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Ancora su eterodirezione, etero-organizzazzione, su coloro che operano mediante piattaforme digitali, i riders e il ragionevole equilibrio della Cassazione n. 1663-2020

Giuseppe Santoro-Passarelli

L’A. ritiene che l’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015 sia una norma antifraudolenta. E non con­divide l’opinione che la etero-organizzazione sia una fattispecie diversa dalla subordinazione per la difficoltà di individuare i tratti identificativi certi ed incontrovertibili tra le due fattispecie. In ogni caso quand’anche si accettasse la tesi che distingue la subordinazione dall’etero-direzione, l’autore condivide la tesi della Cassazione che applica anche ai rapporti etero-organizzati la disciplina del lavoro subordinato. E a seguito delle modifiche dell’art. 2, comma 1 introdotte dal decreto legge n. 101/2019 che ha sostituito, tra l’altro, l’avverbio esclusivamente con prevalentemente, l’A. ritiene che la disciplina del lavoro subordinato si applica ai lavoratori autonomi deboli. Viceversa non si applica la suddetta disciplina ai rapporti di lavoro in cui le modalità di coordinamento siano determinate da entrambe le parti e il lavoratore autonomo organizzi autonomamente la propria prestazione. Infine ai sensi dell’art. 2, comma 2, solo la contrattazione collettiva e non il giudice è abilitato a individuare una disciplina diversa da quella del lavoro subordinato. E ai riders continuativi si applica la disciplina dell’art. 2, comma 1, mentre a quelli non continuativi si applica la disciplina degli artt. 47 bis ss.

Still on heterodirection, heter-organization, on those who operate via digital platforms, the riders and the reasonable balance of the Cassation n. 1663-2020

The A. believes that article 2, paragraph 1 of Legislative Decree n. 81 of 2015 is an anti-fraud regulation. The A. does not share the opinion that employer-organised work is a different situation from salaried employment due to the difficulty of determining the clear and incontrovertible identifying features between the two situations.

In any case, even if it was to be accepted the argument that distinguishes salaried employ­ment from employer-organised work, the author agrees with the Supreme Court’s views that also applies the discipline of salaried employment to employer-organised work relationships.

Following the amendments to article 2, paragraph 1, introduced by Legislative Decree n. 101 of 2019, which replaced, among other things, the adverb “exclusively” with “predominantly”, the author believes that the discipline of salaried employment applies to weak self-emplo­yed workers. Conversely, this discipline does not apply to employment relationships in which coordination arrangements are determined by each party and in which self-employed workers organize their own performance independently.

In addition to this, according to art. 2 paragraph 2 only collective bargaining can identify a different discipline from salaried employment and not the theoretical and practical operator. Finally, this work addresses the ongoing issue of fixed and periodic riders in relation to the different applicable normative.

Sommario:

1. Identità di tecnica tra l'art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81-2015 e l'art. 409, n. 3, c.p.c. - 2. Funziona antielusiva dell'art. 2, comma 1 - 3. Ampliamento dell'ambito di applicazione dell'art. 2, comma 1, anche ai lavoratori autonomi deboli - 4. Superamento del potere unilaterale di coordinamento del com­mittente nelle collaborazioni continuative e coordinate perché il coordinamento è determinato dalle parti ai sensi dell'art. 15, legge n. 81-2017 - 5. Esiste un potere organizzativo del committente come potere uni­laterale distinto da potere direttivo? - 6. Etero-organizzazione e coordinamento: differenze normative - 7. Ai sensi dell'art. 2, comma 2, solo la contrattazione collettiva può individuare una disciplina diversa da quella del lavoro subordinato e non l'interprete teorico e pratico - 8. I riders continuativi e non continuativi e la diversa disciplina ap­plicabile - 9. Conclusione - NOTE


