in recent times the legislator has not only exceptionally authorized private autonomy to derogate from the undisposability of contribution in particular cases, but has also directly disposed of the obligation to contribute with different instruments. The essay systematically reconstructs the evolution of the general rule of the undisposability of the contribution obligation, focusing above all on the (increasingly frequent) derogations set by the legislator to this rule and on the consequent effects.
Keywords: Social security – contribution obligation – undisposability – derogations.
1. L’indisponibilità (negoziale) dell’obbligazione contributiva come regola generale - 2. Le deroghe sulle sanzioni civili collegate automaticamente all’inadempimento contributivo - 3. Le deroghe riguardanti la stessa obbligazione contributiva: i) gli accordi sui crediti contributivi - 4. Segue: ii) il c.d. “saldo e stralcio” e il c.d. “stralcio delle mini-cartelle” - 5. Le previsioni e gli adattamenti per i liberi professionisti e gli enti previdenziali privati - 6. Gli effetti (diversi) sulla posizione previdenziale del lavoratore, ed i rapporti col DURC - NOTE
Per giurisprudenza (ed anche dottrina) consolidata, nei regimi previdenziali obbligatori (siano essi pubblici o privati che svolgono funzioni pubbliche, come gli enti previdenziali privati) l’obbligo di versare i contributi previdenziali ha natura inderogabile ed è, quindi, indisponibile [1]. Fondamento giuridico dell’indisponibilità è, come noto, l’art. 2115, comma 3, c.c. che dispone la nullità di qualsiasi patto diretto ad eludere l’obbligazione contributiva. Dunque, in quanto diritti (assolutamente) indisponibili, qualsiasi tipo di accordo raggiunto tra le parti del rapporto di lavoro non può mai avere ad oggetto, né tantomeno modificare (anche riducendo), l’obbligazione contributiva prevista dalle norme di legge imperative applicabili al regime previdenziale obbligatorio di riferimento. Ciò in quanto l’obbligazione contributiva, sorgendo direttamente dalla legge ed essendo destinata a soddisfare un interesse pubblico costituzionalmente tutelato (qual è la realizzazione della tutela previdenziale obbligatoria delle categorie di lavoratori assicurate) [2], è integralmente sottratta ad ogni possibilità di intervento da parte dell’autonomia dei privati. E del resto in alcuni casi ritenuti più gravi, ove l’omissione superi un determinato importo, l’inadempimento dell’obbligazione contributiva ha anche un rilievo penale, costituendo specifica fattispecie di reato [3]. Per tale ragione, sempre secondo un costante orientamento giurisprudenziale, anche le transazioni intervenute tra lavoratore e datore di lavoro (o committente) in ordine alle pretese conseguenti al rapporto di lavoro sono estranee al distinto e autonomo rapporto tra datore di lavoro (o committente) e ente previdenziale avente ad oggetto il credito contributivo dell’ente previdenziale derivante direttamente dalla legge in relazione all’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato (o parasubordinato) [4]. E ciò perché sul fatto costitutivo dell’obbligazione contributiva non può in alcun modo incidere la volontà negoziale che regoli diversamente quell’obbligazione o risolva con un contratto di transazione la controversia relativa al rapporto di lavoro. Con la conseguenza che l’obbligazione contributiva resta completamente «insensibile» agli effetti della [continua ..]
Nel tempo il principio di indisponibilità negoziale dell’obbligazione contributiva ha mostrato una forte capacità di resistenza. Indubbiamente da collegarsi al fatto di essere un principio destinato a garantire non soltanto diritti sociali fondamentali del lavoratore, ma anche diritti che sono posti a tutela di un superiore interesse generale e che hanno quindi un essenziale carattere pubblicistico, tale da giustificare nell’insieme la privazione di ogni autonomia alle parti del rapporto giuridico previdenziale. Oltre a non consentire alcuna deroga all’autonomia privata, per lungo tempo, e per gli stessi motivi, il legislatore si è anche astenuto dall’intervenire direttamente disponendo egli stesso dell’obbligo contributivo con strumenti diversi. Inizialmente, infatti, le uniche deroghe al principio dell’indisponibilità poste dal legislatore hanno riguardato soltanto le sanzioni civili collegate automaticamente all’inadempimento contributivo [11]. Tanto è vero che il presupposto per la riduzione (e talvolta anche l’annullamento) delle sanzioni civili stabilite direttamente dalla legge è sempre stato il pagamento integrale dei contributi dovuti. La ratio di queste prime deroghe legislative è stata quella di contemperare l’esigenza immediata di reperire risorse per il finanziamento del sistema previdenziale rendendo maggiormente efficiente il recupero contributivo con quella di favorire il debitore in situazione di effettiva difficoltà (non soltanto economica ma anche normativa). Dapprima, infatti, esse sono state circoscritte soltanto a fattispecie specifiche in cui l’omissione contributiva era da ritenersi (socialmente e giuridicamente) più giustificata, come nei casi di oggettive incertezze interpretative sulla ricorrenza dell’obbligo contributivo, di crisi, riconversione o ristrutturazione aziendale di particolare rilevanza sociale, di aziende agricole colpite da eventi eccezionali e di procedure concorsuali. Successivamente, invece, il campo di applicazione dei provvedimenti con cui è stata concessa la possibilità di accordare la riduzione delle sanzioni civili è stato ampliato e generalizzato, con la c.d. «definizione agevolata» (detta anche “rottamazione”) nelle sue ripetute versioni [12]. Al massimo, e anche congiuntamente agli interventi di condono sulle sanzioni [continua ..]
