Il contributo ha ad oggetto la tematica dell’applicazione, in altro Stato membro, delle sanzioni amministrative e delle ammende conseguenti alla violazione della disciplina in materia di distacco transnazionale.
The essay concerns the enforcement, in another member State, of the administrative sanctions and fines applied as a result of the breach of the rules on transnational posting.
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1. Considerazioni preliminari - 2. Le origini del distacco transnazionale - 3. La c.d. direttiva enforcement - 4. Le linee guida della direttiva enforcement - 5. Il coordinamento tra gli Stati membri - 6. Il recepimento in Italia della direttiva enforcement - 7. Conclusioni - NOTE
La normativa sulla esecuzione delle sanzioni amministrative pecuniarie e delle ammende derivanti dalla violazione della disciplina europea in materia di distacco transnazionale è relativamente recente. La tematica si inserisce all’interno della più vasta area di cooperazione giudiziaria europea in materia civile, che si è rivelata essenziale per la realizzazione del mercato unico. Di fatto, la regolazione del riconoscimento transfrontaliero delle decisioni giudiziarie ha avuto un’evoluzione parallela alla nascita e uniformazione dello spazio economico europeo. Il primo passo in questa direzione risale al 1968 con la Convenzione di Bruxelles [1], seguita e sostituita, in epoche più recenti, dal c.d. Regolamento Bruxelles (per la materia civile e commerciale) [2] e dal c.d. Regolamento Bruxelles II (per la materia familiare) [3]. Con tali provvedimenti si è delineato un articolato modello giuridico, basato sulla reciproca fiducia tra gli operatori giuridici degli Stati membri, per il cui funzionamento è necessario un rafforzato sistema di cooperazione e scambi di informazioni. Al modello generale di cooperazione giudiziaria in materia civile e commerciale, nel 2014 è stato affiancato un sistema specifico – anch’esso basato su analoghi principi di collaborazione – per l’esecuzione delle decisioni, giudiziarie o amministrative, che irrogano sanzioni relative alla violazione della disciplina sul distacco transnazionale. Detto intervento si pone in coerenza con il rilievo che il legislatore europeo ha attribuito al distacco transfrontaliero sin da tempo risalente.
L’allora Comunità Europea ha iniziato a disciplinare le ipotesi di distacco transnazionale già dal secolo scorso, in particolare con la direttiva 96/71/CE [4]. Essa ha avuto il merito, da un lato, di delineare i connotati dell’istituto; dall’altro, di dettare una disciplina sostanziale uniforme per l’area del mercato unico, pur lasciando – nella logica dell’armonizzazione – agli Stati membri un ampio spazio di manovra per la sua attuazione. Come emerge sin dal preambolo della direttiva, il mercato unico europeo e l’effettiva attuazione delle libertà fondamentali esigono “un clima di leale concorrenza e misure che garantiscano il rispetto dei diritti dei lavoratori” (5° considerando). La necessità di disciplinare la fattispecie del distacco transnazionale, allora, è correlata al bisogno di garantire il bilanciamento tra la libertà di circolazione riconosciuta dai Trattati e la tutela dei diritti dei lavoratori che si trovino ad operare in uno Stato membro diverso da quello di origine (o di stabilimento). Si tratta, quindi, di uno dei numerosi strumenti diretti ad eliminare gli ostacoli alla libera prestazione di servizi all’interno del mercato unico ed ha come conseguenza l’enucleazione di un complesso di diritti attribuiti ai lavoratori, ai quali per questa via viene garantita l’applicazione di condizioni di lavoro dignitose.