1. Identità di tecnica tra l'art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81-2015 e l'art. 409, n. 3, c.p.c.

Nell’area del lavoro autonomo uno spazio non piccolo era occupato dal lavoro a progetto. Ormai la disciplina di questo tipo legale è stata abrogata dall’art. 52, d.lgs. n. 81/2015 che però ha lasciato in vita l’art. 409, n. 3, c.p.c. E lo stesso decreto ha introdotto l’art. 2, comma 1, che applica la disciplina del rapporto di lavoro subordi­nato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prima esclusivamente (poi in virtù del decreto legge n. 101/2019 prevalentemente personali), continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente. Lo stesso decreto ha aggiunto un’ulteriore disposizione al comma 1 e cioè le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali. Tralasciando per il momento l’esame di quest’ultima disposizione, la prima domanda che sorge spontanea è perché il legislatore ha abrogato la disciplina del lavoro a progetto? Perché nella pratica si era riscontrato un uso fraudolento del tipo nonostante la sanzione draconiana prevista dall’art. 69, d.lgs. n. 276, che però non aveva avuto alcuna funzione deterrente perché nessuno mai si sarebbe sognato di scrivere un contratto a progetto senza indicare il progetto. D’altra parte scrivere un progetto era operazione abbastanza agevole perché il legislatore non aveva definito cosa dovesse intendersi per progetto. E quindi il progetto, al quale nella prima formulazione si aggiungevano addirittura il programma o la fase, potevano in realtà consistere in un mansionario oppure indicare un risultato con la difficolta di individuare in concreto lo stesso soprattutto quando le obbligazioni erano di comportamento. A questo si aggiungeva la difficoltà non piccola di distinguere la coordinazione dalla subordinazione non tanto dal punto di vista concettuale quanto nel concreto svolgimento del rapporto tanto che ho definito, in tempo non sospetto, la coordinazione una formula insincera. Come ho affermato più volte l’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015 non individua un tipo legale come il lavoro a progetto ma applica ai rapporti di collaborazione organizzati dal committente integralmente la disciplina del lavoro subordinato. In realtà la tecnica cui [continua ..]

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2. Funziona antielusiva dell'art. 2, comma 1

In realtà, a mio avviso il legislatore quando ha scritto l’art. 2, comma 1, ha attribuito a questa norma una funzione essenzialmente anti fraudolenta, memore dell’in­successo della disciplina del lavoro a progetto, non a caso abrogata, per colpire quei rapporti, svolti in forma esclusivamente personale, che, proprio perché simili ma non uguali al lavoro subordinato in senso stretto, potevano assolvere, come il lavoro a progetto, ad una funzione fraudolenta. Ed infatti a quanto consta non risultano contratti che presentano le caratteristiche dell’art. 2, comma 1. Il criterio di individuazione dei rapporti simili ma non uguali al lavoro subordinato si identificava nella positivizzazione di due indici presuntivi di subordinazione, la determinazione unilaterale del tempo e del luogo di lavoro, già largamente utilizzati in giurisprudenza e tuttavia non più rimessi al libero apprezzamento del giudice se accertati congiuntamente. Fino a quando non è intervenuta la Corte di appello di Torino che invece ha inquadrato la fattispecie dei riders Foodora nell’art. 2, comma 1, qualificandola improvvidamente come tertium genus. Nel frattempo prima della sentenza n. 1663 della Cassazione del 20 gennaio 2020 è intervenuto il decreto legge n. 101/2019 che ha modificato l’art. 2, comma 1, sostituendo l’esclusivamente con il prevalentemente, eliminando l’inciso «anche con riferimento ai tempi e luoghi di lavoro» e aggiungendo una seconda parte al primo comma «le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali».

