Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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Le tortuose prospettive di tutela del lavoro tramite piattaforma digitale (di Pia De Petris, Dottoranda di ricerca in Diritto delle Persone, delle Imprese e dei Mercati – Università degli Studi di Napoli “Federico II”)


Il contributo analizza i rischi specifici e le prospettive di tutela del lavoro su piattaforma digitale. Scoglio interpretativo ai fini dell’individuazione delle tutele è la risoluzione della complessa questione qualificatoria, che verrà analizzata, in chiave critica, con riferimento al­le più recenti decisioni della giurisprudenza nazionale e straniera, all’intervento della legge n. 128/2019 e al primo Ccnl dei riders, mettendo in luce contraddizioni sistemiche e limitazioni soggettive ed oggettive delle fattispecie e dei rimedi finora introdotti. Nel tentativo di cercare chiavi ermeneutiche adeguate, verranno prospettate soluzioni interpretative e prospettive de iure condendo per apprestare adeguati livelli di tutela alle diverse forme di lavoro nella gig economy.

The winding prospects of protection of work on digital platform

This paper analyses the specific risks and safeguards of work on a digital platform. The complex question of qualification will be analysed with reference to the most recent decisions of national and foreign jurisprudence, to the intervention of law n. 128/2019 and to the first national collective agreement of riders. The paper highlights systemic contradictions and subjective and objective limitations of the legal remedies introduced. To find appropriate hermeneutical keys, interpretative solutions will be proposed to provide adequate levels of protection for the different forms of work into gig economy.

SOMMARIO:

1. Platform economy e metamorfosi del lavoro - 2. Il lavoro via app e il protagonismo della piattaforma - 3. Lo status del lavoratore on-demand al vaglio della giurisprudenza: luci ed ombre di una “subordinazione digitale” - 4. Segue: la qualificazione dei riders di Foodora e l’approccio rimedial-pragmatico della Cassazione - 5. La legge n. 128/2019 e la prima regolamentazione del lavoro tramite piattaforma digitale: la “soluzione” dell’etero-organiz­zazione - 6. Segue: il Capo V bis e il discusso ambito di applicazione - 7. Segue: lo Statuto dei riders autonomi: criticità e potenzialità - 8. Il primo CCNL sui riders, un’occasione mancata - 9. Non solo riders: una breve (ma doverosa) finestra sul crowd­work - 10. Autonomia e subordinazione nel lavoro digitale: la recente apertura giurisprudenziale per la “subordinazione digitale” dei riders e l’esigenza di tutele differenziate per i crowdworkers - NOTE


1. Platform economy e metamorfosi del lavoro

L’analisi degli effetti dell’evoluzione digitale sul lavoro rappresenta attualmente uno dei più fertili terreni di riflessione scientifica, considerate le enormi trasformazioni che interessano il mercato del lavoro, il sistema delle relazioni industriali nonché la struttura del rapporto lavorativo [1]. Osservatorio privilegiato della complessità della relazione tra lavoro e nuove tecnologie è senz’altro rappresentato dalle forme di lavoro nate in seno alla gig economy [2]. La proliferazione di piattaforme digitali se da un lato ha generato nuovi modi di concepire il lavoro (orientandolo verso inediti spazi di flessibilità, autonomia e responsabilizzazione), dall’altro ha introdotto anche nuovi rischi sociali, causati, anzitutto, dall’ontologica instabilità del rapporto e dall’estrema competitività e sostituibilità dei lavoratori nel mercato digitale [3]. Ad incrementare il quadro dei rischi “ontologici” si aggiungono sia la difficoltà di coniugare l’organizzazione iper-flessibile con la tutela della salute e sicurezza del lavoratore, esposto a nuovi rischi specifici (es. quelli da c.d. burn-out, time porosity e overworking [4]); sia la diffusa deresponsabilizzazione delle piattaforme, i cui meccanismi di funzionamento sono ancora poco chiari e rischiano di avallare la diffusione di odiosi fenomeni di discriminazione o di illecita interposizione e persino l’emersione di forme di “caporalato digitale” [5]. Le debolezze, genetiche e funzionali, del lavoro on-demand richiedono necessariamente una cornice regolativa, per la cui individuazione si ritiene necessario – tenendo conto della frammentarietà di un’economia suscettibile di variare da piattaforma in piattaforma – partire da un approccio differenziato, volto anzitutto a distin­guere (almeno) i due prototipi base di lavoro su piattaforma: il lavoro via app e il crowdwork. Se è vero che entrambi i modelli condividono la mobilitazione di una forza lavoro temporanea e flessibile (resa possibile da una contrattazione sui generis, c.d. contrattazione spot [6]), lo è altresì la circostanza che le due tipologie presentano evidenti differenze, specie nell’organizzazione del lavoro e nel grado [continua ..]


