Il saggio, in forma di commento alla sentenza della Corte di Cassazione 24 gennaio 2020 n. 1663, sulla rilevanza dell’etero-regolamentazione operata dal datore di lavoro ai fini della qualificazione della fattispecie di lavoro, propone un’interpretazione che valorizza, fra gli altri fattori per la qualificazione del rapporto, il ruolo dell’auto-regolamentazione da parte del lavoratore nell’economia dello scambio fra le parti, e dunque nella disciplina negoziale degli interessi in gioco.
The essay is a comment to the judgment of the Court of Cassation 24 January 2020 n. 1663; it focuses on the relevance of hetero-regulation made by the employer for the purposes of qualifying the case, proposes an interpretation that enhances, among other factors for the qualification of the relationship, the role of self-regulation by the worker in the economy of the exchange between the parties of the employment contract, and therefore in the negotiating discipline of the interests at stake.
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1. Le categorie spazio-tempo e la qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato o autonomo - 2. Il diritto del lavoro antielusivo - 3. Fattispecie sostanziale e fattispecie di effetti - 4. L'area residuale del lavoro autonomo, e la sua determinazione tramite la valorizzazione della funzione assegnata dalle parti all'autorganizzazione del prestatore di lavoro - NOTE
La definizione dei confini fra il lavoro dipendente e il lavoro autonomo, in particolare quel lavoro autonomo che si trova al confine fra i due ambiti sopra menzionati, è un problema che affatica giurisprudenza e studiosi del diritto del lavoro da decenni [1]. La ragione della difficoltà interpretative sta in ciò: il lavoro autonomo e il lavoro dipendente insistenti sull’area cosiddetta “grigia” [2] hanno entrambi caratteristiche proprie dell’autonomia e della subordinazione come, del resto, l’interpretazione tipologica [3] della fattispecie del lavoro subordinato ha da tempo reso evidente. Certamente la percezione circa l’esistenza di una coorte di lavoratori che, pur essendo autonomi, subiscono pregnanti condizionamenti di tipo organizzativo da parte del datore di lavoro, e necessitano anche della protezione fornita dal contratto collettivo, era evidente già ai redattori del Codice civile che menzionavano, accanto ai contratti collettivi, gli accordi economici collettivi destinati a essere stipulati, da una parte, da imprenditori dotati di maggiore forza contrattuale e, dall’altra, da piccoli imprenditori e lavoratori autonomi, entrambi assimilabili alla massa dei lavoratori dipendenti quanto a capacità di resistenza nei confronti della controparte negoziale [4]. La sentenza della Corte di Cassazione n. 1663 del 24 gennaio 2020 trova collocazione in un contesto problematico che risale dunque nel tempo; un profilo complesso del diritto lavoro che la trasformazione della produzione all’interno delle manifatture, e anche la crescita di rilevanza economica del settore dei servizi operati su piattaforme digitali, ha accentuato. Infatti, da quanto il lavoro manifatturiero standardizzato ha cessato di essere il modello produttivo dominante, il parametro dell’assoggettamento al potere direttivo esercitato secondo coordinate spazio-temporali tradizionali, sulla base dell’orario indicato dal datore, negli spazi del datore di lavoro o da esso indicati [5], e spesso in compresenza con il datore di lavoro, sembra non soddisfare più. In particolare, il paradigma sembrerebbe avere cioè perso l’attitudine a qualificare attività, che pur essendo condizionate dall’imprenditore in relazione alle modalità di esecuzione della prestazione, [continua ..]
Appare però opportuno sottolineare che il paradigma organizzativo sul quale si basa la disciplina del Codice, e della gran parte della legislazione speciale del lavoro, coesiste con i nuovi modelli di esecuzione del lavoro e non è stato reso marginale dalle modalità organizzative dei lavori che si svolgono attraverso piattaforma digitale, ragione per cui si deve ritenere che la capacità definitoria del criterio dell’etero-direzione del datore di lavoro e dei suoi collaboratori nei confronti del lavoratore, sintetizzata dalla fattispecie della subordinazione, non abbia certamente perso di attualità e di aderenza al dato reale [9]. D’altro canto, la definizione dei confini della subordinazione continua a svolgere una funzione pratica correlativa e speculare rispetto alla definizione di lavoro autonomo e di lavoro coordinato e continuativo, definizioni entrambe dotate di una propria ragione pratica rappresentativa di un modello di regolamentazione di legittimi interessi, modello diverso da quello che supporta la scelta del lavoro in modalità dipendente; un regolamento nel contesto del quale l’autorganizzazione del lavoratore ha un peso specifico ai fini dell’equilibrio contrattuale, e concorre a soddisfare la funzione social-tipica dell’accordo. Nonostante la flessibilità del concetto di subordinazione, l’evoluzione delle modalità di lavoro ha però portato comunque ad interventi del regolatore caratterizzati da finalità in senso ampio anti-fraudolente, interventi cioè finalizzati non tanto alla creazione di nuove fattispecie contrattuali, ma alla prevenzione di comportamenti elusivi, o genericamente fraudolenti, diretti a superare l’inderogabilità dello statuto legale e contrattuale del lavoro dipendente. In tale contesto si collocano le regole che hanno portato all’imposizione di un progetto di collaborazione, quale presupposto per la stipulazione di valide collaborazioni continuative e coordinate; progetto l’assenza del quale impone al giudice di qualificare il rapporto instaurato dalle parti come rapporto di lavoro dipendente. La sentenza della Suprema Corte valorizza dunque proprio la natura antielusive del diritto del lavoro che negli anni è stato conformato in modo siffatto da in primo luogo rincorrere e reprimere l’attività negoziale dei [continua ..]