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3. Ampliamento dell'ambito di applicazione dell'art. 2, comma 1, anche ai lavoratori autonomi deboli

Queste modifiche non sono di piccolo conto certamente ampliano l’area dell’art. 2, comma 1, sicché dopo queste modifiche si deve prendere atto che la norma fa riferimento anche a lavoratori sicuramente autonomi deboli e applica anche ad essi la disciplina integrale del lavoro subordinato. E non a caso la Cassazione, che pure prende in considerazione il caso Foodora, regolato dalla normativa anteriore alle modifiche legislative, non esita ad affermare al par. 27 che la disciplina del lavoro subordinato si applica «anche a prestatori ritenuti in condizione di debolezza economica operanti in una zona grigia tra autonomia e subordinazione ma considerati meritevoli comunque di una tutela omogenea» [1]. Se così è, ben si può dire che la Cassazione preferisce utilizzare la categoria della subordinazione socioeconomica anziché quella della etero-organizzazione per non affrontare il compito faticoso e comunque controverso di identificare i tratti che distinguono il potere direttivo dal cosiddetto potere organizzativo che, a mio a avviso, rientra comunque nell’area dell’art. 2094 c.c. [2]. È vero che nel 2012 una nozione di dipendenza economica fu accolta dal legislatore (art. 1, commi 23-26, legge n. 92/2012) con la norma che estendeva l’applica­zione integrale del diritto del lavoro subordinato ai rapporti caratterizzati da una durata superiore alla soglia minima prestabilita, dalla mono-committenza e da un livello retributivo medio basso. La verità è pero che questa norma ha avuto una modesta applicazione perché le fattispecie concrete non presentano sempre congiuntamente i tre requisiti, e in generale il ricorso ad indicatori efficaci è estremamente difficoltoso da determinare [3]. Se­condo un autore [4], se fosse stata in vigore una norma del genere avrebbe potuto essere applicata ai pony express di trenta anni fa e ora ai rapporti di lavoro dei ciclofattorini [5].

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4. Superamento del potere unilaterale di coordinamento del com­mittente nelle collaborazioni continuative e coordinate perché il coordinamento è determinato dalle parti ai sensi dell'art. 15, legge n. 81-2017

Come si è detto nelle collaborazioni continuative e coordinate non era agevole sempre distinguere nel concreto svolgimento del rapporto la coordinazione dalla su­bordinazione perché il potere unilaterale di coordinamento del committente nel lavoro a progetto spesso non si distingueva dal potere direttivo, in particolare nei casi di cosiddetta subordinazione attenuata. E conseguentemente il rischio di elusione della disciplina del lavoro subordinato era diventato elevato mentre questo rischio sem­bra(va) sventato dal combinato disposto dell’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/21015 e dell’art. 15, legge n. 81/2017. Quest’ultima disposizione ha il merito di chiarire che nelle collaborazioni continuative e coordinate ex art. 409 c.p.c. è necessario un accordo tra le parti per determinare le modalità di esecuzione della prestazione e al collaboratore spetta il compito di organizzare autonomamente l’attività lavorativa. Sembra quindi escluso in questi rapporti uno spazio autonomo per il potere unilaterale di coordinamento del committente. Invece ai sensi dell’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015 nelle collaborazioni organizzate dal committente quest’ultimo ha il potere di determinare unilateralmente le modalità di esecuzione del collaboratore. Si può quindi proporre una prima conclusione e cioè nelle collaborazioni continuative e coordinate di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c. l’attività di coordinamento non com­pete più al committente, come nel lavoro a progetto, ma, con l’abrogazione della disciplina del lavoro a progetto e in virtù dell’interpretazione dell’art. 15, legge n. 81/2017, compete alle parti. Eppure anche di recente diversi autori ritengono che nella variegata tipologia della realtà esista uno spazio per un’area del lavoro coordinato e continuativo organizzato (sic) dal committente [6]. E arrivano a questa conclusione richiamando “le istruzioni” del committente, del preponente, del mandante previste dalla disciplina dei rispettivi contratti [7]. È vero che le istruzioni che il committente dà al collaboratore sono analoghe a quelle del preponente nei confronti dell’agente o a quelle del mandante nei confronti del mandatario [8], ma non sono idonee a modificare le modalità di [continua ..]

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5. Esiste un potere organizzativo del committente come potere uni­laterale distinto da potere direttivo?

