Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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Emergenza Covid, impatto sul sistema della sicurezza del lavoro e obblighi di vaccinazione * (di Giampiero Proia, Professore ordinario di Diritto del lavoro – Università degli Studi di Roma “Roma Tre”)


L’articolo evidenzia come la novità e eccezionalità del fattore di rischio abbia indotto il legislatore a realizzare, con la normativa emergenziale, uno specifico contemperamento tra i diversi diritti costituzionali coinvolti, assegnando un rilievo non secondario alla necessità di tenuta del sistema economico. Tale contemperamento è stato individuato con il metodo della coproduzione di matrice pubblico-privata di una normativa che non deroga al sistema ordinario della sicurezza, bensì ha provveduto a chiarire, specificare o adattare il sistema stesso alla peculiarità del fattore di rischio. Nella stessa prospettiva sono esaminati, con riferimento ai vaccini anti Covid, sia l’intervento del legislatore riguardante gli operatori sanitari, sia i problemi di individuazione della disciplina applicabile alle altre categorie di lavoratori esposte a elevato rischio di contagio.

Covid emergency, impact on the occupational health and safety system and vaccination obligations

The essay highlights how the novelty and exceptionality of the risk factor has led the legislator to implement, through the emergency legislation, a specific balance between the different constitutional rights involved, assigning a not secondary relevance to the need for the economic system to be maintained. This balance has been identified with the method of the public-private co-production of a regulation that does not derogate from the ordinary health and safety system, but rather has provided to clarify, specify or adapt the system itself to the peculiarities of the risk factor. In the same perspective are examined, with reference to Covid vaccines, both the intervention of the legislator regarding health professionals, and the problems of identifying the applicable discipline to the other categories of workers exposed to a high risk of contagion.

Keywords: Covid 19 – Covid 19 vaccine – vaccination – mandatory vaccination – health workers

SOMMARIO:

1. Due necessari elementi di precomprensione: l’incertezza e l’im­potenza del sapere scientifico - 2. ... e l’ampiezza della portata sistemica del fattore di rischio - 3. Le linee direttrici della legislazione emergenziale: a) il contem­peramento con l’esigenza di salvaguardare la stabilità del sistema economico - 4. Segue: b) gli strumenti con i quali è stato individuato il contemperamento - 5. Segue: la collocazione delle misure di contemperamento nel sistema della sicurezza - 6. L’intervento sulla disciplina previdenziale: l’“occasione di lavoro” - 7. La funzione specificativa delle misure previste dai “Protocolli” - 8. L’incertezza della “genesi” dei casi di contagio e il rafforzamento delle misure di autonormazione - 9. L’art. 29 bis non è né un “salvacondotto” né una norma “inutile” - 10. Le due principali caratteristiche del contemperamento realizzato dal legislatore: la predeterminazione delle misure dovute ai sensi dell’art. 2087 c.c. - 11. Segue: la conferma del sindacato giudiziale sull’esatto adempimento delle misure emergenziali - 12. L’esplicita inclusione tra gli “agenti biologici” di cui al Testo Unico sulla sicurezza - 13. L’obbligo di vaccinazione per gli operatori sanitari - 14. Profilassi vaccinale e altre categorie di lavoratori ad elevato rischio di contagio - NOTE


1. Due necessari elementi di precomprensione: l’incertezza e l’im­potenza del sapere scientifico

Nell’emergenza innescata dalla pandemia da SARS-Cov-2, vi sono due aspetti che è utile ricordare. Il primo aspetto che viene in rilievo è l’incertezza del sapere scientifico, soprattutto (ma non solo) nella prima fase dell’emergenza, con riguardo all’agente generatore del rischio, alle sue modalità di trasmissione, alle misure prevenzionali, alle possibili cure [1]. Da tempo, si dice che la modernità (o post-modernità) ha creato una “società del rischio”, in cui le trasformazioni sociali, economiche e tecnologiche evidenziano la esposizione a rischi sconosciuti nuovi e diversi. Se, in passato, abbiamo conosciuto fattori di rischio che hanno causato eventi di danno manifestatisi a distanza di anni (come nel caso dell’esposizione all’amianto) [2], il Covid-19 ha fatto esplodere all’istante i suoi effetti nefasti (giustamente si parla di “causa virulenta”), cogliendo impreparata, e in parte impotente, la scienza medica, la politica, il mondo intero. La lezione che se ne può trarre è che di fronte a rischi nuovi e sconosciuti, anche i più collaudati ed avanzati sistemi normativi della sicurezza possono risultare impreparati. E questo è quanto è avvenuto per il Covid. Anche se l’OMS aveva notizie del virus dal dicembre 2019, ed anche se lo stato di emergenza in Italia era stato decretato già il 31 gennaio 2020, quando il virus è entrato nei nostri confini ed ha mostrato la sua terribile capacità di diffusione, la sensazione di incertezza sui modi per contrastarlo era assoluta e le misure prevenzionali esistenti apparivano del tutto inadeguate e insufficienti.


