Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Spunti dalla sentenza della Cassazione sui ciclofattorini di Foodora (di Pasquale Passalacqua )


Il contributo parte dall’esame della sentenza della Corte di Cassazione n. 1663/2020 sui ci­clofattorini di Foodora. Si svolgono poi alcune considerazioni sulle novità introdotte dal decreto legge n. 101/2019 sia sull’art. 2, d.lgs. n. 81/2015, in materia di collaborazioni organiz­zate dal committente, nonché sull’introduzione del nuovo art. 47 bis, d.lgs. n. 81/2015 sul lavoro tramite piattaforme.

Points from the judgment of the Cassation on foodora's riders

The essay starts from the examination of the judgment of the Court of Cassation n. 1663/2020 about Foodora’s riders. Some considerations then take place on the innovations introduced by Legislative Decree n. 101/2019 and on art. 2, Legislative Decree n. 81/2015, on emplo­yer-organised work, as well as on the introduction of the new art. 47 bis, Legislative Decree n. 81/2015 on platform workers.

   
SOMMARIO:

1. L'incerto argomentare tra fattispecie ed effetti - 2. L'impervia applicazione della disciplina del lavoro subordinato - 3. Qualche spunto di prima lettura sullo ius superveniens introdotto dal decreto legge n. 101/2019: a) sul testo dell’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015 - 3.1. b) Sul rapporto con il nuovo art. 47 bis, d.lgs. n. 81-2015 sulla tutela dei riders autonomi - 4. Il possibile grado di impatto della sentenza - NOTE


1. L'incerto argomentare tra fattispecie ed effetti

L’epilogo del caso Foodora in Cassazione fa di certo discutere. La Corte di legittimità ha confermato la sentenza di appello impugnata [1], ritenendo il caso in esame sussumibile nell’ipotesi delineata dall’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015. Per tale via i ciclofattorini, c.d. riders, hanno ottenuto quelle tutele che, in virtù di un loro status formale di lavoratori non subordinati, la normativa lavoristica non riconosceva. Nel dibattito almeno degli ultimi trent’anni le difficoltà “comprensive” della fattispecie delineata nell’art. 2094 c.c. di fronte alle mutevoli articolazioni dell’utilizzo del fattore lavoro nell’impresa costituiscono ormai un dato acquisito [2], da calare al contempo oggi in un contesto di più generale crisi della fattispecie [3]. In questa condivisa prospettiva, anche le più recenti nuove morfologie di prestazioni di lavoro, come quella del lavoro tramite piattaforme digitali, restano difficilmente inquadrabili nella consueta dicotomia lavoro subordinato-lavoro autonomo [4]. Se questo è vero, risulta comprensibile l’argomentazione della cassazione che sfug­ge alla qualificazione della fattispecie, ma al contempo non possono non stigmatizzarsene i limiti, a partire, come già efficacemente notato, dalle quattro soluzioni schematicamente riassunte dalla sentenza, che non appaiono del tutto centrate, data la confusione in particolare tra le ipotesi ivi delineate sub b), c) e d) [5]. Ora, com’è ormai noto [6] – in una sintesi, che ovviamente non riesce a dar conto delle diverse motivazioni e dei diversi accenti – sul punto vengono proposte due letture antitetiche sulla portata dell’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 51/2015. Per la prima il legislatore si limita a estendere lo statuto protettivo del lavoro subordinato oltre la fattispecie delineata dall’art. 2094 c.c., in quanto farebbe riferimento a una fattispecie di lavoro non subordinato, cioè a collaborazioni caratterizzate da dipendenza organizzativa. In questa linea di pensiero, l’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015 è stata ritenuta una mera “norma di disciplina e non di fattispecie” [7]. L’altra lettura legge, invece, quella norma quale “indicatore” di una fattispecie di lavoro subordinato, [continua ..]


