Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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Collaborazioni organizzate e tipi contrattuali: tra conferme ricostruttive e nuove problematiche interpretative (di Roberto Pessi e Antonio Dimitri Zumbo)


Il contributo, nell’offrire una premessa ricostruttiva in ordine ai tipi contrattuali dell’autono­mia e della subordinazione, analizza la regolamentazione oggetto dell’art. 2, d.lgs. n. 81/2015, pervenendo a conclusioni da ultimo confermate dalla recente sentenza n. 1663/2020 della Corte di Cassazione.

Organized collaborations and contractual types: between reconstruc-tive confirmations and new interpretative problems

The contribution offers a reconstructive premise regarding the contractual types of autonomy and subordination and then analyzes the regulation covered by art. 2 of Legislative Decree n. 81/2015, arriving at conclusions most recently confirmed by the sentence n. 1663/2020 of the Court of Cassation.

   
SOMMARIO:

1. I prodromi della riforma - 2. La dialettica tra autonomia e subordinazione - 3. La dinamicità degli orientamenti giurisprudenziali - 4. Collaborazioni e nozione di subordinazione - 5. Etero-organizzazione e autonomia - 6. Il profilo regolatorio - 7. La recente sentenza della Corte di Cassazione - 8. La disciplina applicabile alle collaborazioni - 9. Il ruolo della contrattazione collettiva - NOTE


1. I prodromi della riforma

Non è dubbio che l’intervento del Jobs Act, di “riordino” dei modelli di rapporto di lavoro, tutto giocato sul bilanciamento tra articolazione tipologica e flessibilizzazione funzionale [1], sia stato indotto dal vivace dibattito dottrinale conseguente alla nuova regolazione della materia operata dalla legge n. 92/2012 [2]. Questo dibattito ha determinato l’impianto dell’intervento di cui al d.lgs. n. 81/2015 (sostanzialmente confermato dalle successive modifiche occorse nel 2019 [3]): attribuzione ai collaboratori autonomi etero-organizzati dello statuto protettivo del lavoro subordinato; eliminazione dello statuto protettivo dei lavoratori a progetto; conservazione della parasubordinazione genuina. Proprio l’assetto conclusivo spiega perché ci si sia interrogati sulla natura del saldo complessivo dell’operazione [4], quanto all’arretramento o meno delle tutele riferite al lavoro autonomo [5]. Del resto, il passaggio dalla delega al decreto delegato è stato accompagnato da una serie di pressioni divergenti (oltre che ad opera delle parti politiche e di quelle sociali), da parte della dottrina giuslavoristica [6].


2. La dialettica tra autonomia e subordinazione

La realtà è che nell’ultimo decennio del vecchio secolo molto era accaduto nella dialettica tra autonomia e subordinazione. Basti, in proposito, ricordare un noto contributo di Mattia Persiani del 1998 [7] in cui l’Autore dava atto del processo di progressiva erosione subito dal tipo contratto di lavoro subordinato, sia dall’interno, in ragione del moltiplicarsi di nuovi modelli contrattuali caratterizzati da variazioni causali o modali rispetto all’archetipo codicistico, sia dall’esterno, per effetto del succedersi di un complesso di interventi legislativi nell’area del lavoro autonomo coordinato e continuativo, che avevano ridisegnato i confini dell’istituto disciplinato dall’art. 2094 c.c. Peraltro, seguendo il classico movimento oscillatorio del pendolo, tutto poi era stato ridimensionato in senso uguale e contrario, sin dall’inizio del nuovo secolo, con un “crescendo rossiniano”, che si era concluso con la legge n. 92/2012 [8]. Questo riassetto regolativo si completa con il d.lgs. n. 81/2015, che, in continuità con i precedenti interventi progressivamente più restrittivi dell’area della parasubordinazione (quanto meno sotto il profilo della ricorribilità concreta a forme contrattuali aventi tale natura), ricentralizza l’asse della disciplina del rapporto intorno all’archetipo del lavoro subordinato. Il nuovo quadro normativo, peraltro, è stato preceduto ed accompagnato dall’in­tervento sui contratti a termine (con la significativa estensione temporale della acausalità), che risultavano ampiamente concorrenziali rispetto alle collaborazioni a più incerta tutela qualificatoria, laddove investite dal controllo giudiziario, promuovendo il primo “traghettamento” spontaneo dall’autonomia alla subordinazione. La riforma risultava altresì assecondata dal più flessibile regime protettivo in materia di licenziamenti, introdotto dal d.lgs. n. 23/2015 (che, peraltro, nonostante il richiamo al “contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti”, non ha in alcun modo inciso sui profili qualificatori inerenti il tipo contrattuale). L’operazione di riordino è infine conclusa dal sopra richiamato, successivo, d.lgs. n. 81/2015, che, pur facendo salvo il disposto dell’art. 409, n. 3, c.p.c., ha [continua ..]