2. Il lavoro via app e il protagonismo della piattaforma

Il lavoro via app è la modalità più diffusa di lavoro on-demand, che si caratterizza per la realizzazione della prestazione nell’economia reale per il tramite di una piattaforma digitale. La maggiore attenzione verso tale modalità di lavoro si deve non solo alla rapida diffusione dei servizi di consegna di beni a domicilio (offerti da oramai note piattaforme come JustEat, Glovo, Deliveroo) – la cui preziosità è emersa con incombente evidenza durante l’emergenza sanitaria da Coronavirus – ma si deve anche e soprattutto all’emersione dal mondo meramente virtuale che invece, come si vedrà, caratterizza il crowdwork puro (e ne paralizza le prospettive di tutela). Il lavoro via app si presenta scomposto in micro-prestazioni, che il lavoratore può, in astratto, eseguire ogni qualvolta decida di connettersi alla piattaforma digitale, a beneficio di un’ampia platea di committenti che, connettendosi anch’essi, richiedono un bene o un servizio. Nell’articolata e frazionata “economia delle piattaforme” [7], l’individuazione di forme e tecniche di tutela richiede necessariamente un’opera di “ricomposizione della frammentarietà”, partendo anzitutto da un’analisi delle concrete modalità di funzionamento e, in particolare, del ruolo svolto dalla piattaforma digitale, dato che per ricondurre a unità le singhiozzanti micro-pre­stazioni è inevitabile valorizzare la collaborazione, più o meno protratta nel tempo, tra l’utente-prestatore e la piattaforma [8]. Non a caso, tale modalità di lavoro, generalmente, si caratterizza per il protagonismo, quasi egemone, della piattaforma, che per mezzo di un algoritmo, gestisce il flusso degli ordini e coordina i gig workers, “inviando” i lavoretti da effettuare ed instaurando rapporti tendenzialmente verticali. Ciò si evince sin dal momento dell’i­scrizione alla piattaforma, consistente di fatto in un percorso obbligato: il lavoratore accetta una sorta di contratto per adesione [9], con tariffe e organizzazione prestabilite dalla piattaforma. L’aggiudicazione degli incarichi è, di regola, basata su meccanismi automatici ma molto competitivi e su tempistiche piuttosto stringenti. A tali debolezze contrattuali si [continua ..]


3. Lo status del lavoratore on-demand al vaglio della giurisprudenza: luci ed ombre di una “subordinazione digitale”

Assunte tali premesse, è possibile addentrarsi nel dilemma qualificatorio del lavoro on-demand, che da anni impegna dottrina e giurisprudenza. Come sottolineato da diverse ricostruzioni [15], a prima vista il lavoro su piattaforma sembra rifuggire alla dogmatica tradizionale, incorporando sia dosi di autonomia che di subordinazione, riaprendo così il dibattito non solo sui confini delle due categorie [16], ma persino sull’attuale tenuta della distinzione [17]. In effetti, il lavoro on-demand presenta inedite commistioni tra libertà e dipendenza. Se sul piano “genetico” vi sono evidenti profili di libertà (il lavoratore ha sempre la libertà di connettersi quando vuole per accettare il singolo incarico), sul piano funzionale, invece, vi sono profili di dipendenza (data l’esistenza di meccanismi, spesso inediti, di condizionamento e di controllo). Tali ultimi fattori sono stati valorizzati da alcune ricostruzioni dottrinali [18] e da diverse pronunce giurisprudenziali nell’ottica del riconoscimento della subordinazione, seppur intesa in una dimensione più ampia, viste le specificità del lavoro post rivoluzione digitale. Insomma, una sorta di “subordinazione digitale”, che – prendendo atto delle nuove morfologie del potere datoriale (magari “artificializzato” e schermato dall’uso di un algoritmo) – tenga conto delle specificità del rapporto di lavoro e, quindi, ad es. della circostanza che la libertà di lavorare possa essere indirettamente coartata da nuovi meccanismi, come quelli impiegati per l’aggiudica­zione degli incarichi. Se l’oramai consolidata giurisprudenza in merito al caso dei pony express [19] (pro­totipi embrionali dei gig workers) aveva valorizzato proprio l’elemento della libertà di rispondere alla chiamata per suffragarne la riconduzione al paradigma dell’auto­nomia, tale ricostruzione oggi appare decisamente in crisi, anche per aperture della giurisprudenza in senso opposto. Nel caso dei lavoratori a chiamata delle agenzie ippiche la Cassazione [20] sottolinea, con lungimiranza, che la “non obbligatorietà del lavoro” è mero elemento esterno al rapporto e, dunque, elemento non incompatibile con la subordinazione, per la cui sussistenza è irrilevante se [continua ..]