2. ... e l’ampiezza della portata sistemica del fattore di rischio

Il secondo aspetto riguarda l’eccezionale ampiezza della portata sistemica del rischio, che deriva dalla sua ubiquità e dal non essere legato ad uno specifico territorio o luogo, né tantomeno ad una specifica lavorazione. Da questo punto di vista, il contrasto al Covid-19 si è subito rivelato un tema di salute pubblica, ma ha coinvolto inevitabilmente anche la sicurezza sul lavoro, poiché non esiste la possibilità di impedire l’osmosi tra luogo di lavoro e ambiente esterno (osmosi tenuta, peraltro, ben presente dall’art. 2, lett. n), del d.lgs. n. 81/2008), né di tracciare una linea di demarcazione netta tra il “dentro” ed il “fuori” del­l’azienda. Contenere il rischio di contagio nel luogo di lavoro significa proteggere l’intera popolazione e, viceversa, proteggere la popolazione significa proteggere anche i lavoratori sul luogo di lavoro. Da questo punto di vista, si evidenzia la lungimiranza della scelta operata dalla legge n. 833/1978 di collocare la sicurezza del lavoro tra gli obiettivi del SSN, scelta che merita oggi di essere rilanciata muovendo proprio dalla constatata esigenza di adeguare e rafforzare il nostro sistema sanitario. Ma la portata sistemica del Covid non si ferma alla registrazione del collegamento esistente tra salute pubblica e sicurezza sul lavoro. Come noto, essa ha investito l’intera organizzazione del SSN, al punto da mettere a repentaglio l’erogazione dei servizi di cura ed assistenza non solo per i malati di Covid ma anche per ogni altro tipo di patologia. Ha investito la possibilità di fruire di molte altre libertà fondamentali. Ha investito, infine, la stabilità e la tenuta dell’intero sistema economico.


3. Le linee direttrici della legislazione emergenziale: a) il contem­peramento con l’esigenza di salvaguardare la stabilità del sistema economico

Queste considerazioni preliminari devono essere tenute ben presenti se si vuole individuare e comprendere le linee lungo le quali si è mossa la legislazione del­l’emergenza. La prima linea direttrice che contraddistingue le scelte del legislatore è l’obiet­tivo di ricercare, in progress (anzi direi in continuum) [3], uno specifico contemperamento tra tutti i molteplici interessi in gioco, sia di natura individuale, che di natura collettiva: e, quindi, non solo la sicurezza del lavoratore e la salute pubblica, ma anche i diritti di libertà personale, quali la libertà di movimento e di fruizione del tempo libero, così come il diritto al lavoro e la libertà di iniziativa economica privata. In questa operazione di “compromesso”, è facile scorgere che una importanza non secondaria è stata riconosciuta alla funzione essenziale che le attività produttive assolvono non sul piano individuale dei soggetti che le esercitano [4], bensì su quello generale della tenuta del sistema economico, e, in ultima analisi, sulla possibilità di continuare a conservare quelle caratteristiche di “stato sociale” previsto dalla Costituzione, già messo a dura prova dalle crisi degli ultimi decenni. Ed infatti, se l’art. 81, comma 2, Cost. consente il ricorso all’indebitamento, “al verificarsi di eventi eccezionali”, tale ricorso non può essere illimitato, tanto più in considerazione della già grave situazione del debito pubblico italiano. Ed è chiaro che il blocco delle attività economiche, quanto più è ampio, tanto più fa crescere la necessità dell’indebitamento (perché comporta, al tempo stesso, minori entrate tributarie e maggiori spese per il sostegno al reddito dei cittadini la cui attività sia bloccata). Ora, l’impossibilità di assicurare il c.d. “rischio zero” per i lavoratori non è una acquisizione nuova per il nostro ordinamento (cfr. art. 15, d.lgs. n. 81/2015), ed è un dato già recepito dalla giurisprudenza (cfr. Cass. 25 gennaio 2021, n. 1509). Allo stesso modo, la Corte costituzionale ha già avuto modo di ricordare che tutti i diritti costituzionali, compresi il diritto al lavoro e il diritto alla salute, si pongono sempre in una relazione di reciproco [continua ..]


