Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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Invecchiamento demografico e diritto del lavoro (di Marco Gambacciani, Professore associato di Diritto del Lavoro – Università degli Studi di Roma “Roma Tre”)


Il saggio illustra in che modo il diritto del lavoro ha affrontato in questi anni, e sta affrontando oggi, il fenomeno dell’invecchiamento demografico, e in particolare quello dell’invecchia­mento della popolazione attiva, evidenziando il carattere ondivago dei provvedimenti legislativi adottati.

Demographic ageing and labour law

The essay illustrates how labour law has dealt in recent years, and is facing today, the phenomenon of demographic ageing, and in particular that of the active population’s ageing, highlighting the wavering nature of the legislative measures adopted.

SOMMARIO:

1. L’invecchiamento demografico e quello della popolazione attiva - 2. Il carattere ondivago dei provvedimenti legislativi adottati - 3. L’aumento dell’età pensionabile e il prolungamento della vita lavorativa - 4. Le forme di prepensionamento e gli esuberi di personale - 5. Le forme di flexibile retirement - 6. Gli strumenti sul mercato del lavoro - 7. Il ruolo delle imprese - NOTE


1. L’invecchiamento demografico e quello della popolazione attiva

In Italia, anche se in misura minore rispetto ad altri paesi dell’Unione europea, nel corso degli ultimi anni l’età media della popolazione attiva è progressivamente aumentata [1]. E anche in futuro il trend dell’invecchiamento della popolazione attiva, in tutti i paesi a sviluppo avanzato, sembra destinato a proseguire. Le cause di questo fenomeno sono molteplici. Innanzitutto quelle demografiche. L’aumento dell’età media dei lavoratori italia­ni (nel 2018, 44 anni e mezzo) è la diretta conseguenza dell’invecchiamento della popolazione. Come è noto l’Italia (con Giappone e Germania) è tra i paesi più vecchi al mondo in quanto è caratterizzato da aspettative di vita in costante aumento (grazie ai progressi della medicina, ed anche all’efficienza del nostro sistema di wel­fare nel suo complesso) e, nello stesso tempo, da tassi di natalità sempre più bassi (anche per l’assenza di politiche adeguate per sostenere la famiglia) [2]. Nei prossimi decenni, quindi, la popolazione over 60 aumenterà ad un ritmo molto maggiore rispetto alla popolazione complessiva. Inevitabile, per questo, anche l’invecchiamen­to progressivo della popolazione attiva. Ma anche le scelte del legislatore italiano, spesso in attuazione di indicazioni europee e anch’esse fortemente condizionate dalle tendenze demografiche (oltreché da ragioni economiche e finanziarie), hanno contribuito all’aumento dell’età media degli occupati. Basti pensare al prolungamento della vita lavorativa con l’aumento progressivo dell’età pensionabile e la fine dell’epoca dei prepensionamenti, o ancora agli incentivi per favorire le assunzioni dei lavoratori più anziani e ai numerosi provvedimenti di blocco delle assunzioni nel settore del pubblico impiego [3]. Dal 2007 al 2018, il tasso di occupazione delle persone tra 55 e 74 anni è cresciuto esponenzialmente (dal 20,5% al 33,3%), in controtendenza rispetto alle altre fasce di età [4]. Peraltro il legislatore ha espressamente inserito (anche) l’età tra i fattori di rischio protetti dalla normativa antidiscriminatoria al fine di evitare ingiustificate disparità di trattamento tra i lavoratori [5]. In questo contesto l’invecchiamento della [continua ..]