4. Segue: la qualificazione dei riders di Foodora e l’approccio rimedial-pragmatico della Cassazione

La giurisprudenza interna si è confrontata con la gig economy in relazione al caso dei famigerati riders Foodora. Ripercorrendo brevemente le note tappe giurisdizionali, nel 2018 il Tribunale di Torino rigettava il ricorso dei riders, escludendo l’ap­plicazione sia dell’art. 2094 c.c. che dell’art. 2, d.lgs. n. 81/2015. La decisione si fon­dava principalmente sulla circostanza che il lavoratore fosse «libero di candidarsi o meno per una specifica corsa a seconda delle proprie esigenze» [34] e ciò bastava ad escludere la sottoposizione ai poteri direttivi e/o organizzativi, essenzialmente, per difetto di obbligatorietà della prestazione, ben esplicitata nelle funzioni di no show e swap [35]. Quanto, invece, alla sussistenza dell’etero-organizzazione, il giudice ne forniva una ricostruzione restrittiva, sposando la tesi della norma apparente [36]. Tale ricostruzione, criticabile su più fronti (anzitutto per la scelta metodologica di indagare solo sulla libertà del prestatore a cui, a seguito della reformatio dell’art. 409 c.p.c. si sarebbe quantomeno dovuta affiancare la verifica sulla genuinità del coordinamento) viene ribaltata in sede d’Appello. Con sentenza n. 26/2019, la Corte di Torino afferma che il lavoro dei riders rientra nell’ambito di applicazione del­l’art. 2, d.lgs. n. 81/2015 dato che le modalità di esecuzione sono organizzate dalla piattaforma sia quanto ai tempi che ai luoghi di lavoro, vista la determinazione di una turnistica con zone di partenza e indirizzi di consegna predeterminati. Accanto al­l’etero-organizzazione e alla personalità si pone la continuità, elemento di cui viene offerta una lettura ampia, ossia come non occasionalità e come svolgimento di attività che – anche se intervallate – vengono reiterate per soddisfare i bisogni delle parti. Il giudice d’Appello, se da un lato offre un’interpretazione ampia dell’art. 2, d.lgs. n. 81/2015 – rinvenendo in essa la creazione di un tertium genus [37] – dall’altro opta per un’interpretazione restrittiva dell’estensione delle tutele applicabili, riconoscendone discrezionalmente solo alcune (come retribuzione, sicurezza, tutela previdenziale) ed [continua ..]


5. La legge n. 128/2019 e la prima regolamentazione del lavoro tramite piattaforma digitale: la “soluzione” dell’etero-organiz­zazione