3. La dinamicità degli orientamenti giurisprudenziali

Tuttavia, la tecnica dell’intervento normativo (sugli indici e non sulla definizione) non sarebbe comprensibile se non si tenesse conto che, all’alternarsi delle linee direzionali dei processi di regolazione, ha fatto da contrappunto un’analoga dinamicità negli orientamenti giurisprudenziali, peraltro non sempre in chiave sintonica con gli obiettivi perseguiti, di periodo in periodo, dal legislatore. Certo, resta l’interrogativo in ordine alle ragioni che hanno determinato l’adden­sarsi delle oscillazioni qualificatorie da parte della giurisprudenza, in un assetto codicistico saldamente ancorato alle due fattispecie minime unitarie del 2094 e del 2222 c.c. (ulteriormente rafforzato dalla tipizzazione delle ipotesi mediane come l’agen­zia e l’associazione in partecipazione). Una risposta all’interrogativo di cui sopra è stata offerta da autorevole collega [9], che, operando una ricostruzione storica degli andamenti giurisprudenziali, è partito dalla premessa che la formulazione dell’art. 2094 c.c. sconti a livello genetico (anche in virtù del compromesso tra teoria barassiana ed ideologia corporativa) una limitata capacità definitoria; questa premessa spiegherebbe perché, nello scorrere del secolo, essa abbia offerto spazio a letture e riletture, connesse anche al variare del modello socio-economico di riferimento. La convinzione della ridotta capacità definitoria dell’art. 2094 c.c. matura a partire dagli anni ’60, con l’accantonamento delle teorie istituzionalistiche (funzionali all’edi­ficazione ed al consolidamento della fabbrica fordista), per l’affer­marsi dell’impos­tazione dogmatica centrata sul sinallagma contrattuale; l’atten­zione viene, allora, a concentrarsi sul tema della qualificazione del rapporto, che viene affidato (dalla dottrina prevalente) ad un giudizio di approssimazione orientato al social-tipo [10]. Se sul piano dogmatico «la scissione barassiana tra contratto e subordinazione» [11], spostando l’attenzione dell’interprete dall’assetto di interessi dichiarato dalle parti alle effettive modalità di svolgimento del rapporto, appare coerente alla funzione affidata dall’ordinamento allo statuto protettivo del lavoro subordinato, la stessa, sul piano applicativo, sconta [continua ..]


4. Collaborazioni e nozione di subordinazione

In un precedente contributo sul tema [16], dopo avere dato atto alle varie ricostruzioni sul contenuto dell’art. 2, d.lgs. n. 81/2015 [17], si affrontava il problema dogmatico di stabilire se, con tale intervento, sia effettivamente o meno intervenuta una mo­difica della nozione di subordinazione di cui all’art. 2094 c.c. Nel fare ciò, pur non negando la sussistenza di fondate suggestioni negli apporti dottrinali che davano una risposta positiva a tale quesito, si accoglieva la prospettazione di un valente collega, che offriva una lettura dell’art. 2, d.lgs. n. 81/2015, secon­do la quale la riforma non avrebbe spostato l’asse qualificatorio della subordinazione dall’etero-direzione all’etero-organizzazione [18], osservandosi, al riguardo, come il disposto normativo di cui all’art. 2 appaia «sprovvisto di ogni elemento definitorio e sistematico che possa fare ritenere attuata una modifica, in senso tipologico, della norma a base del lavoro subordinato (art. 2094 c.c.)». Né risulta prospettabile un percorso ricostruttivo ispirato ai sottotipi, atteso che nell’impianto regolativo non vi è la previsione di una sub-fattispecie del lavoro subordinato, la quale, infatti, «non è neppure definita e/o limitata tipologicamente», in quanto l’articolo 2, comma 1, del d.lgs. n. 81/2015, «facendo generico riferimento a rapporti di lavoro intercorrenti con un altrettanto generico soggetto denominato committente (e non datore di lavoro) può trovare applicazione indistintamente ed estensivamente a qualsiasi tipologia contrattuale, avente ad oggetto un facere lavorativo, che, in ipotesi, realizzi le condizioni prestatorie ivi contemplate» [19]. La lettura ricostruttiva proposta è, quindi, quella per cui la collaborazione organizzata costituisca una fattispecie che permane sul confine tra autonomia e subordinazione (e che pare riferibile ancora all’art. 2222 c.c.); ma che, tuttavia, a fini protettivi della debolezza contrattuale del prestatore d’opera, viene «ricondotta solo per l’effetto nell’area subordinazione, senza che essa sia qualificabile come tale, ovvero che ne venga disposta la conversione automatica» [20]. In merito, non si può non concordare con la circostanza che il legislatore non abbia inteso modificare [continua ..]