2. Il carattere ondivago dei provvedimenti legislativi adottati

Non sempre, tuttavia, il legislatore italiano si è mosso nella prospettiva dell’ac­tive ageing. Più di una volta, infatti, le misure introdotte sono risultate in contraddizione, o perlomeno in controtendenza, con l’obiettivo dell’invecchiamento attivo. Il carattere oggettivamente ondivago dei provvedimenti legislativi adottati non è certo privo di giustificazioni. Del resto il legislatore ha il compito di perseguire l’in­teresse generale contemperando interessi diversi che a volte sono, o almeno potrebbero apparire, in conflitto tra di loro. Come, appunto, l’interesse ad incrementare il tasso di occupazione delle persone anziane con quello (altrettanto fondamentale) a ridurre la disoccupazione giovanile. Così a volte, rispetto all’esigenza di innalzare l’età media di permanenza al lavoro, è prevalsa l’esigenza di favorire il turnover tra i lavoratori occupati (in un’ottica di ricambio, e quindi maggiore equilibrio, generazionale) [11] o quella di risolvere situazioni di esubero di personale settoriali o anche aziendali. Del resto è noto che i giovani hanno maggiori difficoltà di ingresso nel mondo del lavoro e, soprattutto, in occupazioni stabili (come dimostrato dal fatto che sono proprio i giovani ad utilizzare prevalentemente i modelli di contratto flessibili e a tempo determinato).


3. L’aumento dell’età pensionabile e il prolungamento della vita lavorativa

Come si è ricordato, dagli inizi degli anni novanta del secolo scorso il legislatore italiano ha progressivamente aumentato l’età pensionabile soprattutto per esigenze di finanza pubblica, determinando come effetto anche l’inevitabile prolungamento della vita lavorativa [12]. Attualmente, nell’ordinamento italiano il diritto a pensione di vecchiaia si consegue con almeno 67 anni di età e 20 anni di anzianità contributiva [13]. La legge, tuttavia, incentiva i lavoratori a proseguire l’attività lavorativa oltre il compimento dell’età pensionabile minima (come detto, 67 anni), fino all’età di 71 anni (per effetto dei previsti adeguamenti automatici all’incremento della speranza di vita) [14]. Pur giustificata anch’essa soprattutto da ragioni di sostenibilità finanziaria della spesa pensionistica, anche l’incentivo alla prosecuzione del lavoro (insieme all’allunga­mento dell’età pensionabile) costituisce (più o meno consapevolmente) una misura diretta a sostenere l’invecchiamento attivo. A questo fine, anzitutto, sono previsti coefficienti di trasformazione periodicamente aggiornati, che assicurano al lavoratore prestazioni di importo superiore quanto più elevata è l’età del pensionamento fino al limite massimo previsto (e quindi minore è la presumibile durata del periodo di erogazione della pensione) [15]. Con il sistema di calcolo contributivo, infatti, i coefficienti di trasformazione sono necessari per trasformare i contributi versati, ossia il montante individuale contributivo, in rendita pensionistica. Seppure lo spazio di flessibilità previsto dal legislatore entro cui opera il meccanismo (opzionale) di incentivazione economico è piuttosto limitato (soltanto 4 anni, da 67 a 71 anni di età). Un ulteriore incentivo (questa volta di carattere normativo) a proseguire il rapporto di lavoro oltre il raggiungimento del requisito anagrafico minimo è costituito dalla previsione dell’applicazione della tutela contro i licenziamenti illegittimi di cui all’art. 18 della legge n. 300/1970 fino al limite massimo di flessibilità [16]. In pre­cedenza invece, la legge prevedeva che, al raggiungimento dell’età legale di pensione, il datore di lavoro poteva recedere ad nutum dal [continua ..]