Successivamente le deroghe hanno iniziato a riguardare direttamente anche la stessa obbligazione contributiva. Si è trattato, però, sempre di eccezioni alla regola generale di indisponibilità, giustificate soprattutto (e ancora una volta) dalla necessità di ricercare una soluzione concordata della crisi d’impresa, o comunque delle situazioni di difficoltà finanziaria e sovraindebitamento del debitore. Così nel 2009, riformando la legge fallimentare anche sulla base delle sollecitazioni provenienti dalla giurisprudenza comunitaria, sono stati introdotti gli accordi sui crediti contributivi [15], fino a quel momento previsti soltanto per i tributi fiscali, con la c.d. «transazione fiscale» [16]. Si tratta della possibilità per il debitore, esclusivamente nell’ambito di una procedura di concordato preventivo e di accordi di ristrutturazione dei debiti, di proporre e raggiungere un accordo con gli enti gestori di «forme di previdenza e assistenza obbligatorie» per il pagamento non soltanto dilazionato, ma anche «parziale» dei contributi previdenziali omessi e relativi accessori, ossia sanzioni civili e interessi di mora [17]. È stata la rottura di un tabù, in quanto fino a quel momento ad impedire la praticabilità di una ristrutturazione concordata in senso remissorio anche dei debiti contributivi (e non soltanto fiscali) era stato proprio il principio di indisponibilità negoziale dell’obbligazione contributiva. Ora, invece, per la prima volta ed eccezionalmente la legge ha autorizzato (e non sanzionato) atti di autonomia negoziale in deroga al corretto adempimento dell’obbligo contributivo. Come detto, la possibilità di accordo sui crediti contributivi riguarda tutti gli enti gestori di «forme di previdenza e assistenza obbligatorie». Dunque, non soltanto gli enti previdenziali pubblici, ma sembra anche quelli privati, anch’essi gestori (come i primi) di forme di previdenza obbligatorie (nella maggior parte anche di base e non soltanto integrative) [18]. L’accordo raggiunto con l’ente previdenziale è espressamente definito dalla legge come «atto negoziale», in quanto l’ente previdenziale, nell’esercizio della propria autonomia (a maggiore ragione se privato) e sulla base di una valutazione discrezionale di convenienza (pur assai [continua ..]
Novità assoluta è, invece, la norma dell’art. 1, comma 185, della legge n. 145/ 2018, che riguarda i lavoratori autonomi iscritti all’INPS (inclusi, almeno sembra, anche i parasubordinati) ed i liberi professionisti iscritti alla casse previdenziali private. Per queste specifiche categorie di lavoratori, infatti, il legislatore ha consentito per la prima volta la parziale estinzione anche del debito contributivo (c.d. “saldo e stralcio”), risultante dai carichi affidati (dall’ente previdenziale) all’agente della riscossione nel periodo 2000-2017. In realtà, in qualche occasione il legislatore già aveva consentito l’annullamento automatico (d’ufficio) dei debiti di importo ridotto anche contributivi sempre affidati all’agente della riscossione (c.d. “stralcio delle mini-cartelle) [39]. E lo ha consentito, peraltro, anche successivamente con l’ultimo stralcio delle mini-cartelle del 2021, questa volta però collegando l’annullamento del debito (incrementato nell’importo consentito) [40] all’esistenza di un reddito imponibile del debitore inferiore ad € 30.000 [41]. Con l’intervento condonatorio del 2018 invece il legislatore, oltre ad annullare totalmente le sanzioni civili collegate all’inadempimento contributivo [42], ha inciso più fortemente sull’obbligazione contributiva e sul principio di indisponibilità, riguardando quell’estinzione debiti di qualsiasi importo (e quindi anche potenzialmente molto elevati). L’impatto della norma sul c.d. “saldo e stralcio” è rilevante dal punto di vista sistematico, perché mai prima d’ora il legislatore aveva disposto direttamente egli stesso (e non per il tramite dell’autonomia negoziale espressamente autorizzata) dell’obbligazione contributiva in senso remissorio (se non, come detto, per importi estremamente ridotti). In questo caso infatti, come nel caso del potere di omologazione degli accordi di ristrutturazione e del concordato preventivo attribuito al Tribunale, la falcidia (anche) del debito contributivo è imposta all’ente previdenziale creditore non essendo richiesta la sua adesione. E ciò giustifica (oltre all’approccio pragmatico al problema) anche le cautele adottate, con la limitazione dell’applicazione della norma soltanto alla [continua ..]