Sebbene non annulli la decisione della Corte di Appello di Torino dalla quale ha origine il ricorso, la Cassazione compie un’affermazione importante: nega cioè la possibilità qualificare il lavoro dei fattorini che consegnano cibo a domicilio come nuovo contratto tipico; un contratto diverso rispetto a quello di lavoro subordinato e, d’altro canto, un contratto diverso anche da quello che da origini a collaborazioni continuative e coordinate, collocate dall’art. 409, n. 3, c.p.c. in seno al lavoro autonomo. La sentenza esclude cioè quanto la Corte di Appello di Torino aveva ritenuto di potere affermare: l’esistenza di una nuova fattispecie di lavoro dipendente qualificato attraverso una categoria diversa dall’etero-direzione: la categoria concettuale dell’etero-organizzazione. Mentre la Corte di Appello di Torino al termine del proprio ragionamento aveva rivelato l’esistenza di una nuova figura legale alla quale ricondurre il lavoro dei fattorini, cioè il lavoro etero-organizzato, la Cassazione riconduce a unitarietà le figure del lavoro etero-diretto e del lavoro etero-organizzato, negando quella che appare davvero una sottile distinzione alquanto difficile da afferrare. Appare significativo che la Corte d’Appello di Torino, nel riconoscere all’interno dell’ordinamento una nuova fattispecie legale non ne abbia individuato gli effetti, lasciando la questione insoluta, quando invece la giurisprudenza che ha esercitato una funzione creatrice di diritto del lavoro ha in qualche modo sempre anche individuato le conseguenze regolative che si accompagnano alla norma sostanziale che fa da presupposto per il realizzarsi degli effetti. Su questo aspetto della sentenza della Corte di Appello, la Suprema Corte si sofferma brevemente [12], ma con estrema chiarezza, dove peraltro non vi è menzione dell’attività creativa svolta dalla giurisprudenza che, attraverso un’attività dichiaratamente interpretativa, ha introdotto nell’ordinamento giuridico del lavoro nuove fattispecie. La mancata rappresentazione degli effetti è infatti un punto essenziale della critica nei confronti della Corte subalpina che afferma l’esistenza di una fattispecie senza individuarne gli effetti diversamente da quanto accaduto in altre situazioni. L’esempio noto è l’invenzione ad opera della Consulta, nel [continua ..]
Per chi scrive, il punto più interessante della sentenza della Cassazione è però quello nel quale la Corte, includendo l’art. 2, d.lgs. n. 81/2015 nel novero delle norme antielusive in materia di subordinazione, perviene ad attrarre nell’art. 2094 c.c. le attività, gestite o meno con strumenti digitali, e svolte al di fuori di vincoli spazio-temporali, con la conseguenza di spostare i confini della subordinazione a detrimento dello spazio riservato al lavoro continuativo e coordinato effettuato personalmente. I criteri che la Corte valorizza nel suo ragionamento, con il quale conduce il lavoro dei fattorini sotto l’ombrello della subordinazione, sono circostanze non univocamente qualificanti. La Cassazione valorizza la presenza cioè di vincoli organizzativi di originale unilaterale, vincoli relativi all’organizzazione spazio-temporale, limiti, cioè, che la disciplina del lavoro agile – ultima frontiera della subordinazione – non considera nemmeno significativi, rispecchiando appunto la rivoluzione avvenuta nel mondo del lavoro e provocata dalla digitalizzazione. A tali considerazioni si può aggiungere, come anche la Cassazione osserva [14], che le concrete modalità del rapporto fra l’impresa e i fattorini sono pur sempre concordate, ragione per cui si può dubitare proprio dell’asserita etero-organizzazione. La fattispecie concreta, che la Cassazione suggerisce di analizzare, si caratterizza infatti per un accordo che consente al lavoratore di decidere se assumere il singolo incarico e con quali modalità eseguirlo, modalità che, nel caso, si traducono, nella scelta dell’itinerario e della velocità da adottare. Vi sono pertanto margini di scelta del lavoratore seppure esigui che possono fare pensare alla presenza di un elemento di auto-organizzazione che però la Corte non pesa, e forse non considerando rilevante, non menziona. Questa carenza, e cioè la mancata valutazione ad opera del giudice della rilevanza dei marginali profili di autorganizzazione del lavoro rimessi ai fattorini, non consente di dedurre dalla sentenza alcuna considerazione in relazione a quale sia lo spazio riservato dall’ordinamento giuridico al lavoro continuativo e coordinato prevalentemente personale. E, infatti, a seguito del ragionamento della Corte di Cassazione la domanda che viene [continua ..]