4. Le forme di prepensionamento e gli esuberi di personale

Oltre ad aumentare progressivamente l’età pensionabile, da tempo il legislatore italiano, sempre per esigenze di carattere finanziario, ha messo fine all’epoca dei (veri e propri) prepensionamenti a carico del bilancio dello Stato (anche con lo stesso superamento della pensione di anzianità ed il ridimensionamento della pensione di invalidità e degli ammortizzatori sociali, anch’essi spesso utilizzati impropriamente in passato come alternativa al pensionamento anticipato). Tuttavia, il nostro ordinamento continua ancora ad essere caratterizzato da istituti simili ispirati da ragioni sostanzialmente analoghe. Ad esempio, per fare fronte alle conseguenze della crisi economica e venire incontro alle richieste provenienti dal mondo del lavoro, il legislatore soprattutto negli ultimi anni ha cercato di attenuare in parte gli effetti dell’innalzamento dell’età pensionabile. Si tratta per ora di misure soltanto sperimentali e temporanee, non aventi carattere strutturale. In alcuni casi, tali misure riguardano soltanto categorie di lavoratori maggiormente bisognose di tutela come i lavoratori che si trovano in condizioni predeterminate di particolare necessità o disagio, ossia i lavoratori disoccupati, i soggetti che assistono parenti disabili, gli invalidi ed i lavoratori addetti a mansioni c.d. «gravose» (con la c.d. «APE sociale») [31]. In altri casi, invece, esse sono generalizzate riguardando indistintamente tutti i lavoratori a prescindere dall’esi­stenza di effettive esigenze di bisogno (o maggiore bisogno), e per questo assomigliano molto a veri e propri prepensionamenti (come con la c.d. «quota cento») [32]. Non v’è dubbio che politiche pensionistiche (ed occupazionali) di questo tipo dirette a favorire con diversi strumenti il ritiro anticipato dal mercato del lavoro, oltre ad essere molto costose per il bilancio pubblico, si pongono in controtendenza rispetto alla possibilità di promuovere e sperimentare politiche di active ageing. Così come in controtendenza rispetto all’esigenza di sostenere l’invecchiamento attivo, si pongono anche, sempre in materia pensionistica, quei provvedimenti legislativi che, negli ultimi anni, hanno ridotto l’età di collocamento a riposo obbligatorio di alcune particolari categorie di lavoratori nel settore pubblico, come ad esempio i magistrati [continua ..]


5. Le forme di flexibile retirement

Da qualche tempo anche in Italia si stanno sperimentando forme di flexibile retirement, dirette a favorire un passaggio graduale del lavoratore da una vita lavorativa intensa al pensionamento. Lo strumento (contrattuale) utilizzato, con tecniche e varianti diverse nei vari paesi, è quello del part-time, ossia una riduzione concordata dell’orario di lavoro dei lavoratori prossimi al pensionamento compensata da un sostegno economico per le ore di lavoro ridotte (sotto forma di anticipo della pensione e/o di integrazione della retribuzione corrispondente al part-time e/o di altro tipo di indennità, anche con versamento della contribuzione previdenziale persa) [47]. Diffuse soprattutto nei paesi del nord e centro Europa e incentivate anche dalle istituzioni europee, in Italia queste forme di uscita graduale dal mondo del lavoro, spesso utilizzate anche per favorire incrementi dell’occupazione soprattutto giovanile (con una sorta di “staffetta generazionale”), hanno avuto fino ad ora una applicazione molto limitata. Superate le esperienze (poco fortunate) dei contratti di solidarietà «espansiva» [48] e di altre forme di riduzione dell’orario di lavoro dei lavoratori prossimi alla pensione [49], attualmente l’ordinamento italiano prevede un nuovo istituto di carattere (anch’esso) soltanto sperimentale (in quanto limitato, allo stato, agli anni 2019-2020), denominato «contratto di espansione» [50]. Esso è applicabile (a differenza del previgente contratto di solidarietà espansiva) esclusivamente nell’ambito dei processi di reindustrializzazione e riorganizzazione di grandi imprese (organico superiore a 1000 dipendenti) finalizzati al progresso e allo sviluppo tecnologico, da cui derivi l’esigenza di modificare le competenze professionali in organico. In tale ambito, l’impresa può avviare una procedura di consultazione sindacale finalizzata a stipulare un contratto di espansione con il sindacato e il Ministero del lavoro. Tale contratto deve contenere un piano dettagliato delle assunzioni a tempo indeterminato programmate (anche tale misura, quindi, persegue specifiche finalità occupazionali) e l’indicazione del numero dei dipendenti in organico interessati dalla prevista riduzione dell’orario di lavoro [51]. Ove tali lavoratori si trovino a non [continua ..]