2. L'impervia applicazione della disciplina del lavoro subordinato

La Corte, inoltre, dà conto che nella sentenza di secondo grado la Corte d’Appello aveva proceduto a selezionare le tutele applicabili desunte dalla disciplina del lavoro subordinato a una fattispecie che resta di lavoro non subordinato, ritendendo applicabili solo le norme riguardanti la sicurezza e l’igiene, le differenze retributive, i limiti di orario le ferie e la previdenza, ma non (tra le altre) le norme sul licenziamento. Invece, per il giudice di legittimità, in coerenza con il dato testuale della legge, si impone un’applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato, pur se poi non esclude che vi siano situazioni in cui la sua applicazione integrale «sia ontologicamente incompatibile con le fattispecie da regolare, che per definizioni non sono comprese nell’ambito dell’art. 2019 c.c.». Intanto, in questo passaggio la Corte giunge a schierarsi, venendo a sposare la lettura sull’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015 come fattispecie di lavoro autonomo con disciplina del lavoro subordinato sopra ricordata. In ogni caso, sposata pur implicitamente questa linea, il discorso sull’applicazio­ne integrale della disciplina del lavoro subordinato, poi però in via di eccezione negato verso una nuova selettività dai contorni indefiniti, non convince [10]. Entrambe le letture antitetiche lasciano, invero, perplessi. In primis, quella favorevole all’applicazione a un rapporto di lavoro autonomo di tutta la disciplina del la­voro subordinato finisce nel trasformare quel rapporto di lavoro da autonomo a subordinato [11], contraddicendo in tal modo proprio la ricostruzione sul rapporto solo etero-organizzato come rapporto di lavoro non subordinato. Al contempo, la diversa prospettiva della selezione delle tutele trova ostacoli di ordine letterale, ma anche ricostruttivo, tanto che anche raffinate analisi dottrinali, tese a circoscrivere la disciplina del lavoro subordinato applicabile ai trattamenti econo­mici e normativi del rapporto di lavoro, pare facciano fatica a offrire argomentazioni del tutto condivisibili [12]. Il riferimento al possibile accertamento di vera e propria subordinazione fatto di seguito dalla Corte risulta, poi, eccentrico e fuorviante, in quanto cosi si fuoriesce dal raggio di incidenza della norma interpretata.


3. Qualche spunto di prima lettura sullo ius superveniens introdotto dal decreto legge n. 101/2019: a) sul testo dell’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015

A questo punto pare possibile trarre dalla sentenza qualche spunto per una prima lettura dello ius superveniens introdotto dal decreto legge n. 101/2019, sia con riguardo alle modifiche apportate al suddetto art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015, ma poi anche in ordine alla sua relazione con il nuovo art. 47 bis, d.lgs. n. 81/2015. Si può dire allora che l’intervento correttivo resti apprezzabile, in particolare con riferimento all’eliminazione del riferimento a tempi e luoghi. Invero, quell’imposta­zione – sebbene vi fossero letture difformi – poteva costringere a individuare una pre­stazione organizzata, ma non con riferimento a tempi e luoghi, che doveva rimanere pertanto autonoma e, al contempo, risultava distonica con l’evoluzione normativa. Invero, in relazione al lavoro agile, che rimane una forma di lavoro subordinato, il riferimento all’orario diventa evanescente, o, quantomeno, non più così discretivo come in passato, come anche quello del luogo, giacché viene costruito «quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato», ma «senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro» [13]. La modifica del 2019, pertanto, non pare spostare l’interpreta­zione della fattispecie nella linea già proposta come identificatrice del lavoro subordinato. Parte della dottrina poi, con diversità di argomentazioni, attribuisce dirimente rilevanza, ai medesimi fini ricostruttivi, alla novità costituita dalla sostituzione del ri­ferimento precedente alle prestazioni «esclusivamente» personali, con quelle invece ora solo «prevalentemente» personali. Su questo dato, infatti, anche chi propendeva per la lettura dell’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015 quale fattispecie individuatrice di lavoro subordinato, ora prefigura l’emergere di un nuovo sottotipo della para-subordinazione [14]. In modo ancor più deciso, il primo fautore, invece, della lettura della fattispecie in esame quale forma di lavoro autonomo con le tutele del lavoro subordinato, ne rimarca, anche per questo motivo, l’assoluta estraneità a un’ipotesi di lavoro subordinato [15]. Invece, a noi sembra che la modifica non assuma affatto quel carattere dirimente che le si vorrebbe attribuire, ma, invece, si possa considerare quale [continua ..]