4. Segue: b) gli strumenti con i quali è stato individuato il contemperamento

La seconda linea direttrice della legislazione dell’emergenza riguarda gli strumenti con i quali il contemperamento tra gli interessi in gioco è stato realizzato. Qui si possono cogliere due caratteristiche, che sono tra loro collegate e che van­no, quindi, considerate unitamente. Da un lato, il Governo ha da subito individuato e dettato le regole specifiche di contrasto e di contenimento alla diffusione del contagio, ispirate alla logica della precauzione, sia per i cittadini che per i lavoratori (a partire dai decreti legge n. 6 e n. 19 e n. 33/2020, e dai decreti PCM emanati l’8, il 9, l’11 e il 22 marzo 2020). La produzione di regole ad hoc è stata capillare ed incessante, continuamente implementata nel tempo e nello spazio dalle diverse fonti statali, per le quali è stato previsto un apposito apparato sanzionatorio (cfr. art. 2, comma 1, del d.l. n. 33/2020), oltre che da una (anch’essa ampia e dettagliata) normazione da parte degli enti territoriali. D’altro lato, e con particolare riguardo alla sicurezza sul lavoro, al fine di imple­mentare e ulteriormente specificare tali regole ha scelto di adottare il metodo della coproduzione di matrice pubblico-privata, affiancando allo strumento della legge il coinvolgimento delle parti sociali [8]. È stato, questo, il metodo scelto da subito dal Governo, quando ha promosso la sottoscrizione del primo “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” (in attuazione di quanto previsto dal d.P.C.M. dell’11 marzo 2020), e poi, con un salto di qualità, quando ha fatto proprio il successivo Protocollo del 24 aprile 2020 inserendolo negli allegati al d.P.C.M. del 26 aprile e richiamandolo in norme di legge (art. 1, comma 14, d.l. n. 33/2020). E la convinzione nella correttezza del metodo è stata, da ultimo, confermata dall’“invi­to” che ha condotto le stesse parti sociali ad “aggiornare” e “rinnovare” i precedenti accordi con il recente Protocollo del 6 aprile 2021. La stretta compenetrazione delle due matrici, pubblica e privata, deve essere rimarcata. Essa attribuisce ai Protocolli condivisi “sembianze concertative” [9], ed è testimoniata dalla partecipazione alla loro formazione dei [continua ..]


5. Segue: la collocazione delle misure di contemperamento nel sistema della sicurezza

La terza linea direttrice riguarda le tipologie e i contenuti delle misure che sono state introdotte, il cui esame conduce al “cuore” del problema, ossia la individuazione del rapporto che è venuto a configurarsi tra i provvedimenti emergenziali ed il già noto e collaudato sistema della sicurezza “costruito” nel tempo. Qui, sono emerse diverse “letture” da parte della dottrina. A me non sembrano condivisibili entrambe le interpretazioni più estreme che si sono registrate tra i numerosi commenti, e cioè sia quella volta ad affermare una totale “neutralizzazione” della ordinaria disciplina in materia di sicurezza sul lavoro, che sarebbe stata integralmente sostituita dalla normazione emergenziale, sia quella che ritiene sostanzialmente inutile o addirittura “ingannatoria” tale normazione. Sembra, invece, ragionevole ritenere, in aderenza col dato normativo, che il legislatore dell’emergenza, pur non derogando al sistema “ordinario” della sicurezza, ha inteso apportare le opportune norme di chiarimento, di specificazione o di adattamento del sistema stesso.