Tralasciando la disciplina sostanziale relativa ai distacchi transnazionali – peraltro recentemente modificata dalla direttiva 957/2018 [5] – ci si soffermerà invece sulla direttiva 67/2014 [6], c.d. direttiva enforcement, volta ad approntare un sistema di informazione, ispezioni e controlli, idoneo a garantire l’effettiva applicazione della normativa in tema di distacco transnazionale. La direttiva del 2014, dunque, non sostituisce la precedente normativa comunitaria (contenente le disposizioni di carattere sostanziale in materia di distacco), ma si affianca ad essa predisponendo “un quadro comune relativo a un insieme di disposizioni, misure e meccanismi di controllo appropriati, necessari per migliorare e uniformare l’applicazione” della disciplina europea in materia distacco, anche mediante “misure dirette a prevenire e sanzionare ogni violazione ed elusione delle norme vigenti” [7]. La direttiva enforcement, pertanto, è volta, da un lato, a garantire il rispetto di un appropriato livello di protezione dei diritti dei lavoratori distaccati in altri Stati membri; dall’altro, a facilitare l’esercizio della libertà di prestazione di servizi, creando le condizioni per l’avversarsi di un sistema di concorrenza leale. Ed infatti, la base giuridica della direttiva è individuabile negli artt. 53.1 e 62 del TFUE [8], per cui la tutela dei diritti dei lavoratori distaccati e la garanzia del rispetto di un appropriato livello di protezione degli stessi vanno ricondotti nell’ambito delle regole che definiscono il funzionamento del mercato unico dei servizi e, in particolare, nella prospettiva di una facilitazione dell’esercizio della libertà di prestazione di servizi e della creazione di un’effettiva concorrenza nel mercato interno. Tale normativa, in ultima analisi, si inserisce nel dibattito politico e istituzionale sviluppatosi in conseguenza delle sentenze del c.d. “quartetto Laval” [9] e, nello specifico, dell’esigenza di provvedere al corretto riequilibrio delle tensioni tra l’esercizio delle libertà economiche e la promozione dei diritti sociali fondamentali, identificato dal Rapporto Monti del 2010 [10] come uno dei principali obiettivi da perseguire nel consolidamento del mercato interno. Diversamente rispetto alla direttiva 71/96, [continua ..]
I binari lungo i quali si muove la direttiva enforcement sono essenzialmente due. Il primo si occupa di predisporre un sistema di informazione [12], controllo e ispezione [13] coordinato a livello internazionale; ad esso si aggiunge l’elencazione di una serie di criteri [14] (ampliabili dagli Stati) da tenere in considerazione per desumere l’autenticità del distacco e la previsione di una responsabilità solidale per i crediti da lavoro nella catena di appalti [15]. Così, la direttiva enforcement impone alle imprese distaccanti un sistema di disclosure, individuando specificamente le informazioni che devono essere rese preventivamente allo Stato di esecuzione del distacco, affinché quest’ultimo possa monitorarne la regolarità e conformità alla disciplina europea. Di converso, agli Stati membri viene attribuito un onere di trasparenza, da realizzare rendendo disponibili ai soggetti privati interessati – segnatamente, prestatori di servizi e lavoratori distaccati [16] – tutte le informazioni in merito agli elementi della legislazione nazionale connessi alla situazione di distacco, nonché i contratti collettivi applicabili ed i soggetti cui si riferiscono [17]. Al contempo, la direttiva si inserisce nei rapporti tra le autorità statali, rafforzando il sistema di coordinamento e collaborazione amministrativa transnazionale, in qualche modo già tracciato dall’art. 4, direttiva 71/96, che prevedeva fin dalla formulazione originaria l’istituzione da parte degli Stati membri di uffici di coordinamento e controllo internazionale ai fini dell’attuazione della normativa comunitaria. Tali organismi svolgevano, in particolare, attività di raccolta e diffusione reciproca delle informazioni relative alle modalità e condizioni di impiego, nonché al controllo circa il rispetto dell’ordine pubblico e delle condizioni di lavoro dei lavoratori distaccati. Secondo la direttiva enforcement, diversamente, gli Stati membri devono individuare tra le proprie istituzioni l’autorità legittimata a gestire i rapporti con le altre autorità competenti per lo scambio di informative, richieste di controllo o ispezioni, nonché di notificazione o recupero delle sanzioni pecuniarie, indicando anche le modalità [continua ..]
Accade sovente che lo Stato di esecuzione, in attuazione della normativa sostanziale e procedurale interna, emetta una decisione che irroga una sanzione pecuniaria, ma risulti poi incapace di applicarla all’impresa che risiede in altro Stato membro. È in tale ipotesi che può attivarsi il meccanismo di cooperazione internazionale disciplinato dal Capo VI, attraverso la richiesta da parte dello Stato di esecuzione del distacco a quello di stabilimento dell’impresa distaccante di notificare la decisione o recuperare le somme. A tal fine, deve essere in primo luogo individuata da ciascuno Stato membro l’autorità competente a ricevere ed inviare le richieste di notifica e recupero delle sanzioni pecuniarie. Come rilevato in precedenza, tali scambi devono avvenire per il tramite del sistema IMI e devono essere improntati ai principi di fiducia e riconoscimento reciproci. L’autorità nazionale adita, in altre parole, deve provvedere immediatamente e senza ulteriori formalità a svolgere l’attività richiesta, potendo rifiutarsi solamente nei (pochi) casi previsti dalla direttiva stessa. La previsione risulta in qualche modo rafforzata dal novellato art. 4.2 della direttiva 71/96, che – in relazione alle richieste di informazioni, ma con una previsione che pare possibile estendere anche alle richieste di notifica e recupero – prevede che di eventuali inerzie dell’autorità adita deve essere informata la Commissione, la quale deve “adottare misure adeguate”. La direttiva enforcement, dunque, rafforza il sistema di coordinamento anche dettagliando le modalità per realizzarlo. Viene, difatti, individuato un contenuto minimo [23] per le richieste, siano esse di notificazione o di recupero, in modo da porre l’autorità adita in grado di svolgere la relativa attività. La richiesta, inoltre, deve riguardare decisioni che non siano ulteriormente appellabili e deve essere corredata da ogni documento necessario, ivi inclusa la sentenza o decisione definitiva che costituisce titolo esecutivo per procedere al recupero. In applicazione del principio del reciproco riconoscimento, da un lato, è inibito all’autorità richiesta di effettuare “ulteriori formalità” prima di attivarsi; dall’altro, viene espressamente previsto che, una volta eseguita la notificazione o il recupero, [continua ..]