Viste le difficoltà qualificatorie, non stupisce che nel vivace dibattito sul lavoro on-demand si sia maturata sempre più l’opportunità d’intervenire con una normativa di carattere generale. In questa prospettiva vanno senz’altro compresi alcuni, par­ziali, esperimenti di legislazione nel quadro europeo, come la francese loi travail 8 agosto 2016, n. 1088 [42], la direttiva 2019/1152 relativa a “Condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione” [43], nonché la recente legge n. 128/2019, inseritasi nel solco di alcune sperimentazioni di livello regionale [44]. Il legislatore italiano, con l’adozione del decreto legge n. 101/2019 convertito in legge n. 128/2019, mosso dalla preoccupazione di trovare una cornice regolatoria all’ingombrante questione sociale dei riders, si è mosso in due direzioni: la reformatio delle co.co.org. e l’introduzione di tutele ad hoc per i riders autonomi al Capo V bis del d.lgs. n. 81/2015. Il legislatore, dunque, ritorna, in senso decisamente ampliativo, sull’art. 2, d.lgs. n. 81/2015 offrendo un ulteriore argomento di discussione al tormentato dibattito sull’enigmatico valore di tale norma [45]. Anzitutto, la nuova formulazione estende l’ap­plicazione anche ai casi in cui «le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali». Il tenore letterale della previsione ci induce a ritenere che, di per sé, l’impiego di piattaforme digitali non esclude l’applicazione della fattispecie, essendo, invece, ben lontana (nonché controproducente) l’introduzione di una presunzione di etero-organizzazione per i lavoratori su piattaforma. La fattispecie delle co.co.org. viene estesa alle prestazioni non più «esclusivamente» ma «prevalentemente» personali [46] e, in chiave ulteriormente ampliativa, vie­ne eliminato l’inciso «anche con riferimento ai tempi e ai luoghi di lavoro», sopprimendo così i parametri per interpretazioni restrittive, pur prospettate. Con l’ampliamento della fattispecie in esame il legislatore, tuttavia, introduce ulteriori profili di incertezza, che si sommano alla già impalpabile distinzione tra subordinazione ed [continua ..]


6. Segue: il Capo V bis e il discusso ambito di applicazione

Al Capo V bis, la legge n. 128/2019 introduce disposizioni ad hoc per la «tutela del lavoro tramite piattaforme digitali». A dispetto di una tale dichiarazione d’inten­ti, tale normativa si limita, invece, a predisporre alcune tutele solo per un particolare sottotipo di lavoro via app, quello dei riders, ossia di coloro che, ex art. 47 bis, svol­gono attività di consegna di beni per conto altrui attraverso piattaforme digitali, in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore. Il legislatore sembra ignorare la circostanza che il bisogno di tutele nella gig economy non si limita di certo ai soli lavoratori che consegnano beni a domicilio, aprendo così le porte ad un’ingiusta ed irragionevole differenziazione delle tutele nel lavoro via app. Al ristretto ambito d’applicazione soggettivo si somma l’esemplare asistematicità. Non a caso l’art. 47 bis, nel predisporre tutele minime per i «riders autonomi» si apre con l’inciso «fatto salvo quanto previsto dall’art. 2, co. 1», lasciando intendere che tali tutele siano previste per i riders non eterorganizzati. Tale affermazione, tuttavia, si scontra con la definizione che l’art. 47 bis fornisce di piattaforma digitale, riferendosi a «programmi e procedure informatiche utilizzati dal committente che, indipendentemente dal luogo di stabilimento, sono stru­mentali alle attività di consegna di beni, fissandone il compenso e determinando le modalità di esecuzione della prestazione». È evidente il rischio di sovrapposizione tra fattispecie [61]: se per definizione le piattaforme digitali si caratterizzano per la determinazione unilaterale del compenso e delle modalità di esecuzione, allora allorquando tali prestazioni si svolgano in modo continuativo si ricadrebbe in ogni caso nelle co.co.org., con la conseguenza che l’estrema differenziazione delle tutele poggi, esclusivamente, sull’elemento della continuità [62]. Inoltre, il legislatore definisce come autonomi lavoratori discontinui che non concorrono alla determinazione né del compenso, né delle modalità di esecuzione della prestazione. E ciò basterebbe per escludere non solo l’autonomia ma anche la [continua ..]