Nella pratica invece, per i liberi professionisti, la norma del 2018 è stata poi fortemente depotenziata dalla successiva disposizione che ne ha subordinato l’applicazione ad apposite delibere adottate entro una certa data dagli enti previdenziali privati e approvate dai ministeri vigilanti [45]. Del resto una previsione di coordinamento era assolutamente necessaria, già soltanto per il fatto che non tutti gli enti previdenziali privati recuperano i contributi omessi affidandosi all’agente della riscossione, con conseguenti (e difficilmente giustificabili) disparità di trattamento tra gli iscritti. Correttamente, quindi, il legislatore ha riattribuito all’autonomia di ciascun ente previdenziale privato la decisione sulla effettiva applicazione della norma, anche e soprattutto sulla base ad una attenta e indispensabile valutazione della propria situazione di bilancio. Operando, infatti, in regime di autofinanziamento (per cui sono i contributi degli iscritti che assicurano l’autosufficienza della gestione e l’erogazione delle prestazioni), l’applicazione diretta ed automatica della norma, senza alcuna preventiva verifica di compatibilità, avrebbe potuto mettere a rischio, o comunque seriamente compromettere, gli equilibri finanziari degli enti previdenziali privati, e l’obbligo imposto dalla legge di assicurare quegli equilibri per un arco temporale (ora) di ben cinquant’anni [46]. In termini generali peraltro, la legge già attribuisce agli enti previdenziali privati, nell’ambito della loro autonomia (anche) normativa [47], il potere specifico di adottare delibere anche «in materia di regime sanzionatorio e di condono per inadempienze contributive» [48]. Anche se non è del tutto chiaro come deve essere interpretato in tale disposizione legislativa il riferimento all’espressione «condono per inadempienze contributive». Il dubbio, in particolare, è se il «condono» possa riguardare soltanto le sanzioni che conseguono all’inadempimento contributivo o, invece, possa riguardare anche lo stesso inadempimento contributivo, e quindi anche i contributi dovuti e non versati. La norma richiamata è rubricata «disposizioni in materia di condono previdenziale», ed il «condono previdenziale» che essa prevede in termini generali (ai primi 5 commi) riguarda soltanto [continua ..]
Resta un ultimo, e delicato, problema da affrontare. Come si è già accennato, la parziale remissione del credito contributivo nei confronti del debitore insolvente, in crisi o in difficoltà economica potrebbe compromettere in alcuni casi la posizione previdenziale dei singoli lavoratori assicurati. Sicuramente il problema incide diversamente a seconda della categoria di lavoratori presi in considerazione. Per i lavoratori subordinati, infatti, il pagamento non integrale dei contributi dovuti da parte del datore di lavoro non produce effetto sulle rispettive posizioni previdenziali per l’operare del principio generale di automaticità delle prestazioni [53]. In questi casi quindi, per ciò che riguarda la prestazione, il lavoratore è comunque garantito anche in assenza dell’accredito contributivo esigibile a cui l’ente previdenziale ha concordemente (o forzatamente) rinunciato, o che è stato condonato. Mentre per i lavoratori parasubordinati e ancor più per quelli autonomi (inclusi i liberi professionisti), non operando in linea di massima il principio di automaticità delle prestazioni [54], la riduzione della contribuzione potrebbe effettivamente pregiudicare la posizione previdenziale del lavoratore incidendo negativamente non soltanto sul diritto alla prestazione, ma anche sul relativo importo. Per queste categorie di lavoratori, infatti, non è chiaro come l’eventuale accordo remissorio, o comunque la riduzione dell’importo dei contributi da versare, si coordini con il loro diritto alle prestazioni previdenziali (in particolare quelle pensionistiche), anche e soprattutto per ciò che riguarda il quantum. Nei casi quindi in cui l’importo rinunciato o condonato sia particolarmente elevato, in effetti si potrebbero porre problemi di costituzionalità in termini di adeguatezza della prestazione [55], specie con riferimento alle pensioni calcolate interamente con il sistema contributivo (pur considerando che il lavoratore autonomo è sempre responsabile in proprio del versamento della contribuzione). Né vanno trascurati gli effetti che la riduzione dei contributi dovuti, determinando minori entrate per gli enti creditori (a parità di prestazioni da erogare almeno per i lavoratori subordinati), potrebbe produrre sul finanziamento del sistema previdenziale nel suo complesso (e in particolare su quello degli [continua ..]