L’Italia ha dato attuazione alla direttiva 2014/67/UE tramite il d.lgs. 17 luglio 2016, n. 136, individuando nell’Ispettorato nazionale del lavoro l’autorità competente per i riscontri [25] alle richieste di informazioni, controlli, ispezioni o indagini avanzate da altri Stati membri, ivi incluse le richieste di notificazione o recupero di sanzioni amministrative [26]. L’intero Capo IV è espressamente dedicato alla notificazione e recupero delle sanzioni, improntando il sistema ai principi di assistenza e riconoscimento reciproci. Le richieste di esecuzione possono riguardare le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate da altri Stati membri per la violazione delle disposizioni contenute nel decreto di attuazione [27]. Come disposto dalla direttiva enforcement, tali decisioni possono essere amministrative o giudiziarie e devono aver seguito le procedure interne dello Stato di emissione. In coerenza con la nozione ampia di distacco transfrontaliero, esse possono essere emesse nei confronti sia delle imprese stabilite in altro Stato membro che distacchino lavoratori in Italia, sia delle agenzie di somministrazione stabilite in altro Stato membro che distacchino, direttamente o indirettamente [28], lavoratori in Italia. Sebbene l’autorità legittimata a ricevere le richieste sia l’Ispettorato nazionale del lavoro [29], la competenza a decidere in merito alla richiesta di recupero di una sanzione amministrativa spetta alla Corte di Appello [30], che può rifiutare per i motivi espressamente indicati dal decreto (conformi alle indicazioni unionali) [31]. In particolare, la richiesta viene inoltrata al Procuratore Generale presso la Corte di Appello competente, il quale la notifica al datore di lavoro interessato. Si applica, dunque, il rito camerale previsto dal codice di procedura penale (art. 127 c.p.p.) in quanto compatibile, con la possibilità per il datore di lavoro e gli altri soggetti eventualmente interessati di prendervi parte [32]; la decisione di riconoscimento [33] viene, quindi, inoltrata alla Procura Generale per l’esecuzione. Una volta ottenuta la decisione definitiva di riconoscimento del provvedimento che irroga la sanzione amministrativa pecuniaria, può darsi luogo alla procedura esecutiva secondo la legislazione italiana, ad opera del Procuratore Generale che ha agito nella fase di [continua ..]
Alla luce di quanto sopra rilevato, attualmente non sembra che il sistema di esecuzione transfrontaliera delle sanzioni abbia raggiunto i risultati sperati. Ed infatti, sono ancora pochi gli Stati (tra cui l’Italia) ad essersi avvalsi della cooperazione amministrativa in materia di recupero delle somme; maggiore (circa una ventina) è il numero di Paesi che sono stati destinatari di tali richieste. Nel corso del 2018, in particolare, sono state emesse 568 richieste di notifica di sanzioni amministrative e 201 richieste di recupero; cifre apparentemente elevate, il cui rilievo risulta sensibilmente ridotto ove si consideri che ben 550 (delle 568) richieste di notificazione e 192 (di 201) richieste di recupero provengono dall’Austria. Ciò, nonostante il fenomeno del distacco internazionale sia in continua espansione: secondo i dati raccolti dall’Osservatorio sul Distacco Transnazionale (istituito dal d.lgs. n. 136/2016), in Italia tra il 26 dicembre 2016 ed il 31 dicembre 2019, si sono realizzati 98.873 distacchi internazionali, di cui quasi il 90% con Paesi appartenenti all’Unione europea [34]. In definitiva, in considerazione della crescente rilevanza dell’istituto, è certamente necessario un maggior impulso affinché gli apprezzabili (ed indispensabili) propositi del legislatore comunitario possano pervenire ad apprezzabile livello di efficacia ed effettività.