Voglio esternare a questo proposito una preoccupazione e cioè che l’individua­zione del potere organizzativo come potere unilaterale e autonomo del committente richiama alla mente la tesi del potere unilaterale di coordinamento nelle collaborazioni continuative e coordinate affermata da autorevoli dottrine già prima del d.lgs. n. 276/2003 [11]. Questa tesi, a mio avviso ha contribuito a favorire l’elusione della disciplina del lavoro subordinato. Ma almeno nel lavoro a progetto il legislatore aveva successivamente normato il potere di coordinamento del committente [12]. E tuttavia, come si è detto, con l’abro­gazione della disciplina del lavoro a progetto, tale potere è venuto meno. Viceversa l’art. 2, comma 1, a differenza del lavoro a progetto, non individua neppure i tratti identificativi di questo presunto potere organizzativo sicché diventa difficile distinguerlo dal potere direttivo. Per la verità la sentenza n. 1663 si sofferma sulla nozione di etero-organizzazio­ne e inizia un discorso impegnativo al par. 32 sul piano teorico ma non molto chiaro sull’individuazione di tale nozione cioè dell’etero-organizzazione. E infatti, un po’ didascalicamente si preoccupa di mettere in evidenza la distinzione tra «coordinamento stabilito di comune accordo tra le parti ed etero-organizzazione definita come ele­mento di un rapporto di collaborazione funzionale con l’organizzazione del commit­tente cosicché le prestazioni del lavoratore possano essere, secondo la modulazione unilateralmente disposta dal primo, opportunamente inserirsi ed integrarsi con la sua organizzazione di impresa». Ma la sentenza non si preoccupa di chiarire in primo luogo se la modulazione unilateralmente disposta dal committente sia qualificabile alla stregua di un potere unilaterale di quest’ultimo e, in caso affermativo, quali siano i tratti distintivi del potere organizzativo rispetto al potere direttivo [13]. Né appare convincente la tesi che «con riferimento alle collaborazioni continuative e coordinate con l’eliminazione del potere di coordinamento, il lavoro etero-or­ganizzato dal committente ha funzionalmente preso il posto [14]». In altri termini in questi rapporti il potere organizzativo avrebbe la funzione di sostituire il potere di coordinamento abrogato dal [continua ..]

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6. Etero-organizzazione e coordinamento: differenze normative

E invece, a mio avviso è importante tracciare una frontiera tra i rapporti di lavoro riconducibili nell’area dell’art. 2, comma 1, che possono essere etero-organizzati e anche autonomi deboli contraddistinti da una sorta di subordinazione socio-eco­nomica e ai quali si applica integralmente la disciplina del lavoro subordinato e i rap­porti di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c dove il coordinamento per espressa disposizione dell’art. 15, legge n. 81/2017 è determinato di comune accordo tra le parti [17] e quindi non è per definizione un potere unilaterale del committente, come già dal 1979 avevo sommessamente sostenuto [18]. E a questi rapporti si applica la scarna disciplina precedente a quella del lavoro a progetto.

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7. Ai sensi dell'art. 2, comma 2, solo la contrattazione collettiva può individuare una disciplina diversa da quella del lavoro subordinato e non l'interprete teorico e pratico

Se veramente si vogliono individuare «discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo in ragione delle particolari esigenze produttive e organizzative del settore» diverse da quella del lavoro subordinato e da quella degli artt. 47 bis con riferimento ai ciclofattorini, questo compito non compete all’inter­prete teorico e pratico, ma ai sensi dell’art. 2, comma 2, alle parti sociali che devono siglare un contatto collettivo per gli addetti a coloro che lavorano tramite le piattaforme digitali, come è avvenuto per gli addetti ai call center. Se non interviene la contrattazione collettiva resta ferma l’applicazione a questi soggetti della disciplina integrale del lavoro subordinato o degli art. 47 bis ss. del d.lgs. n. 81/2015 prevista per i ciclofattorini [19]. Certamente si può obbiettare che l’art. 2, comma 2, potrebbe risultare costituzionalmente illegittimo per violazione del principio dell’indisponibi­lità del tipo. Ma è altrettanto noto che in assenza di un intervento della Corte costituzionale in tal senso, la norma è pienamente legittima.