6. L’intervento sulla disciplina previdenziale: l’“occasione di lavoro”

Così è stato, per iniziare, con la prima norma di legge emanata in materia a meno di un mese dal primo contagio, che ha riguardato il profilo della tutela economico-previdenziale. Ed infatti, è da considerare esclusivamente di chiarimento [10] la disposizione che, anche per il contagio da Covid (come per altre patologie causate da agenti biologici), ha riconosciuto la copertura assicurativa INAIL, ove il contagio avvenga “in occasione di lavoro” (art. 42, comma 2, d.l. n. 18/2020). Va, piuttosto, sottolineata l’esigenza di evitare il rischio che la portata della nor­ma venga distorta nella fase applicativa (amministrativa o giudiziale) mediante una indebita estensione della nozione di “occasione di lavoro” o il ricorso ad accertamenti basati su ragionamenti presuntivi privi di necessari elementi di allegazione e di prova o, addirittura, basati sulla inversione dell’onere della prova. Una distorsione del genere, invero, autorizzerebbe la conclusione secondo cui la norma in esame avrebbe, di fatto, realizzato la “mera estensione di una tutela speciale in luogo di quella generale garantita dall’INPS nel caso di malattia” [11], aggravando così notevolmente la posizione del datore di lavoro [12]. Costituisce, invece, un adattamento della disciplina vigente la disposizione che esclude l’incidenza dell’infortunio da contagio sulla “oscillazione” del premio assicurativo. In tal modo, invero, come nel caso degli infortuni in itinere, è stata socializzata una parte del costo della tutela previdenziale, riconoscendo che il rischio “Covid” non sia un rischio strettamente e pienamente controllabile dal datore di lavoro.


7. La funzione specificativa delle misure previste dai “Protocolli”

Una funzione specificativa hanno, invece, le misure prevenzionali previste dai citati Protocolli promossi dal Governo. Con esse, infatti, si è provveduto a fornire agli operatori, anche grazie all’assistenza tecnica dell’INAIL, quelle regole che sarebbe stato per loro molto difficile ricercare in una congerie incontrollata di opinioni scientifiche o pseudoscientifiche, a volte anche contrapposte tra loro. La certificazione pubblica delle linee guida, peraltro, si inserisce in un più ampio orientamento di politica legislativa, che è stato già alla base della legge Gelli-Bian­co (in tema di responsabilità medica), con il quale si intende limitare la ricostruzione discrezionale fatta ex post delle regole cautelari, al fine di tener conto della situazione in cui si trovano gli operatori che gestiscono un rischio per ragioni di utilità sociale, ai quali non si può fare carico dei limiti e delle incertezze che caratterizzano le conoscenze scientifiche [13]. Tanto più nella eccezionale situazione di emergenza è giusto che le regole siano individuate dal decisore politico-amministrativo. Di fronte alla incertezza scientifica, e alla mancanza di regole sperimentate, la politica non poteva restare inerte, ed ha assunto la responsabilità di individuare le regole cautelari applicabili [14], selezionandole con la cooperazione (ed avvalendosi) dell’esperienza delle parti sociali rap­presentative del mondo della produzione.


8. L’incertezza della “genesi” dei casi di contagio e il rafforzamento delle misure di autonormazione

Sappiamo, però, che tutti i sistemi di autonormazione hanno una resistenza relativa in sede giudiziale, quando essi sono posti di fronte a precetti imperativi della legge, come nel caso dell’art. 2087 c.c., vera e propria “norma di chiusura del sistema antifortunistico” [15]. Da parte degli operatori, quindi, l’ondata della diffusione del virus ha suscitato viva preoccupazione per il possibile dilagare di azioni penali e civili per le lesioni derivanti dal contagio da parte dei lavoratori. In particolare, si è diffuso il non irragionevole timore che il contagio, di cui è quasi impossibile (nella maggior parte dei casi) accertare la “genesi” esterna o interna al luogo di lavoro, venga sbrigativamente ricondotto ex post alla nocività dell’ambiente di lavoro, e ciò soprattutto in tema di responsabilità civile ove il collegamento causale tra l’evento dannoso e l’ambien­te di lavoro viene dalla giurisprudenza accertato mediante un criterio meramente “probabilistico” [16], che risulta di applicazione incerta e poco controllabile. Non a caso, infatti, le preoccupazioni sono esplose proprio a seguito della norma, poc’anzi richiamata, che si limitava a chiarire la configurabilità dell’“occasione di lavoro” anche nel caso di infortunio da Covid, senza collegare a ciò alcuna automatica conseguenza sui profili della responsabilità del datore di lavoro. Ed a poco sono valse le precisazioni dell’INAIL, che ha ricordato la nota distinzione che intercorre tra i presupposti della tutela assicurativa e i presupposti che sono invece alla base delle responsabilità di natura civile e penale (circ. INAIL 20 maggio 2020, n. 22). Anche qui, la risposta della politica (preceduta da dichiarazioni del Ministero del lavoro, e suggerita anche dal Comitato tecnico di esperti in materia economica e sociale presieduto da Vittorio Colao), è stata, a mio avviso, chiara e tutto sommato equilibrata. Con l’art. 29 bis inserito nel d.l. n. 23/2020 dalla legge di conversione n. 40/2020, si è voluto rafforzare l’efficacia giuridica delle misure contenute nei Protocolli precisando, con la forza della legge, che sono quelle specifiche misure idonee a realizzare l’adempimento dell’obbligo di sicurezza sancito dalla norma [continua ..]