5. Etero-organizzazione e autonomia

L’impressione è, infatti, che si sia preso atto dell’esistenza (diffusa) di collaborazioni, le cui modalità di esecuzione, più che coordinate con il committente, siano dallo stesso organizzate. Naturalmente, non ci si riferisce a fenomeni elusivi della subordinazione, ma a quelle situazioni (“genuine”), in cui le oggettive esigenze produttive rendono necessaria una determinata organizzazione non preventivamente concordata tra le parti. Peraltro, nell’ambito di tale etero-organizzazione, il collaboratore mantiene la propria autonomia nello svolgimento delle obbligazioni contrattuali, anche se la stessa si fa “virtuale”, perché le modalità risultano sovente intrinsecamente dettate dal modello produttivo (e, quindi, si impongono all’imprenditore ed al prestatore d’opera). Se così non fosse – vale a dire, se il legislatore avesse voluto integrare o modificare la definizione legale di subordinazione – risulterebbe di difficile comprensione il senso della riforma; per un verso, in quanto non ve ne sarebbe stata la necessità, avendo la giurisprudenza costantemente valorizzato l’etero-organizzazio­ne tra gli indici sintomatici della subordinazione; per altro verso, in quanto sarebbe stato molto più semplice (e coerente) intervenire direttamente sulla previsione dell’art. 2094 c.c. Dunque, l’obiettivo della disposizione appare essere altro, e cioè quello di attribuire maggiori tutele (tipiche del rapporto di lavoro subordinato) a forme di collaborazione che, pur essendo autonome, sono caratterizzate da una dipendenza (se non ne­cessariamente economica, almeno) organizzativa, con conseguente necessità di protezione sociale.


6. Il profilo regolatorio

Ma è proprio su questo punto che risiede la questione più complessa, ove ci si ponga in un «itinerario concettuale che fa perno sull’individuazione della fattispecie» [23]. Infatti, procedendo per questo itinerario, ci si è chiesto se l’applicazione della di­sciplina del rapporto di lavoro subordinato avviene mediante la conversione legale del rapporto di collaborazione etero-organizzato (da autonomo a subordinato), o piuttosto mediante l’estensione della predetta disciplina al rapporto di collaborazione (che, però, mantiene la sua natura autonoma). Nel primo caso, la ricorrenza dell’etero-organizzazione (nei canoni indicati nella previsione in commento) avrebbe quale effetto diretto la modifica della natura del rapporto (da autonomo a subordinato). Tale interpretazione, tuttavia, per un verso, conferirebbe alla disposizione una con­notazione sanzionatoria (che non sembra avere); per altro verso, non terrebbe conto delle esigenze (spesso, sia aziendali, che dei lavoratori) di utilizzare rapporti di collaborazione, seppur con una organizzazione che va oltre il mero coordinamento. Nel secondo caso, invece, la natura autonoma del rapporto (e, probabilmente, la volontà delle parti negoziali) sarebbe preservata, essendo solo riconosciute al collaboratore organizzativamente dipendente le maggiori tutele previste per la subordinazione.


7. La recente sentenza della Corte di Cassazione

Ad offrire un chiarimento (per il momento definitivo sul tema) è la sentenza n. 1663 dello scorso 24 gennaio, con cui la Corte di Cassazione, nella efficace sintesi resa da Luigi Fiorillo nel contributo destinato al presente numero monografico della Rivista [24], premettendo che l’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015 «è “una norma di disciplina che non crea una nuova fattispecie” intermedia tra autonomia e subordinazione (punto 39) e ciò in quanto “non ha decisivo senso interrogarsi su se tali forme di collaborazione (...) siano collocabili nel campo della subordinazione ovvero dell’autonomia perché ciò che conta è che per esse (...) l’ordi­namento ha statuito espressamente l’applicazione delle norme sul lavoro subordinato” (punto 25); – ha una funzione di “prevenzione” in quanto “il legislatore, onde scoraggiare l’abuso di schemi contrattuali che a ciò si potrebbero prestare, ha selezionato taluni elementi ritenuti sintomatici ed idonei a svelare possibili fenomeni elusivi delle tutele previste per i lavoratori” (punto 26); – ha una funzione “rimediale” che si traduce nell’“applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato” in quanto il legislatore “ha stabilito che quando l’etero-organizzazione, accompagnata alla personalità ed alla continuità della presta­zione, è marcata al punto da rendere il collaboratore comparabile ad un lavoratore dipendente” (punto 26)», chiarisce che «al verificarsi degli elementi indicati dall’art. 2, comma 1, cit. “la legge ricollega imperativamente l’applicazione della disciplina della subordinazione” in quanto si tratta di una norma che “non crea una nuova fattispecie”».