7. Segue: lo Statuto dei riders autonomi: criticità e potenzialità

Il Capo V bis, dopo la previsione della forma contrattuale scritta ai fini probatori e di un generico diritto all’informazione [64], si concentra sulla nevralgica questione retributiva. Sul punto, in sede di conversione, viene completamente superata la discussa previsione del decreto legge n. 101/2019 che non escludeva la retribuzione a cottimo, purché non prevalente, subordinando il pagamento su base oraria alla condizione che, per ogni ora, il lavoratore accettasse almeno una call. Di contro, l’at­tuale art. 47 quater, attribuisce anzitutto un ruolo primario alla contrattazione collettiva, chiamata a definire i criteri di determinazione del compenso complessivo tenendo conto delle particolari modalità di svolgimento della prestazione e dell’orga­nizzazione del committente. In assenza di quest’ultima, il comma 2 esclude il ricorso al cottimo garantendo «un compenso minimo orario parametrato ai minimi tabellari stabiliti dai Ccnl di settori affini o equivalenti, sottoscritti dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale». Si aggiunge poi la garanzia di una maggiorazione del 10% per il lavoro notturno, festivo o in condizioni metereologiche avverse (particolarmente pregiudizievoli per la categoria). Il cambio di rotta del legislatore è da accogliere positivamente, specie considerando che il pagamento a consegna – anche se diffuso e suscettibile di essere più vantaggioso per riders che si autosottopongono a turni massacranti – tende a trasferire ingiustamente sul lavoratore il rischio relativo alla variabilità dei tempi di consegna. Ragion per cui, la previsione di forme di retribuzione che tengano conto anche della produttività è rimessa, in chiave protettiva, alla sola contrattazione collettiva, cosicché in assenza di quest’ultima, eventuali forme di retribuzione a cottimo incorrerebbero in nullità ex art. 1418 c.c. Tuttavia, tale rinvio pone alcune perplessità, non solo per scarsa sindacalizzazione del settore che fa sorgere dubbi sulla rappresentatività (per cui si rinvia al prossimo paragrafo) ma soprattutto perché non si rinviene un riconoscimento di diritti collettivi alla categoria, forse per scongiurare conflitti con la normativa antitrust europea [65]. A seguire, l’art. [continua ..]


8. Il primo CCNL sui riders, un’occasione mancata

A fronte di un intervento legislativo parziale e contraddittorio, a rivestire un ruolo strategico non potrebbe che essere, come auspicato dal legislatore stesso, la contrattazione collettiva, che in questo quadro caotico potrebbe svolgere una preziosa funzione chiarificatrice e stabilizzatrice [72]. Tuttavia, se la legge n. 128/2019 lascia di fondo un senso di insoddisfazione, di certo non rincuora l’avvento del primo contratto collettivo nazionale «per la disciplina dell’attività di consegna di beni per conto altrui, svolta da lavoratori autonomi, c.d. rider», siglato in data 15 settembre 2020 tra AssoDelivery (associazione delle imprese di food delivery) e il neo-sinda­cato UGL-Riders. L’accordo, primo nel panorama europeo, presenta un contenuto discutibile e seri dubbi di legittimità che hanno fatto insorgere le proteste dei sindacati confederali – che insistono sul riconoscimento della subordinazione con l’estensione del Ccnl ‘Logistica-trasporto merci-spedizioni’ del 18 luglio 2018 – e persino del Ministro del Lavoro, che ha contestato alcune parti dell’accordo (il meccanismo di retribuzione [73]) e segnalato un problema di rappresentatività delle organizzazioni firmatarie, avallando la considerazione del sindacato UGL come sindacato di comodo, sprovvisto dei requisiti legali necessari per la sottoscrizione [74]. La complessa individuazione dei confini delle categorie e della rappresentatività sindacale (specie in assenza di criteri e dati certi di misurazione) è questione assai spinosa [75], non esaminabile in questa sede, circoscritta invece all’individuazione delle tutele, limitatamente alle quali il Ccnl in esame non pare essere molto risolutivo. Anzitutto, a destare sconcerto e perplessità [76] è la qualificazione a priori dei riders come lavoratori autonomi (ex art. 409, n. 3, c.p.c. e addirittura ex art. 2222 c.c.), valorizzando l’assenza di vincoli di orario o di reperibilità (di cui si è già sottolineata l’irrilevanza ai fini dell’esclusione della subordinazione), in netta contrapposizione con i sindacati confederali e con la ricostruzione offerta dalle Corti straniere e dalla Corte di Cassazione, per cui pare doveroso chiedersi cosa differenzia [continua ..]