9. L’art. 29 bis non è né un “salvacondotto” né una norma “inutile”

L’art. 29 bis, quindi, non è una norma inutile, né rappresenta per il datore di lavoro un facile “salvacondotto” o uno “scudo”, nel senso, giustamente criticato [17], di generico esonero da qualsiasi responsabilità. I Protocolli, infatti, contengono una specificazione (anche se, come vedremo, relativa) di quali siano le “misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” contro il rischio del contagio da Covid, e lo fanno esattamente seguendo il modello dell’art. 2087 c.c., circoscrivendo il perimetro delle responsabilità che da esso derivano [18]. Le misure individuate dalle parti sociali, infatti, tengono conto della “particolarità del lavoro”, essendo differenziate tra Protocolli generali e per specifici settori [19], e prevedendo la eventuale ulteriore specificazione a livello territoriale e aziendale, nonché, in ogni caso, l’adattamento alle mansioni ed al luogo di lavoro [20]. Ten­gono, altresì, conto dell’“esperienza”, nella misura in cui, non essendo ragionevolmente esigibile un’“esperienza” individuale che non può essersi formata a causa della assoluta novità del fattore di rischio [21], si fa ricorso alla esperienza e alla competenza qualificata delle rappresentanze del mondo della produzione. Tengono ugual­mente conto della “tecnica”, poiché, come detto, sono state individuate, con la partecipazione del Ministero della salute e l’assistenza tecnica dell’INAIL, avendo presenti le soluzioni offerte dal dibattito scientifico. Prevedono, infine, la necessità che le misure stesse vengano sottoposte ad un aggiornamento nel tempo, e, a tal fine, è stato da ultimo sottoscritto il Protocollo del 6 aprile 2021.


10. Le due principali caratteristiche del contemperamento realizzato dal legislatore: la predeterminazione delle misure dovute ai sensi dell’art. 2087 c.c.

In conclusione, quali sono, le due principali caratteristiche del contemperamento realizzato dal legislatore? La prima caratteristica, di cui va colto il profilo innovativo, è quella di aver individuato e delimitato le misure prevenzionali e le regole di cautela applicabili nei luoghi di lavoro, con una normazione di natura speciale, se non eccezionale, opportunamente legata (direi connaturata) alla eccezionalità dell’emergenza e di un fattore di rischio sconosciuti e senza precedenti. Pertanto, non sarebbe corretto andare a ricercare al di fuori delle norme emergenziali le misure dovute dal datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c. [22], non essendo consentito individuare ex post un diverso catalogo di misure applicabili al fine di attribuire “in maniera retroattiva” [23] una “antidoverosità” della condotta del debitore di sicurezza. In particolare, la novità più rilevante, che gli interpreti devono saper cogliere se si vuole restare fedeli al contemperamento individuato dal legislatore, è che questi ha ritenuto di doversi discostare dalla regola giurisprudenziale della massima sicurezza tecnologicamente possibile. I protocolli tra le parti sociali, la cui predisposizione è stata raccomandata dal Governo ed ai quali il Governo ha partecipato, e che infine sono stati richiamati dall’art. 29 bis, precisano sempre che l’impegno, con es­si assunto, è quello di assicurare alle persone che lavorano livelli di sicurezza “adeguati”, non un generico livello “massimo” della sicurezza tecnologicamente possibile (che, nel caso del rischio Covid, sarebbe sostanzialmente indefinibile). Né, stante l’eccezionalità dell’emergenza e del relativo fattore di rischio, può apparire pregiudizialmente criticabile la “rimodulazione” del livello della sicurezza richiesta al datore di lavoro. Da un lato, infatti, va ricordato che l’art. 5 della direttiva 89/391/CEE consente agli Stati membri di escludere o ridurre la responsabilità dei datori di lavoro per determinati eventi eccezionali. D’altro lato, come si è già sottolineato, le misure emergenziali hanno avuto proprio il fine precipuo di individuare uno specifico livello di “rischio consentito” o “tollerabile” di fronte alla pandemia, nella prospettiva [continua ..]