6. Gli strumenti sul mercato del lavoro

L’ordinamento italiano prevede forme di tutela anche per il lavoratore anziano disoccupato. L’allungamento dell’età pensionabile, infatti, inevitabilmente aumenta per i lavoratori anziani il rischio di espulsione dal circuito produttivo prima del raggiungimento dei requisiti per la maturazione del diritto a pensione. E l’esclusione dei lavoratori seniores dal mercato del lavoro ha conseguenze negative non soltanto sul piano individuale (privando il lavoratore ancora produttivo dell’opportunità di realizzazione personale), ma anche dell’intera collettività (riducendo la popolazione attiva ed incrementando, invece, quella economicamente dipendente). Innanzitutto la legge prevede forme di garanzia per sostenere il reddito del lavoratore anziano che ha perso involontariamente la propria occupazione, sia pure con durata e importi ridotti rispetto al passato. Ed infatti, ora quel reddito è garantito dagli strumenti ordinari previsti dall’ordinamento per tutti i lavoratori disoccupati, ossia dall’erogazione della NASpI (il trattamento economico di disoccupazione di generale applicazione) [54]. Ma soprattutto sono decisivi le misure e gli strumenti diretti a favorire la ricollocazione professionale del lavoratore anziano disoccupato, più esposto al rischio di non riuscire a trovare una nuova occupazione (e quindi di restare disoccupato fino al pensionamento). Anch’essi costituiscono una parte rilevante delle politiche di active ageing del nostro paese. In particolare, la legge prevede specifici sgravi contributivi (riduzione del 50% dei contributi fino a 12/18 mesi) per i datori di lavoro che assumono, con contratto di lavoro anche a tempo determinato, lavoratori over 50 disoccupati da oltre 12 mesi (come tali, rientranti nella categoria dei soggetti considerati svantaggiati sul mercato del lavoro) [55]. La legge agevola poi le assunzioni a termine dei lavoratori di età superiore a 50 anni escludendo tali contratti dal limite massimo (legale o contrattuale) di contratti a tempo determinato che ciascun datore di lavoro può stipulare [56]. Infine, seguendo la stessa logica, la legge favorisce anche la stipula del contratto di lavoro intermittente (ossia del contratto con cui «un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo [continua ..]


7. Il ruolo delle imprese

Ovviamente, come si è già detto, un ruolo decisivo per l’attuazione di misure di active ageing spetta anche alle imprese. La necessità è, infatti, quella di operare a tutti i livelli con azioni e politiche innovative di promozione dell’invecchiamento at­tivo di carattere (il più possibile) integrato e comprensivo [60]. In Italia i progetti di age management, anche negoziati con le organizzazioni sindacali [61], sono ancora poco diffusi e limitati ad alcune grandi aziende [62]. E ciò no­nostante l’innalzamento dell’età di pensionamento abbia reso quei progetti sempre più necessari. Nell’ottica di rendere age friendly l’organizzazione del lavoro (e del personale), essi riguardano soprattutto le modifiche dell’orario di lavoro con orari ridotti e/o più flessibili (ed anche eventualmente del luogo di lavoro), la ricollocazione del lavoratore in mansioni più adatte alla sua età e all’esperienza maturata (c.d. re-employment), la cura della salute ed il miglioramento degli ambienti di lavoro (anche in termini di prevenzione dei rischi e maggiore sicurezza), la cooperazione tra generazioni e il trasferimento di know-how (da lavoratori più anziani a lavoratori più giovani, e anche viceversa, specie per le competenze digitali, con il c.d. reverse mentoring), la formazione professionale continua (c.d. lifelong learning) e forme di outplacement mirato [63]. Mentre restano ancora sostanzialmente esclusi da interventi e strategie di age management le politiche retributive. Come è noto, per tradizione (sindacale ed anche aziendale) in Italia esse sono ancora fortemente collegate (e condizionate) all’anzia­nità di servizio (con il sistema dei c.d. «scatti»). E tale collegamento (automatico) non sempre è in grado di valutare adeguatamente competenze e merito, né la variazione dei bisogni del lavoratore in relazione all’età. Il rischio è l’effetto spiazzamento dei lavoratori senior, con costi del lavoro non sempre (o del tutto) collegati al merito e alla produttività (e quindi squilibrati) che inevitabilmente favoriscono politiche aziendali di esodo anticipato [64]. Per sostenere l’invecchiamento attivo allora, seguendo [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2020