8. La disciplina applicabile alle collaborazioni

Ora, assunte queste coordinate di rotta, centrale diviene il tema della disciplina applicabile ai prestatori d’opera etero-organizzati, che fruiscono dello statuto protettivo della subordinazione, ma sono sostanzialmente autonomi (laddove, diversamente avrebbero fruito della conversione del rapporto in forza della evidenza simulatoria). Sul punto la sentenza n. 1663/2020 pare presentare alcune stonature, in quanto, se da un lato, al punto 40, specifica i motivi per cui la disciplina del lavoro subordinato dovrebbe applicarsi integralmente alle collaborazioni di cui all’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015, rilevando che «la norma non contiene alcun criterio idoneo a selezionare la disciplina applicabile, che non potrebbe essere affidata ex post alla variabile interpretazione dei singoli giudici», al successivo punto 41 rileva come «non possono escludersi situazioni in cui l’applicazione integrale della disciplina della subordinazione sia ontologicamente incompatibile con le fattispecie da regolare, che per definizione non sono comprese nell’ambito dell’art. 2094 cod. civ., ma si tratta di questione non rilevante nel caso sottoposto all’esame di questa Corte» [25]. Orbene, fermo restando che il passaggio appena riportato, nel bilancio generale della decisione, è un obiter dictum, lo stesso pare comunque costituire, oltre che una guida per l’interprete, un indiretto richiamo al legislatore affinché intervenga sul punto al fine superare le difficoltà applicative derivanti dal dato testuale della previsione, soprattutto nelle ipotesi in cui l’applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato sia incompatibile con le fattispecie da regolare.


9. Il ruolo della contrattazione collettiva

Ad ordinamento vigente, e proprio alla luce delle statuizioni sin qui riportate, si ritiene però di condividere quanto rilevato da Maurizio Cinelli (insieme a Piergiorgio Parisella) e da Arturo Maresca [26] – nei rispettivi contributi destinati al presente fascicolo – in ordine alla ardua applicabilità a favore dei collaboratori etero-or­ganizzati della integrale disciplina previdenziale propria dei lavoratori subordinati, in quanto, come condivisibilmente segnalato dai primi, «non basta la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro come autonomo, o subordinato, a determinare – in assenza di una specifica disposizione in tal senso – l’assoggettamento di quel rapporto a tutela previdenziale (...) tanto più, dunque, deve ritenersi insufficiente allo scopo la mera estensione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato a fattispecie rientranti in quella zona grigia in cui la qualificazione del connesso contratto è incerta». Parimenti, si ritiene che, quanto ai profili gestionali, debba essere assunta, in ragione della persistente conferma della natura intrinseca del rapporto instaurato, la regolamentazione propria del lavoro autonomo, non risultando coerente con il quadro di riferimento l’attribuzione al committente di una serie di poteri, tra cui anche quello direttivo (ed ivi compresi quelli di cui all’art. 2104 c.c.), che presupporrebbe una modifica della nozione di subordinazione, ovvero il riconoscimento di una subordinazione “allargata” qualificata dalla etero-organizzazione, che è però estranea alla portata normativa dell’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015, come anche da ultimo riconosciuto dalla stessa Corte di Cassazione. In ogni caso, anche con riferimento ai profili regolatori concernenti la disciplina economica e normativa, continuerà ad essere decisiva l’autonomia collettiva, che, in forza della delega di cui all’art. 2, comma 2, d.lgs. n. 81/2015, potrà garantire un processo di graduale armonizzazione, non solo nel passaggio da uno statuto protettivo ad un altro, quanto e soprattutto nel transito da uno status professionale ad un altro (nella convinzione che, in definitiva, non potrà essere quello di “partenza”, ma neppure quello immaginabile come di “arrivo”, in ragione della disciplina attribuita ex lege), [continua ..]


NOTE
Numero straordinario - 2020