11. Segue: la conferma del sindacato giudiziale sull’esatto adempimento delle misure emergenziali

La seconda caratteristica da sottolineare è che le specifiche misure adottate per l’emergenza Covid non intaccano i principi generali che regolano il controllo giudiziale delle condotte umane. Resta, infatti, inalterato ed integro il potere del giudice di sindacare l’esatto adempimento delle misure emergenziali. Sindacato che ricomprende sia l’attività di interpretazione delle disposizioni dei Protocolli, sia la misurazione del grado di diligenza richiesto al datore di lavoro (posto che la diligenza dovuta è il parametro di valutazione dell’esattezza dell’adempimento). Operazioni, queste, rese complesse (e, quindi, fonti esse sì di possibile incertezza), tenuto conto che numerose norme dei Protocolli contengono anch’esse clausole aperte o generiche e presuppongono, come detto, una loro diversa declinazione nel tempo e nello spazio, così da non eliminare il fisiologico e necessario svolgimento del sindacato giudiziale in relazione ad ogni diversa fattispecie.


12. L’esplicita inclusione tra gli “agenti biologici” di cui al Testo Unico sulla sicurezza

Recependo la direttiva (UE) 2020/739, l’art. 4 del d.l. n. 125/2020 ha inserito il Sars-Cov-2 tra gli “agenti biologici” di cui all’allegato XLVI del d.lgs. n. 81/2008, e precisamente tra quelli rientranti, in base alla classificazione adottata a livello europeo, nel “gruppo 3” [24]. Questo significa che il contagio da tale virus costituisce un rischio “specifico” per particolari lavorazioni che sono soggette ad un’esposizione “qualificata” al pericolo di contagio, come già era facilmente desumibile in via interpretativa [25]. Non significa, invece, che possa essere considerato un rischio “specifico” per la generalità dei lavoratori, i quali, ove non ricorra una situazione di esposizione qualificata, sono soggetti al pericolo di contagio nella stessa misura in cui è esposto chi non lavora [26]. Per questa ragione, la gran parte delle misure di protezione previste dal Titolo X del d.lgs. n. 81/2015 si riferisce esclusivamente alle attività che comportano l’“uso” degli agenti biologici classificati (cfr., ad esempio, artt. 269 e 270). È vero che alcune di quelle misure sono obbligatorie anche in attività che non comportino “la deliberata intenzione di operare con agenti biologici” (come si desume, a contrario, dalla disposizione del comma 4 dell’art. 271) [27], ma si deve trattare comunque di attività che comportino un rischio specifico del tipo di lavorazione, come risulta dall’elenco contenuto nell’Allegato XLIV al quale fa rinvio, esemplificativamente, lo stesso quarto comma dell’art. 271 [28]. Correttamente, quindi, i Protocolli condivisi dalle parti sociali, su invito e con la partecipazione delle autorità pubbliche (oltreché con l’assistenza tecnica del­l’INAIL), precisano che il Covid-19 “rappresenta un rischio biologico generico”, escludendo nel contempo dalla sua applicazione il settore sanitario [29], e altre attività nelle quali, invece, è configurabile un rischio ritenuto specifico e, comunque, diverso da quello “comune” a tutte le attività [30]. In ogni caso, è da sottolineare che, anche con riferimento alla generalità dei lavoratori, la legislazione emergenziale si è mossa non “contro” il [continua ..]