3.1. b) Sul rapporto con il nuovo art. 47 bis, d.lgs. n. 81-2015 sulla tutela dei riders autonomi

Come già anticipato, oggi la tutela dei riders non risulta più affidata in sostanza solo nell’operatività del meccanismo delineato dall’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015, giacché il legislatore è di recente intervenuto, attraverso il decreto legge n. 101/2019, attribuendo specifici diritti ai riders, a prescindere appunto dal ricorso per l’accer­tamento di una diversa qualificazione del rapporto. L’art. 47 bis, d.lgs. n. 81 del 2015, dedicato in particolare ai riders che lavorano anche attraverso piattaforme digitali, è posta subito in collegamento con l’art, 2, com­ma 1, proprio nel suo incipit («fatto salvo quanto previsto dall’art. 2, comma 1»). In prima lettura, si può notare che l’art. 47 bis, d.lgs. n. 81/2015 si rivolga ai lavoratori che svolgono una tale attività in regime di lavoro autonomo, tra i quali pare possano e debbano essere ricompresi anche quelli con un formale rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, quale species del genus lavoro autonomo, ai quali vengono riconosciute apposite tutele dalle norme del nuovo Capo V-bis del d.lgs. n. 81/2015, introdotto dal decreto legge n. 101/2019. La questione del rapporto con l’art. 2, comma 1, si pone in sostanza per il fatto che il nuovo art. 47 bis considera piattaforme digitali i programmi e le procedure informatiche che tra l’altro determinano «le modalità di esecuzione della prestazione» [21]. Secondo parte della dottrina, l’elemento differenziante sarebbe a questo punto quello della continuità della prestazione, nel senso che l’art. 47 bis individuerebbe solo le prestazioni di lavoro occasionalmente resa attraverso piattaforme anche digitali, mentre in caso di continuità delle medesime prestazioni, queste ricadrebbero necessariamente sotto l’ombrello dell’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015 [22]. Tuttavia, la continuità è espressamente elemento tipico delle collaborazioni coordinate e, appunto, continuative ex art. 409, n. 3, c.p.c. Se il presupposto è che la prestazione resa dai riders di cui all’art. 47 bis possa essere qualificata come autonoma, anche nella sua veste del lavoro coordinato ex art. 409, [continua ..]


4. Il possibile grado di impatto della sentenza

Volendo in conclusione tentare di vagliare quale valenza possa assumere la sentenza in esame, pare possibile indagarlo secondo due possibili prospettive, convergenti nel ridurne il grado di impatto, pur significativo. Invero, da un lato il valore di precedente risulta ridimensionato, giacché in controversie del genere, l’indagine del fatto sulla base del materiale probatorio portato in giudizio che si svolge nei gradi di merito risulta determinante al fine di superare o meno qualsivoglia soglia di applicabilità si voglia leggere nell’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015, che in ogni caso la Corte non contribuisce a chiarire [26]. Dall’altro, proprio la voluta mancanza di scelta, almeno sul piano formale, tra le diverse letture proposte in dottrina, elusa attraverso il fragile riferimento alla norma di disciplina, lascia la questione aperta a nuovi contributi, anche da parte della stessa giurisprudenza. Nuovi apporti indotti, peraltro, dal non indifferente mutamento della normativa, non solo in riferimento all’art. 2, comma 1, ma anche sui riflessi indotti, come notato, dal suo rapporto con l’art. 47 bis, dello stesso d.lgs. n. 81/2015, almeno in linea potenziale apprezzabili anche su un piano più generale rispetto allo stretto formale suo ambito di applicazione.


NOTE
Numero straordinario - 2020