9. Non solo riders: una breve (ma doverosa) finestra sul crowd­work

Anche se il lavoro dei riders rappresenta la principale fenomenologia dei gig work, è necessario sottolineare che il lavoro on-demand può manifestarsi anche come crowdwork, ossia come lavoro reso integralmente online, senza materializzarsi nel­l’economia reale. Le piattaforme di crowdwork (es. Amazon Mechanical Turku) gestiscono flussi di ordini mediante la pubblicazione online di call che mettono al­l’asta, al miglior offerente di un mercato estremamente concorrenziale, l’esecuzione di svariate prestazioni, anche di tipo professionale. Si tratta, pertanto, di un innovativo modello di esternalizzazione [81] che mira alla “informalizzazione” del lavoro e consente di accedere con facilità ad una forza di lavoro esterna (all’azienda che usa la piattaforma) molto vasta (perché potenzialmente composta da tutti utenti del web [82]). Il crowdwork si avvale di contratti non standard a struttura composita, comprensiva dei termini di accesso e utilizzo della piattaforma e degli obblighi lavorativi dell’u­tente-prestatore, creando un corpus di regole poco chiaro, che rende difficoltosa l’in­dividuazione delle tutele. Sul profilo qualificatorio, “i lavoratori della folla” vengono ricondotti generalmente al lavoro autonomo, stante la titolarità di propri mezzi (i dispositivi informatici) per rendere la prestazione, la tendenziale autonomia giuridico-organizzativa e l’adesione tramite consenso ai singoli incarichi. Tuttavia, la concreta contestualizzazione di tali indici di autonomia rende molto più complessa la qualificazione. Infatti, alla disponibilità dei devices si affianca la rete di contatti con la clientela, che rientra nell’esclusiva disponibilità della piattaforma [83]. Quanto all’autonomia giuridico-organizzativa, invece, occorre considerare che lavoratore nella maggioranza dei casi è tenuto ad accettare modalità di lavoro (a volte tariffe incluse) prestabilite della piattaforma e, attraverso le clausole di gradimento, è assoggettato, senza garanzia di contraddittorio, ai variabili giudizi dei com­mittenti che potrebbero rifiutare di pagare l’opera o il servizio, lasciando il prestatore senza [continua ..]


10. Autonomia e subordinazione nel lavoro digitale: la recente apertura giurisprudenziale per la “subordinazione digitale” dei riders e l’esigenza di tutele differenziate per i crowdworkers

Il lavoro su piattaforma rappresenta un’occasione privilegiata per discutere, ancora una volta, di “autonomia” e “subordinazione”. Come si diceva in incipit, la rivoluzione digitale impatta emblematicamente sia sulla figura del lavoratore, orientata verso nuovi spazi di flessibilità, autonomia e responsabilizzazione, sia su quella datoriale, resa sempre più frammentata e impalpabile col crescente ricorso all’out­sourcing e all’automazione. In questo scenario, mutato e mutante, i riferimenti della summa divisio si sfumano progressivamente [86], anche nelle mani della giurisprudenza e del legislatore, alimentando quel processo che i civilisti definiscono “crisi della fattispecie” [87]. Non a caso, si è visto che un tratto comune delle controversie sul lavoro on-demand è la richiesta non tanto dell’accertamento di una categoria giuridica bensì «l’applicazione di segmenti specifici dello statuto protettivo del lavoro» [88]. Anche la recente Cassazione, trascurando diversi interrogativi, valorizza il concreto bisogno di tutele di forme di lavoro fluttuanti in una grigia terra di mezzo. Il legislatore, dal canto suo, con il susseguirsi di frenetici interventi, tenta da anni di far luce su tale area. In tal senso si devono leggere: le timide tutele per il lavoro autonomo della legge n. 81/2017, la disciplina del lavoro agile, che si pone come il “più autonomo” sottotipo di lavoro subordinato, e la nascita delle co.co.org. come “il più subordinato” dei sottotipi di lavoro autonomo, nonché la predisposizione di uno statuto protettivo minimo per i riders. Dunque, se si riscontrano oramai più autonomie (art. 2, d.lgs. n. 81/2015, art. 409 c.p.c., art. 2222 c.c.) e più subordinazioni (art. 2094 c.c., lavoro agile, lavoro intermittente), dinnanzi all’incremento di lavoratori autonomi deboli si sviluppa una maggiore sensibilità per la logica rimediale. L’attenzione ai rimedi, tuttavia, non può eclissare quella per fattispecie, che notoriamente riveste una fondamentale funzione ordinante, direttamente correlata alla certezza del diritto [89]. Di fatti, le due logiche si relazionano in senso complementare e non alternativo, dato che l’approccio teleologico della logica rimediale mette [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2020