13. L’obbligo di vaccinazione per gli operatori sanitari

Non appena sono stati resi disponibili i vaccini contro il Covid-19, ed ha avuto inizio la relativa campagna di profilassi, si è aperto un vivace dibattito in merito, da un lato, alla configurabilità di un obbligo di vaccinazione da parte dei lavoratori esposti ad un più elevato rischio di contagio, e, dall’altro, alle conseguenze derivanti dal rifiuto opposto dal lavoratore no vax [31]. In modo tutto sommato tempestivo, considerato che nel frattempo non ci siamo fatti mancare una ennesima crisi di governo, l’art. 4 del d.l. n. 44/2021 (convertito con modificazioni della legge n. 76/2021) ha provveduto a dettare regole su entram­be le questioni ma soltanto per quei lavoratori che sin dall’inizio si sono trovati in prima linea nella battaglia contro il virus [32], ossia gli “esercenti le professioni sanitarie” e gli “operatori di interesse sanitario” [33]. In quest’ambito soggettivo, la vaccinazione è qualificata “obbligo” del lavoratore. Si tratta di un approccio incisivo che ha una sua specificità nel panorama europeo, ove l’obiettivo della adesione alla campagna vaccinale è perseguito privilegiando gli strumenti della raccomandazione e della moral suasion. Ma, anche in Europa, sono da tempo allo studio altre iniziative dotate comunque di efficacia indirettamente coercitiva, quale quella del condizionamento della libertà di circolazione al possesso del “certificato COVID digitale UE” [34]. In ogni caso, non può dubitarsi della legittimità dell’intervento nazionale, in quanto diretta attuazione della riserva di legge prevista da secondo comma dell’art. 32 Cost., il quale giustifica la deroga al principio della libertà dei trattamenti sanitari quando, come nella specie, prevalga l’esigenza di “tutelare la salute pubblica” e di “mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza” (così, esplicitamente, il comma 1 dell’art. 4) [35]. A loro volta, le conseguenze della mancata vaccinazione sono individuate muovendo dal presupposto che quest’ultima (la vaccinazione) costituisce “requisito essenziale” della prestazione lavorativa [36]. Tali conseguenze, però, sono diverse a seconda che la mancata effettuazione della [continua ..]


14. Profilassi vaccinale e altre categorie di lavoratori ad elevato rischio di contagio

Le questioni emerse dal dibattito che aveva preceduto l’intervento del legislatore restano aperte in relazione ad altre categorie di lavoratori esposte ad elevato rischio di diffusione del contagio (quali gli addetti alla manipolazione degli alimenti, i cassieri dei supermercati, i collaboratori domestici, i badanti, il personale della scuola, e così via). Per queste categorie, la mancanza di uno specifico obbligo legale di vaccinazione rischia di “scaricare” interamente sulla responsabilità del datore di lavoro i pericoli derivanti dalla mancata adesione spontanea al piano vaccinale. E ciò nonostante che, in linea di principio, anche il lavoratore sia tenuto a prendersi cura della salute e della sicurezza di chi entra in contatto con il luogo in cui egli presta la sua attività (cfr. art. 20, comma 1, d.lgs. n. 81/2008), e nonostante che una efficace lotta ad un virus ubiquo ed infido, come il Covid, presupponga necessariamente la partecipazione attiva di tutti, poiché, come detto, non esiste una linea di demarcazione tra il “fuori” e il “dentro” l’azienda, e di conseguenza la diffusione del contagio può camminare bidirezionalmente (ossia dall’esterno all’interno, e viceversa) senza che il più delle volte se ne possa neppure accertare il luogo ove ha avuto origine. In effetti, i primi commenti all’art. 4 del d.l. n. 44/2021 sono orientati a ritenere che le indicazioni ricavabili da tale disposizione possano essere utilizzate, in modo quasi automatico, anche per individuare la disciplina applicabile alle altre categorie di lavoratori maggiormente esposti al rischio di contagio. Un tale orientamento [42] conduce ad esiti in buona parte condivisibili, ma è opportuno premettere, sul piano del metodo, che l’art. 4 in questione non consente, di per sé, una interpretazione estensiva, poiché il suo ambito soggettivo è individuato in modo testualmente univoco. Allo stesso modo, non sarebbe corretto ricorrere alla analogia legis, perché se è vero che la situazione di altre categorie esposte ad elevato rischio di contagio presenta una certa somiglianza con quella degli “esercenti professioni sanitarie” e degli “operatori di interesse sanitario”, resta che l’analogia legis costituisce un mezzo di integrazione della legge che non [continua ..]


NOTE