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8. I riders continuativi e non continuativi e la diversa disciplina ap­plicabile

A questo proposito non si può fare a meno di parlare della recente vicenda dei riders [20], e cioè di coloro che consegnano il cibo a domicilio. Di recente il contratto collettivo della logistica è applicato anche ai riders con il riconoscimento di tutte le coperture assicurative e previdenziali, comprese la sanità integrativa e la bilateralità. La retribuzione base è di 867 euro lordi mensili e l’ora­rio di lavoro di 39 ore settimanali distribuite in 6 giorni. Ma bisogna aver presente che i riders quasi mai si relazionano con un unico contraente ma con un’applicazione dedicata ad una o più piattaforme e nessuna di queste piattaforme applica ai riders la disciplina del contratto collettivo della logistica anche perché i rappresentanti delle piattaforme come quelli dei riders non erano presenti al tavolo della trattativa per la conclusione di quel contratto. Nella maggior parte dei casi è vero che i riders sottoscrivono contratti di collaborazione dove sembra che essi si comportino come meri contraenti d’opera o servizio perché formalmente sono liberi di accettare il singolo incarico ma nella sostan­za, una volta accettato ciascun incarico, la loro attività è regolata da un «algoritmo che esercita un controllo pervasivo sull’attività svolta dal singolo riders e penalizza quei prestatori che non si adeguano al modello ideale di produttore (che presuppone la sottoposizione a turni massacranti di lavoro), stila la classifica dei più meritevoli e traccia le prestazioni dei singoli e le confronta. E quindi la piattaforma tramite l’al­goritmo controlla la prestazione e sanziona i comportamenti non conformi a determinati standard» [21]. Si tratta quindi di un lavoro fortemente vincolato, nonostante fino all’accettazio­ne dell’incarico il riders possa essere libero e autonomo. Si potrebbe obbiettare che in questi casi si applica direttamente la disciplina del lavoro subordinato perché le modalità di esecuzione sono in realtà determinate dalla piattaforma digitale. Questa tesi è sostenibile ma a mio avviso è preferibile applicare l’art. 2, comma 1, seconda parte perché questa disposizione prevede espressamente per i lavoratori che operano nelle [continua ..]

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9. Conclusione

Infine, va ricordato che la Cassazione, in assenza del controricorso e del ricorso incidentale dei ciclofattorini, ha confermato la sentenza della Corte d’Appello di Torino. Chiudo con questa domanda: quale sarebbe stato il responso della Suprema Corte se la difesa avesse presentato il ricorso incidentale? Non dò di proposito una risposta perché non voglio sostituirmi al giudice ma dalla motivazione si può desumere quale sarebbe stata la soluzione. E tuttavia la soluzione adottata dalla Cassazione induce a ritenere che questa sentenza segna il primo tratto di un percorso che non si è ancora concluso. Bisogna comunque essere avvertiti che, al di là di ogni argomentazione tecnica, il confronto è tra chi valorizza la eterorganizzazione o se si preferisce il potere organizzativo rispetto al potere direttivo al fine di individuare una disciplina per questo tipo di rapporto parzialmente diversa da quella del lavoro subordinato (ma in concreto meno favorevole: basti pensare alla non applicazione della disciplina del licenziamento), così come era previsto dalla disciplina del lavoro a progetto ora abrogata, e chi invece nega autonoma rilevanza all’eterorganizzazione e ritiene che a questi rapporti continuativi e organizzati dal committente, anche se autonomi deboli, deb­ba essere applicata, ai sensi dell’art. 2, comma 1, la disciplina del lavoro subordinato, salva, ai sensi dell’art. 2, comma 2, una diversa disciplina dettata dalla contrattazione collettiva. Infine, non si può fare a meno di rilevare, in conseguenza della epidemia da corona virus, che lo smart working molto probabilmente si diffonderà in futuro, come modalità di esecuzione della prestazione lavorativa. Ma mancando il consenso del lavoratore e nei casi in cui sussista la presenza di una postazione fissa, sembra più corretto qualificare questa fattispecie non come lavoro agile ma come telelavoro.

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NOTE

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